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E due anni dopo Mosca non è caduta



I consumi sono cambiati, dovendo aggirare il blocco occidentale, ma l’economia è in crescita e la guerra ha un peso relativo sulla quotidianità. Così i pronostici di un collasso «causa sanzioni» non si sono avverati.

Ljuba, un’impiegata di 39 anni, è appena rientrata a Mosca da una vacanza in Turchia. «Come viviamo dopo l’inizio della guerra in Ucraina? Più o meno come prima, anche se l’incertezza per il futuro si fa sentire». E in effetti, girando per le strade della capitale russa, non hai la sensazione di vivere in un Paese in guerra. A Capodanno tutti i ristoranti erano affollati, compreso il lussuoso Metropol. Sono mancati solo i fuochi d’artificio, un po’ per il rispetto dei tanti caduti al fronte, un po’ per non fare da obiettivo ai droni ucraini. A quasi due anni dall’inizio del conflitto, e dopo12 pacchetti di sanzioni, la Russia è in piedi e il crollo dell’economia che molti in Occidente avevano preconizzato non si è visto. «I primi giorni dopo il 24 febbraio eravamo terrorizzati» dice ancora Ljuba a Panorama. «Il dollaro era schizzato troppo in alto e la gente faceva incetta, con i rubli che aveva, di qualunque bene durevole». E non solo di prodotti alimentari, ma anche di tecnologia di consumo o pezzi d’arredamento, magari da rivendere qualche mese - o anno - dopo.

Oggi il governo russo guidato da Mikhail Mishustin può tirare un sospiro di sollievo e sostenere che il periodo più complicato per l’economia russa sia alle spalle. Nel 2023, il Pil è cresciuto del 2,6 per cento secondo la Banca mondiale (3,5 per cento secondo la Banca centrale russa) ed è destinato a crescere dell’1,3 per cento nel 2024 (in Italia è previsto un +0,4). Qualche giorno fa Vladimir Putin ha dichiarato con enfasi che l’economia russa, in termini assoluti e a parità di potere d’acquisto, è diventata la quinta del mondo. Naturalmente a livello pro capite la musica cambia e la Russia è nel rating mondiale solo 55esima dietro la Grecia e appena sopra la Bulgaria. Le sue dimensioni assolute, comunque, la rendono ancora un «player» fondamentale dell’economia globale e la seconda potenza militare del pianeta. Ma com’è potuto succedere che la Russia abbia resistito così bene alle fortissime pressioni dell’Occidente? Com’è stato possibile quello che il settimanale economico Expert ha chiamato, con indubbia enfasi, «il miracolo russo»?

La proverbiale resilienza e la pazienza della popolazione spiegano solo in piccola parte ciò che è avvenuto. In primo luogo Putin ha saputo fare di necessità virtù. La fuoriuscita dal mercato russo di colossi come Ikea, Mercedes, Chanel, Apple - come di molte imprese del settore del design italiano - ha accelerato il ritorno all’autarchia (già iniziata dopo l’annessione della Crimea, nel 2014). Ecco che la Coca-Cola nella rete dei supermercati Magnolia è stata rimpiazzata dall’autoctona «Dobraya Kola» e ora si vedono per le strade molte meno macchine tedesche e molte più Haval, un marchio cinese di Suv e Crossover con modello base in vendita a poco più di 20 mila euro. Ci sono però almeno altri tre fattori che hanno reso relativamente impermeabile l’economia del Paese alle concentriche pressioni di Bruxelles e Washington. Il primo è il mercato del lavoro. I salari sono cresciuti notevolmente negli ultimi 18 mesi grazie alla carenza di manodopera. La parziale mobilitazione del settembre 2022 e la fuga dal Paese di centinaia di migliaia di giovani che non volevano finire a combattere sul fronte ucraino, hanno prodotto un risultato apparentemente paradossale: la più bassa disoccupazione nell’era Putin, attestata ora poco sopra il 3 per cento su scala nazionale e prossima al 2 per cento a Mosca.

C’è lavoro anche per gli «immigrati». Rustam, che di mestiere fa lo spalatore di neve, viene dall’Uzbekistan e ci dice che guadagna il corrispettivo di quasi 900 euro al mese, uno stipendio inimmaginabile al suo Paese. Il secondo fattore è stato l’aumento del debito pubblico per sostenere le imprese ma soprattutto lo sforzo bellico. Quest’ultimo è stato pagato in termini di bilancio con «meno burro e più cannoni», con la riduzione per esempio della spesa sanitaria ma soprattutto con un relativo aumento del rapporto tra debito e Pil che però resta intorno al 20 per cento. Ben poco rispetto allo straripante debito italiano anche se ciò deve essere messo in relazione alla tradizionale volatilità del rublo. A cui va aggiunta, fondamentale, un’industria bellica che marcia a pieno regime («885 mila addetti che vi lavorano a ciclo continuo di 24 ore» si è lasciato sfuggire Putin qualche mese fa), un volano quello delle armi, che per quanto artificialmente espansivo ha effetti visibili sulla produzione industriale.

Tutto per il meglio dunque? No, certo. Intanto perché le catene della logistica internazionale sono in parte saltate per la chiusura delle rotte verso l’Occidente e la mancanza di pezzi di ricambio degli aerei provoca sempre maggiori avarie, ritardi e cancellazione dei voli. Solo nello scorso dicembre si sono contati 119 stop di velivoli «per problemi tecnici». C’è inoltre la qualità della vita nelle grandi città russe, dove si misura il lifestyle della classe media urbana. Da questo punto di vista l’offerta è ora limitata e l’aumento dei prezzi conziona i consumi di elettronica ed elettrodomestici, abbigliamento e cosmetica. Il Paese ha comunque reagito, legalizzando nuovamente le «importazioni parallele». Ovvero una particolare forma di «contrabbando» che prevede la triangolazione da Stati terzi rispetto a quello del produttore, tra cui Cina, Emirati Arabi Uniti, India, la Turchia, Kazakistan. Naturalmente, dice a Panorama Dmitrij Svetlov, del Centro di assistenza legale per le attività economiche estere (Pravoved), «le importazioni parallele, cercando di sopperire alle richieste hanno i loro problemi, in primo luogo il costo per il consumatore». Nel settore auto, sono aumentati più del 50 per cento non solo i classici marchi amati dai russi della classe medio-alta, come Mercedes, Bmw, Porsche, ma sottolinea Svetlov, «i tempi di consegna dei ricambi stanno diventando lunghissimi».

Per gli acquisti di elettronica, le cose vanno anche peggio. Un telefono come l’iPhone 15 costa su Ozon, la Amazon russa, circa 1.800 euro, ovvero più di due volte che in Europa e con solo la garanzia del rivenditore locale. L’alternativa è il «Cinafonino». Già: almeno in parte, si sta realizzando quanto era già stato previsto all’inizio della guerra: per non dipendere dalla tecnologia occidentale la Russia finisce per dipendere da quella cinese. Invece, nel mercato della cosmetica, dove giganti come l’Oréal hanno abbandonato precipitosamente il mercato russo, per ora Pechino non ha soluzioni: ci si deve dunque affidare ai prodotti nazionali, poco amati dalle moscovite. Qualche giorno fa, negli storici magazzini Gum affacciati sulla Piazza Rossa, la commessa ha fulminato la signora che chiedeva una marca di shampoo italiano: «Non vendiamo merce d’importazione!». E non può che tornare alla mente l’Urss brezneviana, quando l’autarchia era completa, o quasi, e le donne russe fremevano per i profumi bulgari. Anche la mancanza di concerti di popstar internazionali e l’addio del cinema hollywoodiano ai multisala russi, provoca frustrazione soprattutto tra i giovani. Restano gli spettacoli di artisti «allineati», come Grigorij Leps, che si è fatto promotore di un’iniziativa bizzarra: paga ai coscritti una taglia di un milione di rubli - 10 mila euro - per ogni carro americano Bradley distrutto in in Ucraina.

Intanto, il sogno di ridurre il peso del dollaro (e dell’euro), che inizialmente sembrava possibile, non si è realizzato. Dopo un primo crollo devastante nel marzo il rublo si è rafforzato per molti mesi, fino a essere scambiato 50 a 1 contro dollaro ed euro, e questo grazie all’imposizione dell’acquisto della divisa russa ai Paesi occidentali di gas e petrolio, nonché al crollo delle importazioni straniere. Ma poi il biglietto verde - che qui resta pur sempre «bene di rifugio» - è tornato a correre, raddoppiando in pochi mesi il proprio valore (oggi è a circa 88 rubli). Certo, l’avanzata della «moneta non-amica» ha subìto rallentamenti da quando Elvira Nabiullina, la presidente della Banca centrale russa, ha portato i tassi d’interesse dal 7,5 al 16 per cento. In ogni caso, sul lungo periodo, tutti sono ben consapevoli che si tratta di palliativi. Così Mosca continua a vivere. E ad aspettare. Incertezza e «vigile attesa» restano gli stati d’animo più comuni nel Paese. Forse dopo le elezioni presidenziali del 17 marzo, e l’inevitabile rielezione di Putin, qualcosa diventerà più chiaro. Forse.

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