Texas, nuova frontiera hi-tech

Da inizio 2024, i newyorkesi si trovano a un bivio: rimanere o andarsene. In molti l’hanno già fatto. Gravati da tasse sempre più alte, regolamenti soffocanti, criminalità che dilaga e senzatetto in aumento, scuole in fallimento e un’atmosfera che ostacola il tradizionale spirito imprenditoriale americano, negli ultimi 12 mesi ben 102 mila abitanti hanno lasciato la Grande Mela, un trasferimento interno superiore a qualsiasi altro Stato a stelle e strisce. Destinazione privilegiata: il Texas. Di un esodo analogo è protagonista la California, governata dai democratici e presa d’assalto dai migranti (si veda a pag. 46) che, invece, Austin, la capitale texana, si rifiuta di accogliere.

Chi ha lasciato New York o la West Coast per il Lone Star State - il Texas si chiama così perché esibisce un’unica stella sulla bandiera - voterà probabilmente il 5 marzo alle primarie democratiche e repubblicane, un giorno cruciale in vista delle presidenziali. Ma l’attrattiva che questo Stato di confine esercita è bipartisan: dopo che gli elettori hanno approvato lo scorso novembre la «Proposition 4», sancendo un clamoroso taglio delle tasse immobiliari da 18 miliardi di dollari, è visto come un bengodi. Oltre a garantire un risparmio medio annuo pro capite di almeno 1.300 dollari sulle tasse di proprietà, la nuova normativa ha abbattuto le imposte sui franchising, garantendo un ambiente ideale per grandi e piccole imprese. Del resto, il surplus da 332 miliardi dollari del Texas è una testimonianza del suo impegno per quanto riguarda la stabilità finanziaria, in un momento in cui altri Stati sono alle prese con voragini nei bilanci. Quello di New York per esempio, che al pari della California segue il modello della «Bidenomics» con un boom delle spese e prestiti senza limiti, sta affondando nel deficit. E questo nonostante le sue tasse siano le più alte negli Usa. Ha appunto una previsione di bilancio in rosso per 22 miliardi di dollari, e ancora peggio fa la principale area metropolitana con al centro Manhattan.

All’opposto, c’è Dallas: la zona più popolosa del Texas è diventata uno dei maggiori hub di servizi finanziari degli Usa, con oltre 32 mila nuovi posti di lavoro nel settore e un elenco impressionate di aziende che hanno scelto di trasferirsi qui negli ultimi mesi. Ecco dunque il forte insediamento di colossi finanziari come JP Morgan Chase, Capital One, Goldman Sachs, Wells Fargo e Bank of America. Del resto le politiche a favore delle imprese, un governo agile e una bassa fiscalità hanno fatto di questa realtà di frontiera un faro per tutti coloro che negli Stati Uniti cercano opportunità di crescita. Un’altra città emblematica, Austin: con il suo vibrante settore tecnologico da anni ospita sempre più attività di Elon Musk e perciò si è guadagnata il soprannome di Silicon Prairie, la «Prateria del silicio», sottraendo alla Silicon Valley lo scettro di faro statunitense dell’innovazione. Quando il tycoon dell’hi-tech lasciò la sua casa in California, nel dicembre del 2021, disse di aver perso la pazienza a causa dei regolamenti e delle tasse nello Stato, dove Tesla aveva la sede prima di trasferirsi in Texas. Lo scorso marzo, il Wall Street Journal ha scritto che Elon ha iniziato la costruzione di un suo agglomerato urbano fuori Austin, dopo avere acquistato migliaia di acri di terreno, «una sorta di utopia texana lungo il fiume Colorado», è la sintesi del quotidiano statunitense, dove i suoi dipendenti andranno a vivere e lavorare.

Quando, a inizio di febbraio, Musk ha chiesto ai suoi oltre 170 milioni di follower su X se Tesla dovesse spostare anche la sua sede fiscale dal Delaware al Texas, Greg Abbott, il governatore repubblicano dello Stato, è intervenuto dicendo: «Elon, è finita. I tuoi follower hanno scelto per noi». Immediata la reazione di Musk: «Il voto pubblico è inequivocabilmente a favore del Texas! Tesla si attiva immediatamente per un voto degli azionisti e per trasferire la residenza fiscale qui». Non a caso, proprio il Lone Star State aprirà il prossimo primo di settembre un tribunale commerciale modellato sul sistema del Delaware, come confermato da James Spindler, professore di diritto ed economia presso l’Università di Austin. Ma non c’è soltanto Musk. Anche Apple ha confermato il trasloco dello strategico team sull’Intelligenza artificiale, il Data operations annotations (Doa) che lavora anche su «Siri», da San Diego (California) al Texas. Apple riunirà quindi i due team Doa degli Stati Uniti nel campus di Austin «dove c’è la maggior parte dei nostri dipendenti», ha annunciato l’azienda che vuole fare della capitale texana il suo hub più grande al di fuori della sede di Cupertino, con un complesso da un miliardo di dollari. Anche nella produzione aerospaziale il Texas vanta numeri da primato, ospitando 18 dei 20 maggiori costruttori tra cui Axiom Space, Intuitive Machines e SpaceX: Houston è celebre per il volo spaziale umano, l’addestramento degli astronauti e il controllo delle missioni; Dallas per l’ingegneria, la produzione e la difesa e Austin per la produzione di piccoli satelliti, software e sistemi di lancio.

Nel giugno scorso, sempre il governatore Abbott ha istituito la Texas Space Commission, investendo 350 milioni di dollari nello sviluppo dell’industria spaziale statale, mentre Firefly Aerospace, con sede ad Austin, ha vinto di recente un contratto della Nasa da 112 milioni di dollari per le missioni sulla Luna e si sta espandendo nel Texas centrale. «Abbiamo scelto quest’area per diversi motivi: concentra un’incredibile ricchezza di innovazioni tecnologiche ed è vicina alle università del Texas che eccellono nell’ingegneria dove possiamo reclutare talenti di alto livello» dice il Ceo Bill Weber. E aggiunge che Firefly Aerospace sta raddoppiando la sua struttura di test «Rocket Ranch» a Briggs, a poca distanza da Austin, zona che conta già 81 aziende aerospaziali con oltre 13 mila persone impiegate, e garantisce il 14 per cento nel Pil nazionale del settore. Altra azienda tra le più importanti nel panorama hi-tech locale è la Dell Technologies, che ha stabilito la propria sede a Round Rock; per non dire dell’Ibm che, grazie ai centri di ricerca e sviluppo e le numerose partnership con le università, svolge un ruolo determinante nell’industria d’avanguardia texana. Non è un caso che la Silicon Valley, negli ultimi due anni, abbia perso quasi 2.500 lavoratori del comparto tecnologico; parallelamente, stesso settore e medesimo periodo, la sola area metropolitana di Dallas-Fort Worth ha fatto 30 mila nuove assunzioni.

Lo Stato della stella solitaria sta dunque diventando un esempio dell’economia statunitense che funziona, persino per quanto riguarda gli obiettivi ambientali: secondo gli ultimi dati dell’Energy information administration, infatti, genera più di un quarto di tutta l’elettricità eolica dell’Unione e l’anno scorso ne ha prodotto 114 mila megawattora, otto volte di più della decantata West Coast «verde», che si ferma a 14.600 megawattora. Più che «sognando California», ormai la realtà da toccare con mano si chiama Texas.