Carlo Verdone: «Si vive una volta sola»
Forse non lo sai ma pure questo è amore: «Ho 14 anni e sono invitato a una festa in un quartiere popolare di Roma. Dopo aver ascoltato i Beatles, Celentano e i primi Rolling Stones, nell’appartamento di Valle Aurelia è l’ora dei lenti: sto ballando con una ragazza che mi piace molto e tutt’a un tratto qualcuno spegne la luce. Lei mi dà un bacio in bocca. È la mia prima volta. “Dammene un altro”, le dico. “Dammelo te stavolta”, risponde. Eseguo timidamente e lei si ritrae: “O me lo dai bene o non me lo dai per niente”. Ubbidisco e in quel momento scopro l’eros, il sesso e tutto un mondo meraviglioso. Prima di andarmene le chiedo il numero di telefono, lei me lo nega: “Ci dobbiamo fermare a questi baci, siamo troppo giovani”». Carlo Verdone sostiene di avere un’ottima memoria selettiva: «Sono fortunato, ho rimosso le cose brutte, ma non ho dimenticato nulla delle belle», e un rapporto quasi olfattivo con la nostalgia: «Ogni tanto sento un odore e mi riappare il passato. Il profumo dei nostri armadi, quello della casa che mia madre faceva riverniciare durante l’estate o l’altro, inconfondibile, dei libri di mio padre». Mario, il professor Verdone: «L’uomo grazie al quale ho visto e conosciuto ambiti davanti ai quali da solo non sarei mai arrivato. Papà mi diceva sempre: “Mettici la poesia, Carlo. Mettici un po’ di poesia”».
Cosa intendeva?
«Che la commedia, senza la poesia, non vale niente. “Ridere non basta”, diceva».
Aveva ragione?
«Completamente. La poesia è l’anima della commedia, anche e soprattutto quando restituisce alla commedia un sapore malinconico».
La solitudine, l’amore non corrisposto, le città deserte d’estate, l’incomunicabilità. Nei suoi film, fin dagli esordi, al sorriso si accompagna la malinconia.
«Perché la malinconia è un mio tratto caratteriale e, come la memoria, può essere una carezza dolcissima. Quando sono da solo, magari in Sabina, circondato dal silenzio, dai libri e dalla tranquillità, nel ricordo scorre un film meraviglioso».
1977, Teatro Alberichino, al suo esordio dopo gli anni dei teatrini off, lei va in scena per un solo spettatore.
«Il critico Franco Cordelli. Non sapevo chi fosse, ma un paio di giorni dopo uscì sul giornale un articolo entusiasta. Iniziò tutto lì. Lo spettacolo non avrebbe dovuto neanche prendere il via. Mancava il denaro e io mi ero indebitato per 200.000 lire, tanti tanti soldi, una cifra enorme».
Come mai?
«Daniele Formica, il mio compagno d’avventura, avrebbe dovuto dividere i costi con me, ma si tirò indietro a pochi giorni dal debutto. Anni dopo venne a chiedermi scusa sul set di Bianco, rosso e Verdone. Non ce n’era bisogno. “Non preoccuparti”, gli dissi, “sono decisioni che si prendono in un istante”. Ho sempre considerato il rancore il più inutile dei sentimenti».
Chi la convinse a recitare comunque in Tali e quali?
«Mia madre: “Se non sali sul palco ti prendo a calci in culo”, sibilò. Per quel che riguarda il mio lavoro, nel trovare il coraggio di fare scelte importanti, devo tutto a lei. La persona più importante della mia vita. Una donna che aveva tante fragilità e debolezze, ma sapeva anche essere forte e aveva intuito che possedevo un talento. Con affetto, baci, ironia e qualche invito secco mi incoraggiava ad andare avanti e mi diceva implicitamente “dai che ce la fai”. Mamma possedeva un’arte affabulatoria ed era molto creativa. Andavamo insieme al cimitero, e camminando per i viali mi raccontava ogni cosa delle donne e delle famiglie che lì erano ospitate. La accompagnavo a pagare i conti dal fornaio, dal panettiere, dal lattaio e lei, che era anche una formidabile osservatrice, posava sempre lo sguardo su qualcuno: “Carlo, guarda che faccia buffa che ha quello”, e io guardavo. Se sono stato un pedinatore di italiani restituendone tic, nevrosi e manie, la prima pedinatrice in famiglia è stata sicuramente lei».
Suo padre invece?
«Mio padre è stato una figura importante, mi ha donato lo stupore, mi ha fatto viaggiare, mi ha insegnato tanto. Prendeva me e mio fratello e ci portava all’Accademia d’arte: “Adesso vi spiego cos’è un quadro astratto”. E lo faceva davvero. Ci ha fornito strumenti fondamentali, ma ci ha anche portato allo stadio e a giocare a pallone al Circo Massimo sotto il sole cocente. Era un padre vero, nostro padre».