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Anche in Canada la casa è un lusso

Non succede soltanto nelle grandi e medie città italiane. I prezzi per l’acquisto e l’affitto sono alle stelle pure Oltreoceano. Tra le cause c’è l’immigrazione, necessaria per il Paese, ma dai ritmi troppo veloci. Su come gestirla (e su come costruire nuove abitazioni) è battaglia tra liberali e conservatori.

E' stato un Natale triste quello del 2023 per la famiglia Mensah a Kelowna, una città grande come Cagliari - 150 mila abitanti - in una zona rurale a vocazione turistica della British Columbia, Canada. Samuel e sua moglie Sophie sono emigrati dal Togo 15 anni fa. Hanno quattro figli, tutti nati qui. Il capofamiglia, una laurea in legge, lavora come giardiniere, carpentiere, manovale. Dieci, dodici ore al giorno, per portare a casa 3.500 dollari canadesi, circa 2.400 euro, al mese. Sophie, al momento, si occupa di tirare su i ragazzi. Vivono in affitto al pianterreno di una detached home, una villetta unifamiliare: due camere da letto, cucina, un fazzoletto d’erba dove i ragazzi possono giocare d’estate. Il proprietario della casa, però, a dicembre ha comunicato ai Mensah che ha bisogno urgentemente dell’appartamento per la figlia, che ha appena divorziato. Forse è un appiglio legale per sfrattare la famiglia togolese e aggiornare l’affitto ai livelli di mercato: 2.500 dollari al mese. A Samuel e Sophie ne resterebbero mille, meno di 700 euro, per mantenere una famiglia di sei persone. Impossibile. Una storia di ordinaria immigrazione, si direbbe. Invece c’è dell’altro. Con la popolazione in aumento, a Kelowna c’è un deficit di cinquemila case rispetto ai bisogni, e ne servono altre 26 mila entro il 2030. In cinque anni il prezzo delle abitazioni è salito del 55 per cento e quello degli affitti del 32 per cento. In riva al lago, le dimore da milioni di dollari dei giocatori di hockey, mentre «downtown», nel centro cittadino, vagano gruppi di persone che hanno perso l’alloggio.

Sono solo una frazione dei 300 mila canadesi passati alla condizione di «senzatetto» negli ultimi sei mesi. Il punto è che i numeri della crisi abitativa in tutto il Canada sono devastanti: è il Paese del G7 con il minor numero di case ogni mille residenti, i prezzi immobiliari medi più elevati e i maggiori livelli di indebitamento delle famiglie. Un nucleo con un reddito medio pari a 55 mila euro all’anno potrebbe permettersi una casa da 220 mila euro, con un mutuo massimo da 200 mila. Il problema è che il prezzo medio è pari a 520 mila euro, a Toronto e Vancouver supera circa i 700 mila. Come ha calcolato Ratesdotca, il prezzo di una casa è del 140 per cento superiore a quello che può permettersi una famiglia.

La bolla immobiliare nelle metropoli di Toronto e Vancouver, dovuta ai bassi tassi di interesse e degli investimenti speculativi esteri negli ultimi 20 anni, si sta sgonfiando lentamente, ma gli affitti continuano la loro corsa: +11 per cento nel 2023. Molte aree del Paese sono proibitive per chi aspira a una prima casa: per la Canadian Mortgage and Housing Corporation, vent’anni fa le famiglie destinavano il 40 per cento del loro reddito disponibile all’acquisto di un’abitazione. Oggi non basterebbe il 60 per cento. Per ripristinare la sostenibilità perduta, servono sei milioni di case nuove entro il 2030, tre milioni e mezzo in più del previsto. Vorrebbe dire costruirne 700 mila all’anno, ma nel 2022 si è arrivati appena a 320 mila. Impossibile realizzarne di più, con l’impennata dei tassi di interesse e il costo dei materiali alle stelle, a causa della pandemia e delle tensioni internazionali. Al di là dei numeri, l’impatto sociale del caro-immobili è tangibile.

È cresciuto appunto il numero dei senzatetto, le famiglie abbandonano i grandi centri urbani, si torna a vivere con i genitori, si dividono le spese di affitto con amici, quando va bene, o con perfetti sconosciuti, quando va male. Il subaffitto non è più solo una risorsa per gli studenti, ma una necessità anche per i professionisti delle città maggiori. Secondo i ricercatori della rivista Works in Progress, la crisi abitativa non è solo canadese e dagli anni Ottanta influisce su molti dei guai dell’Occidente: lo stallo nella crescita, il cambiamento climatico, le malattie croniche endemiche come l’obesità, l’instabilità finanziaria, la disuguaglianza economica, il calo della fertilità. È chiamata «Teoria abitativa del tutto», riferendosi a un malessere che però in Canada appare più acuto che altrove. Quanto alle cause, le politiche migratorie, tra le più aperte al mondo, sono le prime a essere messe sott’accusa.

Nel 2022, la popolazione ha avuto un aumento record di 1,2 milioni di unità. Altri 430 mila nuovi arrivi nel terzo trimestre del 2023: nulla del genere dal 1957, quando i «Baby boomers» riempivano i reparti maternità e il Paese apriva le porte agli ungheresi in fuga dall’invasione russa. Nonostante questo, i liberali del primo ministro Justin Trudeau hanno confermato l’obiettivo di 500 mila nuovi residenti per il 2025 (il doppio del 2014), indispensabili per riempire la voragine aperta nella forza-lavoro dal pensionamento dei «Baby boomers». Per il 98 per cento è un aumento dovuto all’immigrazione: quella permanente (+600 mila unità all’anno negli ultimi cinque) e quella temporanea, fatta di lavoratori stranieri e di studenti internazionali che rimpinguano i bilanci dei college e delle università, facendo del Canada la terza meta per formazione superiore al mondo, dopo Stati Uniti e Gran Bretagna. Alla fine del 2023, su una popolazione di 40 milioni di abitanti, i residenti temporanei erano due milioni e mezzo. Il punto più controverso, però, resta quello del numero di residenti permanenti.

Per la National Bank non si dovrebbe superare la soglia annuale delle 300 mila unità, mentre per il leader dei conservatori, Pierre Polievre «è ora di collegare il numero di immigrati al numero di case costruite, ai posti di lavoro e alla disponibilità di dottori». David Hulchanski, professore di edilizia abitativa all’università di Toronto, la pensa diversamente. E riflette: «Legare l’immigrazione alla disponibilità di alloggi presuppone, erroneamente, che tutti gli immigrati siano uguali. In realtà, chi arriva per ricongiungimento familiare tenderà a vivere in famiglia, mentre magari un immigrato ricco potrà permettersi un alloggio a prezzi gonfiati».

L’immigrazione non è tuttavia l’unica ragione della crisi. Lo squilibrio tra domanda e offerta, mai così elevato da 50 anni, non è nuovo: vengono rispolverati quindi i «piani casa» del Dopoguerra, quando si sono realizzate centinaia di miglia di abitazioni per dare un tetto ai reduci del conflitto. La Bank of Canada ha fatto sapere che ridurrà i tassi di interesse quando l’inflazione sarà tornata al 2 per cento (obiettivo arduo con la spesa pubblica in aumento), mentre gli affittuari scioperano, a Toronto e Vancouver, contro i proprietari, solerti ad adeguare l’affitto al mercato, ma non a pagare le manutenzioni. Liberali e conservatori si accapigliano su come affrontare il dilemma. I primi vogliono raddoppiare le costruzioni nei prossimi 10 anni, esentandole dall’imposta sul valore aggiunto. I secondi propongono la legge Building homes, not bureaucracy act, per «premiare» le città, dove i residenti canadesi sono quattro su cinque, in cambio dell’impegno a costruire il 15 per cento in più di case.

Il New Democratic Party, fedele alle proprie radici, chiede di rilanciare l’edilizia sociale (solo il 5 per cento delle case oggi rientra nella categoria) per aiutare le famiglie in difficoltà e dare alloggio ai senzatetto, con l’obiettivo di arrivare a un milione di unità entro il 2030, con miliardi di dollari di finanziamento federale all’anno. Si discute anche di re-zoning, ovvero dell’allentamento delle norme urbanistiche per costruire anche nelle zone a elevata densità abitativa. È un po’ la ricetta proposta dagli economisti Gilles Duranton e Diego Puga per New York: ripristinando livelli di popolazione simili a quelli del passato, gli affitti e i prezzi delle case scenderebbero verso i costi di costruzione, mentre oggi sono da due a quattro volte maggiori. Il settore edilizio chiede incentivi per costruire edifici a prezzi accessibili o destinati all’affitto, ma sta anche esplorando soluzioni innovative, come prefabbricati o «costruzioni modulari», che costino non più di un’automobile.

Il paradosso è che, secondo la Camera di commercio canadese, quasi la metà delle aziende del comparto ha carenza di manodopera: 80 mila posti vacanti, pronti a diventare 300 mila entro il 2032 per l’invecchiamento demografico. Anche per questo il governo ha creato una corsia preferenziale destinata agli immigrati con professionalità nell’edilizia. Muratori stranieri per risolvere il problema della casa, creato soprattutto dall’immigrazione. Logico, no?

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