India, la grande ambizione
«Senza espandere la tela del pensiero, non possiamo creare la grande India dei nostri sogni. Il tempo di rimanere invischiati nelle piccole cose è passato» ha sentenziato il primo ministro Narendra Modi parlando in settembre davanti al Parlamento. E un mese prima, per l’anniversario dell’indipendenza dall’impero britannico, ha pure annunciato che il suo Paese, già quinta economia mondiale «è pronto a salire al terzo posto», dopo Stati Uniti e Cina, nel giro di cinque anni. L’India è la democrazia, con varie ombre, più popolata al mondo con 1,4 miliardi di abitanti e ambizioni di grande potenza, non solo regionale, ma globale. Un colosso a cavallo fra l’Indo-Pacifico, il Brics, gruppo di economie emergenti di mezzo mondo, gli ottimi rapporti con Washington e la mano tesa all’Europa con disegni strategici che riguardano da vicino anche l’Italia. «La relazione con l’India racchiude un grande potenziale nel settore privato. “Made in Italy” e “Make in India” sono visioni sinergiche, che promettono vantaggi reciproci per queste due grandi nazioni e antiche culture» spiega Vas Shenoy, rappresentante nel nostro Paese della Camera di commercio indiana e analista geopolitico. «L’attenzione sull’Italia come partner strategico per il Subcontinente sarà estremamente importante nel promuovere le relazioni commerciali bilaterali e realizzare le visioni dei presidenti Meloni e Modi».
Quello della Grande India è un piano ambizioso che verrà suggellato dal probabile terzo mandato di fila del premier in carica dopo le elezioni previste in primavera e dieci anni al potere alle spalle. Un’impresa riuscita solo all’eroe dell’indipendenza, Pandit Nehru. Narendra Modi, che gode di oltre il 70 per cento di popolarità, inizia a venire raffigurato come Hriday Samrat, «l’imperatore dei cuori» indù. Il suo partito nazionalista, Bharatiya janata party, conta su 301 seggi dei 543 del Parlamento. L’obiettivo è arrivare a 400 seggi o superarli per il progetto della Grande India che prevede anche il cambio con l’antico nome sanscrito del Paese, Bharat. L’«incoronazione» pre elettorale in salsa nazionalista avverrà il 22 gennaio con la mega inaugurazione del tempio di Rama ad Ayodhya, dove sarebbe nata la divinità indù. Molti musulmani (14 per cento della popolazione) lo considerano un oltraggio perché il tempio sorge sul sito di Babri Masijd, una moschea demolita nel 1992 da 150 mila fedeli induisti nello stato dell’Uttar Pradesh.
Non mancano le zone d’ombra, come si accennava: il nazionalismo spinto potrebbe portare verso derive autoritarie, il governo controlla pesantemente i media e la magistratura, e influenza i social. Non mancano tensioni con le minoranze, comunque consistenti in numeri assoluti, dai sikh ai musulmani fino ai cristiani (vedi box a destra), ma governare un Paese gigantesco e federale come l’India, composto da 28 Stati, non è un’impresa facile. L’opposizione arranca al seguito del declino del National Congress, lo storico partito di ispirazione socialista ridotto a una cinquantina di parlamentari, che non ha saputo liberarsi dal controllo della famiglia Gandhi. Rahul, nipote di Indira, l’ultimo rampollo della «dinastia» politica ha compiuto una lunga marcia di protesta arrivando poi alla creazione di un cartello di 28 partiti molto eterogenei riuniti nell’Alleanza inclusiva per lo sviluppo nazionale con l’acronimo I.n.d.i.a.. «Dopo 900 anni nel Paese si è risvegliata l’identità indù dell’80 per cento della popolazione» spiega Shenoy a Panorama. «Modi è un nazionalista, ma non un dittatore. E non ha mai proposto di cambiare la carta costituzionale a sua immagine e somiglianza».Le proiezioni di Goldman Sachs indicano che a metà del secolo la Cina sarà al primo posto dell’economia mondiale in termini di Prodotto interno lordo. L’India potrebbe tallonarla nel 2075 con 52,5 trilioni di dollari. A livello continentale il magnate indiano Gautam Adani è tornato a essere l’uomo più ricco dell’Asia nel 2024 con un patrimonio di 97,6 miliardi di dollari. Entrambi originari dello Stato del Gujarat, non è un caso che sia sempre stato molto vicino a Modi.
I rapporti con l’Italia sono molto migliorati, dopo la brutta pagina dei marò definitivamente archiviata. «Si è intensificato il dialogo politico, con frequenti scambi di visite, è stato siglato un importante accordo in materia di Difesa e dato forte impulso alla cooperazione economica» evidenziano dalla Farnesina. «L’interscambio commerciale è più che raddoppiato negli ultimi due anni dai 7,3 miliardi del 2020 ai 15 del 2023». L’Italia esporta in India più della Francia, primo partner di Delhi in Europa. Gli indiani guardano al nostro Paese soprattutto per la trasformazione dell’industria manifatturiera e meccanica. Giorgia Meloni è volata a Delhi prima in marzo, per lanciare il partenariato strategico e poi per il G20. Modi e il capo del governo italiano si sono subito intesi e nel G7 di quest’anno, con la presidenza italiana, il premier indiano dovrebbe essere un invitato speciale. «Si è creato un feeling fra i due leader e siamo al massimo del relazioni bilaterali che vanno continuamente alimentate» dichiara a Panorama l’ex ammiraglio Rinaldo Veri, di madre indiana.
Il 2 novembre è arrivato a Roma il ministro degli Esteri, Subrahmanyam Jaishankar, che ha sintetizzato: «Nell’Italia abbiamo trovato un partner». A cominciare dal Corridoio economico tra India ed Europa attraverso il Medio Oriente (Imec), firmato al G20 di Delhi. L’alternativa alla via della Seta cinese, che prevede una rete ferroviaria, marittima e ulteriori infrastrutture. Un piano che sopravviverà alla guerra a Gaza e mobiliterà fino a 600 miliardi di investimenti fra fondi europei e americani. Si calcola che il progetto, ribattezzato «Via del cotone», possa incrementare del 40 per cento il commercio fra India ed Europa. «Il Paese è il punto di congiunzione fra l’Indo-Pacifico e l’Indo-Mediterraneo» spiega ancora Shenoy. «Per l’Italia l’interesse è strategico e l’India vuole lavorare con Roma per aiutare a realizzare un piano Mattei molto solido soprattutto nella zona di influenza del Corno d’Africa». Delhi con l’allargamento del Brics punta a rappresentare il Sud globale, con un focus sull’Africa. Tutte mosse anti-Cina, rivale storico con una guerra sull’Himalaya alle spalle e scontri ad intermittenza.
L’India è una potenza nucleare con 120 testate atomiche che dipende per oltre la metà del suo arsenale dalla Russia, ma sta continuando a diversificare e riammodernare le forze armate, oltre un milione di uomini. Un processo lungo che mette sul piatto investimenti per 200 miliardi di euro nel settore Difesa nei prossimi anni. Francia in prima fila, ma rispunta l’Inghilterra e anche l’Italia è della partita. Difesa, spazio, cybersicurezza, il nostro Paese rafforza l’«asse» militare con l’India, grazie alla firma del nuovo accordo. In prima fila ci sono i colossi nostrani da Leonardo a Fincantieri. E potrebbero tornare in auge i siluri pesanti Black Shark, il munizionamento navale intelligente Vulcano, torrette, radar e anche elicotteri. «Il caso marò è definitivamente chiuso» spiega Veri, che si era occupato della vicenda. «C’è un grande interesse per la nostra industria della Difesa. La Marina militare ha fatto sostare le nostre navi in India e presentato prodotti e tecnologia italiani». Dopo l’invasione dell’Ucraina i russi, dal gennaio scorso, sono i principali fornitori di petrolio dell’India. In ottobre arrivavano quattro milioni di barili al giorno nonostante le sanzioni. La gran parte dei pagamenti, però, sarebbe ferma nelle banche indiane.