A Parigi trionfano degrado e senza tetto

Arranca ricolmo di turisti il bateau-mouche sulla Senna imbronciata dal mascaret che risale fino al Pont Neuf quando a Le Havre l’oceano ruggisce. L’onda lunga pare una premonizione. Sconvolge il sogno di grandeur che Emmanuel Macron ha immaginato sull’acqua livida del fiume specchio di Parigi: il 26 luglio, 120 barconi devono portare in crociera gli atleti delle Olimpiadi. L’attracco è sotto la Tour Eiffel ora blindata; è circondata da venditori abusivi e da biscazzieri di frodo che col gioco delle tre carte cercano di «alleggerire» i turisti. A vederli viene nostalgia di casa: sono spariti dalle aree di servizio dell’Autostrada del Sole per riemergere qui dove, nonostante l’Europa, siamo ancora les italiens; e non è sempre un complimento. Passano tronfi di una certa eredità militare i poliziotti a cavallo, fanno finta di nulla: ammettere che ai piedi di uno dei simboli di Parigi prolifera un suk appare un insulto alla memoria. Hanno designato il Trocadero come l’approdo della crociera olimpica con l’ultimo tedoforo che correrà navigando in mezzo a una folla (prevista) di almeno 600 mila persone fino allo Stade de France. È la prima volta che la cerimonia olimpica di apertura è pensata su un fiume, attraversando una metropoli che nell’attesa vive sospesa, mesta, come fosse agli arresti domiciliari.

Ancorché confortato dalla saggezza della première dame Brigitte, l’inquilino dell’Eliseo pare vivere un’ansia da prestazione che riflette e si riflette nell’inquietudine della Francia. Il neo governo dell’enfant gâté Gabriel Attal è già in crisi: polemiche sulla ministra della scuola (e in Francia ci tengono) Amélie Oudéa-Castéra che manda i figli alla privata, polemiche su Stéphane Séjourné, ex marito del primo ministro assurto al Quai d’Orsay, polemiche attorno alla ministra della cultura Rachida Dati, espulsa dai repubblicani, che annuncia alla vigilia delle Olimpiadi di volersi candidare a sindaco della capitale contro la socialista Anne Hidalgo peraltro ormai invisa ai parigini. E polemiche anche o soprattutto su Gérald Darmanin, il ministro degli Interni superstite dal governo di Élisabeth Borne, che Macron ha licenziato come si fa con la colf perché non produceva più consenso. Tocca a lui mantenere l’ordine, e dopo la legge sull’immigrazione che è passata grazie ai voti di Marine Le Pen ogni retata per tenere lontani dal centro di Parigi presunti terroristi o delinquenti comuni è bollata come un rigurgito fascista. È una Francia scontenta e più povera quella che si avvia alle Olimpiadi che Macron vorrebbe usare come rilancio della sua immagine e di quell’ambito da intellò bourgeois che lo sostiene. Ma ha dovuto ammettere: se ci fossero attentati nell’imminenza dell’evento dovremmo rinunciare a questa cerimonia sulla Senna. Ci sono già i piani d’emergenza, che Parigi vive ogni anno da anni e che si è fatta acutissima e palpabile durante il recente periodo natalizio. Hanno cercato di far sparire i clochard eppure lì dietro il Trocadero signore in dignitosi cappotti fané rovistano tra gli avanzi del mercato settimanale mentre l’immondizia s’ammucchia agli angoli delle strade un tempo eleganti. In zona Les Halles c’è un pellegrinaggio mesto di poveri dignitosi che si contendono la sopravvivenza in una caccia al tesoro alimentare. Sui lungosènna vogliono sfrattare i bouquinistes perché bisogna sorvegliare i parapetti: loro fanno resistenza passiva.

La Ville lumière ha abbassato le luci, ma nella penombra si vedono le rughe e i blindati della Gendarmerie. Sono 50 le società private incaricate di pattugliare, ai confini delle banlieue hanno eretto dei veri e propri «check-point Charlie». Per saperlo basta indicare a un tassista: mercato delle pulci a Saint-Ouen. È il più grande d’Europa. Oggi è una frontiera; prima di scendere dal taxi arriva il consiglio, quasi un ammonimento: nascondete i soldi, via gli orologi, non fermatevi. Saint-Ouen sono dieci ettari di trincee dove si vende tutto il falso possibile e si spaccia qualsiasi sostanza tutt’intorno al vero mercato delle pulci, dove ancora regge il fascino dei trovarobe. Si capisce che è un’altra Parigi: una baguette costa 80 centesimi, sui boulevard non meno di 4 euro.

Salendo a Montmartre cambia l’aria, c’è ancora un’atmosfera bohémienne, però assomiglia ai fiori che le polinesiane mettono al collo dei turisti. Parigi vera sta tra boulevard Haussmann, l’Opera, giù fino alla Madeleine, da place de la Concorde agli Champs-Élysées si vedono le uniche luci della festa: le Galeries Lafayette sono la mecca del consumismo, al Café de La Paix lo champagne accompagna il plateau royal di frutti di mare crudi. Lì accanto, sotto il portone della Societé Generale, il sancta sanctorum della finanza, c’è una tenda canadese sfondata con dentro un sans papier che puzza e russa. Il 4 febbraio la Hidalgo che finanzia le Ong per recuperare i naufraghi nel Mediterraneo (ma di chi affoga nel mare di miseria che circonda la capitale francese sembra interessarsi poco: i miserabili di Alexandre Dumas li hanno nascosti come la polvere sotto il tappeto), chiama i parigini al referendum contro i Suv: vuole triplicare il bollo e vietare la circolazione nel cuore della capitale (e già sono stati esiliati i monopattini elettrici). Difficile immaginarlo se si guarda il mondo da Place Vendôme dove c’è la più alta concentrazione di gioiellerie del mondo o percorrendo rue Cambon fino al Faubourg Saint-Honoré dove Hermès, Dior, Chanel, Yves Saint Laurent hanno fatto a gara per illuminare le ultime feste con fantasmagoriche istallazioni.

A meno di non accettare l’idea che Parigi sia la capitale dell’ipocrisia. E forse così è: settima città più cara del mondo dove un appartamento in periferia costa 10 mila euro al metro quadrato, sta perdendo diecimila abitanti all’anno. La piccola borghesia non si può più permettere Parigi, l’alternativa sarebbero le banlieue, ma ormai sono luoghi - per dirla con un capolavoro di Agnès Varda - senza tetto né legge. E la gente emigra. A sei mesi dalle Olimpiadi per gli alberghi si parla di aumenti del 500 per cento, da una media di 200 euro a mille a notte, per i trasporti pubblici si passa da 2 a 4 euro a biglietto con i carnet che raddoppiano a 32 euro per una sovrattassa olimpica. Perfino il Louvre rincara da 17 a 22 euro. È un modo per blindare Parigi ma anche per escludere dal sogno olimpico quel milione di persone che il 31 dicembre sugli Champs-Élysées hanno atteso il nuovo anno brindando sotto i cinque cerchi e l’Arco di trionfo in una città blindata.

Macron in vista delle europee dove teme una sconfitta a opera di Marine Le Pen - come leader di Renew spera d’imporre il suo modello a Bruxelles approfittando di una presunta debolezza tedesca e dell’opzione olimpica - parlando ai francesi ha scandito: «Siamo al nostro riarmo: la nostra storia di progresso non è finita. Nell’economia, sulla scena internazionale e nella nostra società siamo pronti a ripartire». Lo ha detto annunciando sei mesi di congedo parentale ai neogenitori dopo che per la prima volta nel 2023 sono nati meno di 700 mila bambini, lo ha detto osservando che il debito pubblico ha sfondato i tremila miliardi di euro, che il deficit è sopra il 4,4 per cento del Pil e il potere d’acquisto dei francesi è calato dello 0,6 per cento con un crollo dei consumi alimentari di tre punti. I gilet gialli sono sempre dietro l’angolo, le proteste per le pensioni sono solo sopite, i contadini sono tornati nelle strade con i trattori. Giulio Cesare nell’incipit del De bello Gallico scrisse: «Gallia est omnis divisa in partes tres». La Francia, come Parigi, oggi è divisa in tre parti: l’élite che s’ingrassa, la borghesia che s’immiserisce, i «diversamente francesi» che minacciano ogni giorno una rivolta. Macron s’affida al sogno olimpico. Disse di Roma quasi un secolo fa Pasquino: «Povera Roma mia de travertino te sei vestita tutta de cartone pe’ fatte rimira’ da ’n imbianchino venuto da padrone!».