Al via il censimento in Kosovo, i partiti serbi: «Va boicottato»
foto da Quotidiani locali
BELGRADO Censimenti, un impegno relativamente banale, nella maggior parte delle nazioni. Ma non nei Balcani, dove il conteggio della popolazione è una questione complicata. E ha sempre connotazioni etniche, provocando inevitabilmente tensioni e nuove crisi.
La conferma è arrivata in questi giorni dal Kosovo, dove venerdì è iniziato – ad addirittura tredici anni dal precedente, il primo della storia del Paese dalla sua indipendenza – il nuovo, attesissimo censimento. La conta permetterà, nelle intenzioni di Pristina, di capire con precisione quanti sono i kosovari rimasti in patria, rispetto ai poco meno di 1,8 milioni censiti nel 2011 – il 90% di etnia albanese – ma in quell’occasione i serbi, che non riconoscono – come Belgrado – l’indipendenza auto-dichiarata da Pristina nel 2008, fecero di tutto per rendere nullo il conteggio, con un boicottaggio quasi totale.
Questa volta andrà diversamente, la speranza delle autorità di Pristina, con l’Ask, l’agenzia statistica nazionale, che ha anticipato di aver addestrato e fornito adeguata preparazione anche «ad addetti al censimento» di etnia serba e «a loro supervisori», provenienti sempre dai ranghi della minoranza, una delle vie scelte per “convincere” con le buone i serbi del nord e delle enclave a partecipare al censimento, che dovrebbe concludersi il prossimo 17 maggio.
«Partecipate», l’appello lanciato anche dal premier kosovaro Albin Kurti, durante una controversa visita ad alta tensione nel nord del Kosovo. Ma a questo giro, oltre alla carota, è previsto anche il bastone. Parliamo infatti di «2 mila euro di sanzione» se un cittadino del Kosovo «si rifiuta di partecipare al censimento o fornisce informazioni errate» agli addetti, «riconoscibili da un documento di identificazione e da una divisa con logo» ad hoc, ha avvertito Avni Kastrati, il numero uno dell’Ask. Quali le aspettative? Nel 2011, ha ricordato Kastrati, nel nord del Kosovo a maggioranza serba il censimento non si poté neppure organizzare, a causa della strenua opposizione della popolazione serba, fedele a Belgrado, ma a suo dire i serbi che vivono al sud del fiume Ibar, nelle enclave più o meno piccole, parteciparono al conteggio, dopo che la scadenza fu prolungata. E quest’anno, pensa Pristina, ci sono le condizioni perché il censimento venga effettuato ovunque.
In realtà, il quadro appare fosco, forse peggiore di quello del 2011. Dopo un silenzio durato giorni, proprio nella giornata inaugurale del censimento i serbi si sono infatti espressi con un no unanime alla partecipazione, mentre sono state segnalate dimissioni di massa degli addetti serbi al censimento. È questa la posizione univoca decisa da tutti i partiti che rappresentano i serbi che ancora oggi vivono in Kosovo – circa 100 mila – dalla Srpska Lista, la formazione di maggioranza ed espressione degli interessi di Belgrado fino a compagini minori di opposizione, come Democrazia Serba.
«Cari cittadini, tenendo presente la repressione decennale del regime di Kurti contro il nostro popolo, che ha il fine di ripulire etnicamente tutto ciò che è serbo da queste regioni, mandiamo un chiaro messaggio» a Pristina, l’appello lanciato dai partiti serbi. Nessuno «partecipi al falso censimento», la richiesta ai serbi – che con altissima probabilità sarà recepita, malgrado il rischio di multe draconiane. Registrarsi sarebbe infatti «una grande umiliazione per la nostra gente, in un periodo in cui il diritto a pensioni e stipendi e all’assistenza sanitaria e sociale ci è negato», hanno rincarato, un chiaro riferimento alla “guerra del dinaro”, il divieto all’uso della valuta serba, voluto da Pristina, che ha provocato l’ultima grave escalation. Prima del censimento, ennesima miccia ormai accesa.
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