«Preso di mira per i miei richiami sulla sicurezza»: così l’ex portuale si è rivolto al giudice
MONFALCONE Quindici anni di lavoro in Porto, il contratto a tempo indeterminato. L’impegno, rigoroso e preciso, portato avanti con determinazione e la passione di chi non si stanca mai di imparare, di apprendere nuove abilità professionali.
Eppure l’investimento professionale al quale si è sempre ispirato, consapevole che il lavoro, per quanto duro e pesante, richiede massima attenzione e la dovuta concentrazione, si è trasformato in una sorta di “gabbia psicologica”, fino al licenziamento.
Portorosega ha fatto tanti passi in avanti, diventata una realtà di riferimento significativa, ancora ricca di potenziale per ulteriori sviluppi. Ma per l’ex portuale l’orgoglio di farne parte ed il senso di appartenenza gli sono gradualmente venuti meno. Il motivo? Quello di far presente circostanze implicanti questioni di sicurezza. Come la consumazione di bevande alcoliche.
«Durante i turni notturni la scorta di birre non mancava», spiega l’ex portuale ponderando le parole, ma mosso dal dovere di darne conto, anche considerato che «non si trattava di situazioni sporadiche e accadeva pure negli orari diurni. Si parla tanto di sicurezza, di procedure precise, proprie di quanto dispone la normativa con obblighi, monitoraggi e sistemi di controllo, che chiaramente tutte le aziende applicano, tuttavia, ho potuto constatare situazioni non corrette. Ho sempre cercato di far valere gli obblighi in materia di sicurezza e di segnalarne le inadempienze. Ma alla fine mi sono trovato “preso di mira”, fino ad essere minacciato».
Ne ha viste altre di violazioni, mezzi guidati pigiando l’acceleratore rispetto al limite dei 30 chilometri orari, riporta ad esempio. L’ex portuale ha mantenuto il suo spirito di osservanza delle leggi e delle regole, racconta, finché s’è infilato in un imbuto emotivo fatto di stati d’ansia e paura. «Dopo anni di sacrifici mi sono trovato a regredire di livello professionale, con mansioni sempre più gravose. Ha pesato il clima che mi ha circondato e la concatenazione di conseguenze che sono derivate». Insomma, il paradosso di passare dalla parte del torto, di chi “dice bugie” e quindi è “inaffidabile”. Rimproverato dai superiori, continua, davanti ai colleghi neo assunti, «mortificazioni che non meritavo visto che di errori non ne avevo proprio fatti».
Tutto s’è aggravato quando l’ex portuale ha presentato denuncia, nell’affidarsi ad un avvocato di fiducia. Il procedimento penale è in corso, per l’ipotesi di minacce. Le sofferenze gli hanno dato filo da torcere. Gli hanno scavato dentro, gli hanno “rubato” la serenità che lo accompagnava nel lavorare sodo, restituendogli l’«ossessione» di dolorosi imprevisti. Troppo. «Ho detto basta». Non sono mancate ripercussioni sulla salute. Le risorse non gli mancano, «sto recuperando e continuo ad affrontare la quotidianità a testa alta - dice -. Apprezzo le cose veramente importanti della vita. Mi hanno aiutato i colleghi che mi sono stati vicini e le persone che ho avuto la gioia di conoscere. Ciò a cui tengo particolarmente è cercare di dare un messaggio positivo, soprattutto a chi si possa trovare ad affrontare difficoltà e sofferenze». —