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Se la burocrazia frena i nuovi antitumorali



Quasi un anno e mezzo. È il tempo di approvazione dei presidi sanitari di ultima generazione a causa delle lungaggini tra Agenzia italiana del farmaco e Regioni, dopo l’assenso rilasciato dall’Europa. E questo genera, oltre a pericolosi rischi per i pazienti, anche un aggravio di costi per i bilanci della Sanità pubblica.

I farmaci innovativi sono un pilastro delle terapie oncologiche. L’Italia ha fatto importanti passi avanti nella cura dei tumori e oggi, per alcune tipologie, è aumentata la possibilità di guarire o di tenere sotto controllo la malattia con trattamenti che danno risultati soddisfacenti e consentono un’aspettativa di vita ben più lunga di quanto non accadesse in passato. In mezzo secolo, per esempio, la sopravvivenza per le donne con diagnosi di cancro al seno è passata dal 30 al 90 per cento. La ricerca è fondamentale. L’evoluzione e la diffusione delle terapie innovative è stata veloce. In tre anni, dal 2018 al 2021, in Europa sono state commercializzate 46 molecole anti tumore e l’Italia ha garantito la disponibilità a 38, collocandosi al terzo posto dopo Germania (45) e Svizzera (41) e davanti a Francia (33), Grecia (32), Svezia (30) e Spagna (26).

Appare pertanto un paradosso che per avere accesso ai nuovi farmaci, convalidati dalle autorità preposte, i pazienti debbano aspettare anni. Eppure una serie di fattori, dalle lungaggini burocratiche autorizzative ai problemi di bilancio, perché sono presidi sanitari costosi, rappresentano paletti all’arrivo rapido delle terapie salvavita sul bancone del farmacista, generando un ritardo nel trattamento dei pazienti i cui risvolti clinici sono di difficile valutazione. Basti pensare che l’iter di approvazione di un medicinale da parte dell’Agenzia del farmaco-Aifa, in genere successivo al semaforo verde dell’Ema (l’Agenzia europea), è di circa 14 mesi cui vanno poi aggiunti i «placet» regionali che variano dai 129 giorni di media del Piemonte ai 279 della Basilicata. Questo impasse mette a rischio la vita di persone affette da malattie gravi, potrebbe essere risolto con un riesame delle regole di approvazione dei medicinali. In Europa, il nostro Paese è ai primi posti per quanto riguarda il numero di farmaci resi disponibili ai pazienti, secondo solo a Germania e Danimarca, con 127 nuovi preparati introdotti tra il 2017 e il 2020; scende però al 14° posto della classifica continentale se si considera il «tempo di disponibilità» medio, ovvero il periodo necessario tra l’autorizzazione all’entrata in commercio e l’accesso alla lista di rimborso, con una media di 419 giorni come rende noto l’Aiom, l’Associazione di oncologia medica. Significa che il malato deve aspettare quasi un anno e mezzo per avere una terapia di ultima generazione.

Ci troviamo dunque di fronte a due alternative: o si abbreviano i tempi del «via libera», o si crea un sistema di accesso anticipato ai farmaci, permettendo ai pazienti di disporre di un trattamento che abbia già ricevuto l’assenso dall’Ema ma non ancora l’Autorizzazione all’immissione in commercio (Aic) da parte dell’Aifa. Gli esempi in Europa di questo percorso efficace non mancano. In Germania, tutti i farmaci sono disponibili sul mercato il giorno successivo all’approvazione dell’Ema, al prezzo stabilito dal produttore. Dopo una prima valutazione dei benefici, viene avviata la negoziazione del prezzo. Se non si arriva a un accordo entro una data prestabilita, subentra l’arbitrato.

In Francia i salvavita per malattie gravi e rare, sono resi disponibili anche prima dell’approvazione dell’Ema negoziando un prezzo con il produttore entro un tetto massimo di spesa. Per risolvere il problema della sostenibilità finanziaria, c’è un meccanismo di pay back, di compensazioni post-approvazione. Anche il Regno Unito prevede condizioni di accesso anticipato «pre-rimborso» attraverso il Cancer Fund. Una ricerca di Crea Sanità ha valutato quale sarebbe l’impatto di procedure veloci di accesso ai farmaci oncologici innovativi in Italia. Nel caso del carcinoma mammario, considerando i mesi necessari alla negoziazione del prezzo, con la procedura accelerata sarebbe possibile evitare oltre seimila casi di progressione con un risparmio economico potenziale per il Servizio sanitario nazionale di oltre 48,2 milioni di euro. Nel carcinoma polmonare si stimano invece oltre 1.700 progressioni che, se prevenute, farebbero economizzare al Ssn oltre 10,6 milioni. Infine, sarebbe possibile prevenire fino a 280 recidive di melanoma, con una minore spesa compresa tra 6,7 e 10,4 milioni di euro.

«Nel nostro Paese, ogni giorno, 1.070 persone si ammalano di cancro» afferma Saverio Cinieri, presidente della Fondazione Aiom «Nel 2022 i nuovi casi sono stati 390.700. La sopravvivenza a cinque anni è pari al 65 per cento nelle donne e al 59 per cento negli uomini, e raggiunge il 90 per cento in neoplasie molto frequenti come quelle della mammella e della prostata. Questi dati collocano l’Italia ai primi posti nel mondo per le terapie e dimostrano il grande livello raggiunto dall’oncologia italiana. Però i cittadini colpiti dal cancro devono attendere ancora 14 mesi per poter essere trattati con prodotti innovativi già approvati a livello europeo». Un’altra causa dei tempi prolungati sono i Prontuari terapeutici regionali. Accanto al Servizio sanitario nazionale, convivono infatti 19 Regioni e due Province autonome. E in 10 Regioni sono ancora presenti i Prontuari terapeutici (ospedalieri) regionali, cioè liste di farmaci prescrivibili all’interno degli ospedali, pubblici e privati, accreditati. Alcune Regioni, prima della commercializzazione, richiedono un ulteriore monitoraggio che è vincolante. «È un passaggio che non ha senso» ribadisce con vigore Cinieri e spiega perché: «Una volta che una commissione nazionale, quale è l’Aifa, ha stabilito prezzo e modalità di somministrazione del medicinale, e spesso non è altro che una traduzione in italiano di ciò che ha deciso l’Ema, non capisco perché una Regione debba rifare un’altra commissione per arrivare alle stesse conclusioni».

Inoltre le varie amministrazioni si comportano in modo diverso e il paziente è costretto magari a spostarsi per aver accesso a cure più adatte alla sua situazione. E non è detto che ciò avvenga, come si sarebbe portati a credere nel Mezzogiorno. Cinieri sostiene, ma non intende fare nomi, che anche in alcune Regioni del Settentrione si applica la trafila più lunga. Di qui la richiesta dell’Aiom di abolire i prontuari terapeutici regionali almeno per i farmaci oncologici e di consentire l’immediata disponibilità dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. E se dietro ai tempi lunghi ci fossero anche motivazioni economiche? I farmaci per malattie gravi sono molto costosi e le Regioni sarebbero indotte a temporeggiare. «È possibile» aggiunge Cinieri «ma a mio parere è essenzialmente un problema burocratico. La Regione ha la necessità di esistere, di ribadire il proprio ruolo, ma così si creano duplicazioni di passaggi in cui a rimetterci è il malato».

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