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La rivoluzione francese comincia dai campi



Agricoltori e allevatori insorgono per le normative e le tasse previste da bruxelles E a cui parigi si oppone troppo tiepidamente. Il rischio È una crisi devastante nel settore strategico per l’economia nazionale.

Non si parlava d’altro, in paese: il cartello che segnala l’inizio del comune era stato rovesciato. Anzi, non uno: tutti. Si pensava allo scherzo di qualche ragazzino. Ora sono diventati migliaia i comuni «sottosopra»: è l’originale forma di protesta dell’associazione dei giovani agricoltori (JA), considerata la sezione under-35 del potente sindacato agricolo Fnsea. «On marche sur la tête», dicono: è un mondo al contrario. E con questa forma di protesta hanno già ottenuto attenzione e solidarietà. Chiedono aiuti, chiarezza e visibilità: una pausa regolamentare. I centri urbani non hanno visto cartelli rovesciati finora ma in qualche caso, soprattutto in Bretagna, hanno già sentito l’odore della «fase due» della protesta, quella del letame e del fieno scaricati davanti alle prefetture e ad altri uffici amministrativi. E poi qualche rallentamento stradale, con cortei di trattori. Si guarda a Parigi ma anche a Bruxelles, a quell’Europa che firma accordi internazionali per importare prodotti fatti usando insetticidi, diserbanti, antibiotici che qui sono vietati. E che impone ai suoi agricoltori regole sempre più stringenti e costose. Gli incontri con il ministro dell’agricoltura e con il primo ministro Elizabeth Borne hanno avuto l’effetto di mantenere il clima di «vigile attesa».

Il governo ha promesso che entro fine anno annuncerà qualcosa sull’ambizioso progetto macroniano di trasformazione complessiva del mondo agricolo e che fornirà finalmente un calendario, dopo gli innumerevoli rinvii che hanno fatto seguito a mesi di consultazioni con le categorie. Prezzi, costi, proprietà terriere, riduzione dell’impatto ambientale e soprattutto il ricambio generazionale: sono tanti gli aspetti da regolare. Per ora Bruxelles ha rinunciato a includere gli allevamenti bovini nell’elenco delle industrie inquinanti e Parigi ha fatto marcia indietro sull’aumento delle tasse per diserbanti, insetticidi e acqua. Prime briciole per calmare una protesta. Sul resto gli agricoltori aspettano novità: fino a quando potranno pazientare? Panorama lo ha chiesto alla JA: «Il salone dell’Agricoltura potrebbe essere un buon momento», dicono. È la grande kermesse di fine febbraio a Versailles, non è possibile per un presidente della Repubblica e un governo sottrarsi all’evento. Quelle potrebbero essere le forche caudine del governo se non manterrà le promesse, e pure il momento simbolico dell’inizio di un’escalation della protesta, anche a livello europeo.

Ma già ora non c’è quasi giorno senza che si abbia notizia di qualche focolaio di protesta, qualche ufficio amministrativo invaso, qualche trattore per strada. D’altra parte, da anni non c’è giorno senza che un agricoltore si tolga la vita. Un dato che rappresenta drammaticamente le difficoltà del settore: le ultime cifre ufficiali risalgono al 2015 e parlano di quasi due suicidi al giorno (1,7) e soprattutto di percentuale largamente superiore rispetto al resto della popolazione. Tra gli allevatori di bovini i suicidi superano il 50 per cento. Da allora non sono state più pubblicate statistiche precise: «Perché fanno paura» conferma uno dei proprietari di stalle. Pascal Girin è seduto al tavolo di casa, con la maglietta sporca del lavoro di tutta la giornata. È tarda sera, non ha ancora mangiato. La sua azienda nel comune di Grandris, dipartimento del Rodano, conta 350 capi, di cui 120 sono mucche da latte. Producono 1,1 litri all’anno, è un’azienda di dimensioni medie per la Francia.

Lavorano in cinque, tra bovini e campi per la pastura e il foraggio. È agricoltura di montagna e i terreni scoscesi non trattengono l’acqua. Bisogna irrigare, ma da quindici anni un progetto per trattenere e recuperare l’acqua piovana non ottiene i permessi amministrativi. I permessi li ha invece ottenuti per un impianto di metanizzazione agricola, in funzione da qualche anno: un investimento da oltre un milione di euro che avrebbe dovuto essere recuperato con la vendita del metano. Solo che ogni anno cambia la regolamentazione e tocca rimettere mano al portafogli, tornare a investire per «rimetterci in fase con l’evoluzione regolamentare». Risultato: il bilancio ogni anno è a 0, l’impianto non consente di recuperare l’investimento iniziale e intanto ci sono da pagare gli interessi del mutuo. Sono tutti indebitati, gli agricoltori francesi: per 200 mila euro in media, molto di più nell’allevamento. Pascal, che l’anno scorso era presidente della Camera dell’Agricoltura del Rodano, vende gran parte del suo latte alla cooperativa più grande del Paese, la Sodiaal, che l’anno scorso ha aumentato il prezzo pagato ai produttori: 48 centesimi al litro. Ma i costi di produzione al litro in Francia come in Italia vanno oltre i 50 centesimi.

Poco meno di un decimo della produzione viene trasformata in formaggio venduto alla fattoria o va in vendita diretta a 1,10 euro al litro. Di più non può costare, «perché lì sotto c’è il supermercato e lì c’è il latte olandese che costa meno, anche se gli olandesi l’anno scorso hanno abbattuto migliaia di bovini perché Bruxelles non gli ha più concesso le deroghe che avevano sempre ottenuto». Presto arriverà anche il latte neozelandese, ora che l’Europa ha firmato l’accordo di libero scambio, e quando sarà firmato l’accordo con il Mercosur arriverà anche il latte argentino. La firma con l’America latina è bloccata principalmente dalla Francia: Macron dice di non poter sacrificare l’agricoltura francese per salvare l’Amazzonia. Ma anche a Macron qui credono in pochi: il governo e l’Europa chiedono di produrre più biogas e più latte, ma chiedono anche di avere meno mucche (le cui deiezioni sono utilizzate per produrre il metano). Non c’è un piano coerente, lamenta il produttore. Sono politiche contradditorie: a Bessenay, nel Lionese, sta per sparire la rinomata produzione delle ciliegie perché sono stati vietati prima un antiparassitario e poi il suo sostituto. I produttori non hanno più nulla per combattere un’infestazione dal moscerino drosophila suzukii dovuta al cambiamento climatico. Molti sradicano gli alberi. Però al supermercato si comprano le ciliegie spagnole prodotte con gli stessi insetticidi vietati in Francia. Stesso discorso per le barbabietole: il divieto di impiego per un prodotto fitosanitario ha fatto crollare la produzione, i prezzi dello zucchero sono saliti alle stelle e lo si importa da Paesi che usano lo stesso prodotto messo fuorilegge in Francia.

Siamo nel Beaujolais verde, una cinquantina di chilometri a nord di Lione: zona economicamente depressa, in cui l’economia principale è alimentata da legname e latte. Dalla fattoria dei Girin si vedono in lontananza, al di là della valle, i primi vigneti. Altra zona, altra produzione e altra crisi. La produzione quest’anno è buona ma scarsa, dicono. Merito e colpa del clima. In un incontro con il Prefetto, l’associazione dei produttori della zona dei cru del Beaujolais ha chiesto aiuti economici ma anche un aiuto politico per aprire nuovi mercati. «Il tempo politico-mediatico non è lo stesso tempo dell’agricoltura» hanno sottolineato i produttori «ci imponete vincoli sempre più stringenti, ma per cambiare metodi di produzione occorre tempo». Dalle parti di Bordeaux la sovrapproduzione è stimata a un milione di ettolitri e i prezzi sono crollati, anche a causa della perdita di alcuni mercati esteri. L’Unione europea nei mesi scorsi ha concesso via libera a una politica di distillazione d’emergenza e agli aiuti di Stato per sradicare i vigneti - quasi diecimila ettari nel solo dipartimento della Gironda. «Abbiamo costi di produzione intorno ai mille euro a botte e i prezzi di vendita sono scesi a 850 euro: lavoro in perdita» spiega un viticoltore «non posso nemmeno pensare di vendere il vigneto e andare in pensione, perché non trovo compratori». E già nell’ottobre scorso alcuni produttori della Francia meridionale rovesciavano un carico di vino spagnolo.

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