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Dopo Navalny, chi sono i nuovi oppositori di Putin



Alexei Navalny è morto e la Russia non si sente tanto bene. Ma questo non significa che le cose cambieranno al Cremlino. Perché, come dimostrano le manifestazioni di cordoglio del popolo russo, l’opposizione a Vladimir Putin esiste ma, per quanto ampia e diversificata, è in definitiva ancora microscopica e dunque ininfluente. Non rappresenta cioè un problema per la salute del regime, e somiglia semmai a un brutto raffreddore per il leader russo, un qualcosa di inevitabile nelle stagioni invernali.

Ecco perché Russia Unita, il partito del presidente, potrà vincere agilmente anche queste elezioni ed ecco perché il Cremlino continuerà, in patria e all’estero, con la sua politica imperialista, soprattutto adesso che l’Ucraina non ha le forze per respingere l’armata russa.

Vale inoltre la pena sottolineare come, anche con Navalny in vita (in carcere), il raffreddore non sarebbe diventato febbre e Putin avrebbe vinto comunque. E questo perché il popolo russo attualmente non ravvisa alternative credibili all’uomo del Kgb che si fece leader di una nazione alla sbando. Dopo oltre vent’anni, neanche i soldi degli oligarchi filo-occidentali o il golpe abortito di Evgenij Prigožin hanno scalfito nel profondo il potere putiniano, che rimane dunque saldo nelle mani del presidente e della sua ristretta cerchia familistica.

Vero è che, sotto la neve, germogliano le opposizioni: ma si tratta di realtà che come nascono muoiono, o che mai si tramutano in un contropotere capace di competere con il sistema. Lo dimostrano gli avversari più agguerriti contro Putin: ovvero quegli ultranazionalisti e neonazisti cui lo stesso Alexei Navalny aveva strizzato l’occhio in passato, che ritengono il presidente un traditore di quell’ideale che puntava a fare della Federazione Russa un etno-Stato slavo bianco, e che invece ha visto crescere in quantità musulmani e immigrati, ad alcuni dei quali Putin ha persino dato ruoli di primo piano (vedi il leader ceceno Ramzan Kadyrov, fedelissimo del capo del Cremlino). Centinaia di questi ultranazionalisti si sono offerti volontari per combattere a fianco dell'Ucraina, anche se, al contempo, molte altre milizie neonaziste combattono invece per Mosca; segno che l'ideale della Grande Russia ha la meglio su qualsiasi dubbio sulla leadership di Vladimir Putin.

Anche sinistra e comunisti sono divisi al loro interno: la leadership del Partito Comunista russo, ad esempio, ha approvato l’invasione di Putin, gettando la base nello sconforto e ancor più nell’irrilevanza politica. Molti, infatti, sono fuggiti altrove (Kazakhstan, Turkmenistan, Kirghizistan), per evitare di essere presi e spediti al fronte.

I liberali e gli oligarchi, ovvero le classi più abbienti del Paese, sono quasi universalmente contrari ai metodi e al governo di Putin da tempo immemore; e di certo sono contrari alla guerra. Ma sono talmente pochi, e per lo più all'estero, che non hanno mai rappresentato un centro di potere alternativo al Cremlino: né la Fondazione anticorruzione di Navalny né il magnate in esilio Mikhail Khodorkovsky, sotto i cui vessilli si è saldata la parte più «ragionevole» e «democratica» del popolo russo, non soltanto rappresentano due correnti tra loro separate, ma entrambe le opposizioni hanno patito come noto le purghe e sono oggi più indeboliti che mai. Allo stesso modo, le cellule anarchiche che hanno sabotato in modo proattivo lo sforzo bellico di Mosca e che sostengono Kiev e l’Occidente, sono poco più che fantasmi che vivono e operano nell’ombra, dunque a loro irrilevanti a livello politico e agli occhi del popolo.

Infine, c'è il dissenso – più marcato – all'interno delle regioni e delle repubbliche etniche russe, come la Bashkira, a maggioranza musulmana, dove le proteste sono scoppiate a gennaio dopo che l'attivista Fail Alsynov è stato incarcerato per aver incitato alla discordia etnica e aver screditato l'esercito, mettendo anche in discussione lo sforzo bellico e i suoi obiettivi.

A tal proposito, le statistiche dicono che sono quasi 20 mila i russi che sono stati arrestati per attività contro la guerra nell’ultimo anno e centinaia quelli condannati in seguito all'invasione dell'Ucraina. Tra questi, l'alleato di Navalny, Ilya Yashin, imprigionato per otto anni e mezzo per aver trasmesso in live streaming presunti crimini di guerra nella città ucraina di Bucha. Altro esponente silenziato è il russo-britannico Vladimir Kara-Murza, condannato a 25 anni per tradimento e che, come Navalny, è sopravvissuto a due tentativi di avvelenamento che lo hanno reso fisicamente impotente e mentalmente instabile.

Vero è che esistono, invece, a livello governativo e delle forze armate, delle correnti che si oppongono alle strategie di Vladimir Putin più che all’uomo stesso: sono coloro che si opponevano all’invasione dell’Ucraina e che mal sopportano quelli che molti cremlinologi moscoviti chiamano con il termine dispregiativo di «corte», ovvero quel nebuloso cerchio magico di collaboratori stretti, parenti e inservienti, personal trainer e amici-oligarchi, guardie del corpo e confessori, che possiedono un accesso privilegiato al leader. «Sono loro che alimentano le antipatie e i capricci del presidente, che incoraggiano i suoi hobby e le sue antipatie, che gli suggeriscono di costruire sempre nuovi palazzi e arene da hockey che producano occupazioni e tangenti per chi gli sta intorno» li descrive l’esperta di Russia Anna Zafesova.

Amici, colleghi, commilitoni e vicini di dacia di Putin hanno ricevuto cariche e appalti, diventando miliardari grazie allo Stato guidato dal loro altolocato compagno. Ma molti altri ne hanno pagato il prezzo e sono stati silenziati, estromessi quando non direttamente eliminati. Altri vecchi alleati di Putin sono invece usciti dal cerchio magico perché hanno preferito mettersi a distanza di sicurezza.

In definitiva nessuno, né le élite russe al potere né le opposizioni alla base, riescono a sciogliere il «dilemma Putin»: anche se potessero, sostituirlo e avviare un regime change significherebbe rischiare di travolgere tutto, di consegnare cioè la Russia al caos e di pregiudicare il suo ruolo di potenza globale. Nondimeno lasciare che Vladimir Putin prosegua con la sua politica imperialistica sempre più aggressiva significa aggravare la salute del paziente Russia, col rischio che Putin si spinga oltre il punto di non ritorno, danneggiando il Paese più di quanto non lo ha aiutato a risollevarsi dalle macerie dell’Unione Sovietica.

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