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40 anni fa nasceva la Lega Nord. Il racconto del “veterano” Speroni: “Berlusconi ci chiamò nel ’93, aveva i gadget di Forza Italia già pronti”

40 anni fa nasceva la Lega Nord. Il racconto del “veterano” Speroni: “Berlusconi ci chiamò nel ’93, aveva i gadget di Forza Italia già pronti”

L'estratto dal libro "Il volo Padano", scritto dal giornalista Marco Linari insieme all'ex ministro ed europarlamentare

L'articolo 40 anni fa nasceva la Lega Nord. Il racconto del “veterano” Speroni: “Berlusconi ci chiamò nel ’93, aveva i gadget di Forza Italia già pronti” proviene da Il Fatto Quotidiano.

Francesco Enrico Speroni è stato ministro alle Riforme, senatore per 7 anni, europarlamentare per 20, ma anche consigliere regionale in Lombardia, provinciale a Varese e cittadino nella sua Busto Arsizio. Una carriera vissuta come fedelissimo di Umberto Bossi, raccontata ora nel volume “Il Volo Padano”, edito su Amazon e scritto dal giornalista Marco Linari. Il libro, uscito in concomitanza con l’anniversario dei 40 anni di fondazione del Carroccio, è un viaggio storico pieno di aneddoti curiosi, inediti, spesso divertenti e sempre capaci di essere termometro di un movimento che ha segnato un pezzo di storia d’Italia. Di cui Speroni è stato uno dei protagonisti. Pubblichiamo un estratto del libro, che raccontala prima alleanza della lega con Berlusconi, dalla chiamata iniziale da Arcore alla caduta del primo governo Berlusconi per mano di Bossi.

La discesa in campo di Silvio Berlusconi
Nell’autunno del 1993, Speroni ricevette a casa una chiamata dalla batteria del Viminale, ovvero quel centralino dedicato a chi ricopre cariche pubbliche e che ha la funzione di filtrare le telefonate esterne. «Gli operatori mi dissero che c’era una chiamata per me da Villa San Martino 160 e chiesero se volessi accettarla oppure no. Non avevo idea di che posto fosse e chi mi stesse cercando, ma visto che cerco di essere sempre educato e disponibile, diedi il mio benestare e mi misi all’ascolto. Dall’altra parte della cornetta, c’era il Berlusca». Lo aveva contattato per incontrarlo nei giorni seguenti: «Fu molto generico sui motivi di quell’appuntamento, mi disse solo che desiderava parlare di politica con me e con Roberto Maroni, dato che eravamo i due capigruppo della Lega. Così avvisammo l’Umberto e ci presentammo a casa del Cavaliere a bordo della mia Rover 820 rossa». L’accoglienza nella residenza berlusconiana fu degna di un personaggio istrionico, energico e orgoglioso di stupire i suoi interlocutori in ogni maniera possibile. «Per prima cosa ci fece fare un giro della villa. Ci mostrò lo zoo, poi ci soffermammo al mausoleo che aveva fatto costruire all’interno e si lamentò molto del fatto di non poter mettere la tomba del padre lì dentro, a causa di alcune normative urbanistiche che lo impedivano. Ci fece visitare la sua fornitissima pinacoteca e la sala cinema. Finché, finalmente, ci spiegò il suo dilemma. Non sapeva se scendere in politica oppure no». Che fosse un vero dubbio o solo una tattica rispetto a una decisione invece già presa, questo Speroni non sa dirlo. «Si capiva, tuttavia, che la discesa in campo era qualcosa che lo tentava, anzi lo esaltava parecchio. Ci mostrò i provini che aveva fatto in quel periodo ad alcuni potenziali candidati per testare la loro capacità di bucare lo schermo. Aveva anche la famosa valigetta con il kit di Forza Italia, contenente bandiere, cappellini, felpe e tutti gli altri gadget riportanti lo slogan. Ci disse scherzoso: “È tutto già pronto, o per il mio impegno in politica, oppure per i Mondiali di calcio”.

Speroni ministro nel governo Berlusconi I. Rubò il posto a Miglio?
Il dicastero alle Riforme Istituzionali era ambito dal professor Gianfranco Miglio, che sperava di poter scrivere da quella posizione la storia dell’Italia Federale e, in effetti, la Lega inizialmente si batté affinché potesse essere il Prufesur a occuparsi delle riforme. «Ma ci furono diversi veti sul suo nome», spiega Speroni. «Qualcuno dice che fu il presidente Scalfaro stesso a sbarrargli la strada per via di screzi avuti in gioventù. Per altri furono invece sia Berlusconi che Fini a bloccarne la nomina, considerandolo eccessivamente estremista nelle sue posizioni. Fatto sta che si arrivò al punto in cui risultò impossibile far digerire il suo profilo e fu necessario compiere un passo indietro. Non dimentichiamo poi che Miglio era un eccellente professore, ma un conto è studiare e teorizzare, un altro rendere concrete certe idee dal punto di vista legislativo; quindi, si rischiava di avere una persona di levatura troppo elevata in una posizione che, nonostante tutto, richiedeva la capacità di fare una sintesi e ottenere un risultato vero. La Lega non aveva necessità di un teorico sofisticato in quel momento, non dovevamo pubblicare un saggio ma scrivere decreti. Così Bossi, per tutta una serie di motivi, si ritrovò con il cerino in mano e pensò a me per l’inserimento nella rosa di nomi da proporre al Colle. In fondo, fino a quel momento ero stato il primo e unico a stendere documenti parlamentari che spingessero nella direzione federalista».

Il ribaltone del 1994: ecco la verità
«Umberto Bossi, facendo cadere il governo, scelse la soluzione più giusta per evitare che continuassimo a perdere tempo, senza riuscire a raggiungere i nostri obiettivi. Fece bene a mollare quella coalizione, per evitare che i cittadini continuassero a identificarci con chi voleva lasciare tutto intatto, senza provare a cambiare le cose». Speroni fu uno dei grandi sostenitori dello strappo: «Mi misi dalla parte dell’Umberto in maniera netta, tant’è che, nel momento stesso in cui lui alla Camera diceva che avrebbe negato la fiducia a Berlusconi, io decisi di lasciare i banchi centrali che spettano ai rappresentanti del governo per spostarmi invece in tribuna. Mentre Bobo Maroni scelse di restare al suo posto fino alla fine di quella legislatura ormai al tramonto, esprimendo il dissenso per una rottura che riteneva non necessaria, io volli invece prendere le distanze sin da subito da coloro con cui eravamo stati elettoralmente alleati. D’altronde, l’unica cosa che avevo a cuore era avviare il federalismo e in quei mesi avevo raccolto non la sensazione, bensì le prove che non ce l’avremmo mai fatta».

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