In valigia 42 chili di eroina, il pm chiede 22 anni di carcere
La pubblico ministero Laura Cameli ha chiesto una condanna a 22 anni di carcere per Abidin Karan, 52enne cittadino turco sposato con una italiana, ufficialmente residente a Varese, ma nella sua vita – tra tante professioni – anche titolare di un’attività di vendita di kebab a Este.
Per la pubblica accusa sarebbe stato lui al vertice di un traffico di stupefacenti molto ricco: un’indagine nata nel 2018 dalla caparbia, sospettosa curiosità di una cameriera dell’hotel Mercure di Marghera.
Entrata nella stanza di un cliente era stata colpita dal fortissimo odore di ammoniaca. E aveva dato l’allarme: sul posto gli investigatori della Squadra Mobile avevano trovato una valigia con 42 chili di eroina pura, ancora da tagliare.
L’operazione “Wolf” aveva portato poi all’arresto di sette persone, di nazionalità turca e irachena, accusate di traffico internazionale di stupefacenti. Secondo la ricostruzione, la droga proveniva dall’Afghanistan, via Albania e raggiungeva l’Italia a bordo di tir o auto, con meta Mestre o Marghera, finendo nascosta anche in un boschetto di Este in attesa di acquirenti.
Nel corso degli anni, tra patteggiamenti e riti abbreviati (con condanne definitive tra i 6 e i 9 anni di carcere, tenuto conto dello sconto di pena concesso dal codice di procedura), gli altri imputati hanno chiuso le loro pendenze giudiziarie e stanno scontando la pena.
Karan ha invece deciso di difendersi in un processo ordinario, davanti al collegio del Tribunale di Venezia presieduto dal giudice Stefano Manduzio, con i giudici Claudia Ardita e Marco Bertolo.
L’accusa
Nel corso della sua lunga requisitoria, la pm Cameli ha sottolineato tra l’altro come l’imputato non abbia mai collaborato alle indagini; ha ricordato una lunga serie di intercettazioni e pedinamenti che l’avrebbero collegato direttamente agli altri indagati dell’inchiesta, poi condannati, e allo spostamento dello stupefacente; ha ricordato che «l’eroina causa la morte di molte persone e quei 42 chili erano droga pura, che doveva essere ancora tagliata e avrebbe avuto un notevole valore sul mercato».
La difesa
L’avvocato difensore di Abidin Karan, da parte sua, ha parlato per ore – nel corso della sua arringa – per ricostruire la vita di un cittadino turco arrivato regolarmente in Italia nel 2000 e da allora «con un excursus da persona completamente incensurata, con statini Inps che attestano che ha lavorato prima al servizio di una famiglia, poi in una ditta da dipendente, quindi come imprenditore di sé stesso nella vendita di kebab e poi ancora come dipendente. Una persona dalla ottima condotta e rispettosa della legge: anche da detenuto, ha tenuto un comportamento modello. Quando la droga era in Italia lui era in Turchia. Era il figlio ad avere i contatti con gli altri coimputati e non il padre». Parola al Tribunale: sentenza di primo grado attesa per il 2 maggio