Fiamma Nirenstein: «Gli ebrei sono al centro del mirino»
«Mai più». È uscito un libro che somiglia a un grido. E non è quello lirico che si avverte ogni anno al Binario 21 di Milano tra fiaccole e lacrime retoriche, ma quello definitivo, intriso di sangue e polvere che si avverte nell’aria di Gerusalemme per dimostrare che «gli ebrei non si difendono solo da morti». L’urlo esce, potente, dalle pagine di 7 Ottobre 2023 - Israele brucia (editore Giubilei Regnani), scritto da Fiamma Nirenstein, giornalista e saggista, testimone di quella che lei stessa definisce una «guerra di sopravvivenza». Dalla Città Santa, dove vive, l’autrice osserva le ipocrisie dell’Occidente, l’antisemitismo riaffiorante, la Storia piegata dall’ideologia. Ne deriva un diario con toni da Oriana Fallaci verso l’altra verità. Quella che le piazze non raccontano.
Fiamma Nirenstein, il 7 Ottobre è un altro 11 settembre?
Perfino di più, perché è ancora in corso. Ma come l’11 settembre definisce un mondo spaccato in due. Da una parte c’è un Occidente guidato dalla coscienza, dove è possibile compiere qualsivoglia atrocità, dall’altra un mondo per il quale esiste solo una fanatica ambizione di vittoria con carattere messianico.
In che senso?
Per Hamas la vittoria su Israele è un fattore divino, in nome di cui è lecito tagliare la testa ai neonati, sparare alla nuca a ragazze inermi, gettare i vecchietti nelle più buie gallerie di Gaza e farli scomparire. Un disegno di violenza e atrocità inimmaginabili.
Perché quel giorno Israele si è fatto sorprendere in modo così disarmante?
Per una serie di motivi legati alla frattura politica fra Benjamin Netanyahu e i suoi avversari. Erano tutti così concentrati sul loro antagonismo da prestare il fianco all’aggressione. Distrazione completa ma anche presunzione. Era già successo. Dopo la vittoria nella Guerra dei sei giorni nessuno si aspettava l’attacco nella Guerra del Kippur. Ora c’è un governo di unità nazionale e Netanyahu è un comodo bersaglio per chi vuole lavarsi la coscienza.
Cosa intende per presunzione?
La presunzione della forza tecnologica, della capacità di stare dentro l’Occidente da protagonista, perfino della medicina che ha visto Israele superare l’emergenza pandemica meglio di molti altri Paesi. E poi la prosopopea occidentale di oggi: buoni con tutti, accoglienti con tutti, dialoganti con tutti. Volevano dialogare anche gli abitanti dei kibbutz vicino a Gaza; erano tutti pacifisti. Pacifisti trucidati per l’equivoco del grande abbraccio.
Da Gerusalemme che obiettivo scorge?
L’unico possibile, vincere una guerra e cancellare l’organizzazione terroristica più feroce e odiosa. È un’operazione difficile perché Hamas ha nazificato Gaza. Con le strutture civili, come scuole e ospedali, piene di armi. Nei 16 anni al potere Hamas ha riempito ogni buco di bombe e mitra. E ha ci messo davanti i civili come scudi umani. Chi dirige gli ospedali a Gaza, in realtà sta di guardia a fortezze militari.
Nel libro spiega che l’antisemitismo non è mai morto.
L’avevo messo nero su bianco anche in volumi precedenti e purtroppo avevo ragione. All’inizio c’era un antisemitismo religioso: gli ebrei avevano ucciso Cristo. Poi è subentrato l’antisemitismo razziale, ed ecco l’Olocausto. Oggi l’antisemitismo di ritorno ha una radice sovietica nata con la Guerra fredda e fatta propria dall’Islam radicale. La narrazione di Israele come stato coloniale, violento, che nega i diritti umani è una falsità fatta propria dai movimenti studenteschi «woke». La storia non ci ha insegnato nulla.
La distinzione fra ebrei da rispettare e israeliani da condannare sta in piedi?
No, è pura ipocrisia di chi manifesta nelle strade di Roma, Londra, New York. Mentre i terroristi massacravano le persone nei kibbutz, non indicavano e insultavano gli israeliani ma gli ebrei. Quando accusi un popolo di occupare dei territori significa che ritieni tutto questo un crimine, ma nessuno ha fatto un solo corteo per l’occupazione del Tibet da parte della Cina. Si accusa Israele di violare i diritti umani ma a nessuno interessa ciò che avviene in Iran. E nessuno ha alzato la voce per i massacri di Assad in Siria. Perché? Perche qui, al centro del mirino, ci sono gli ebrei.
Sembra impossibile dopo le tragedie della Storia.
Eppure l’antisemitismo ha rialzato la testa. Ai ragazzi che vanno in piazza non interessa neppure la storia del Medioriente; loro sono convinti della versione ideologizzata in cui i palestinesi sono solo vittime. Ma chi scandisce «Palestine free / from the river to the sea» non sa neppure di quale river e di quale sea si stia parlando. Ma da chi dovrebbe essere liberata la Palestina, se non da Hamas? Peccato che il segretario dell’Onu António Guterres non lo sappia.
Il ruolo dell’agenzia Unrwa è davvero così equivoco?
È l’unica agenzia per profughi che non li ricolloca ma li conserva. Un profugo palestinese ha diritto di tramandare la propria condizione ai discendenti: 75 anni fa erano 500 mila, adesso sono cinque milioni. Ai figli dei figli dei figli non viene chiesto né di integrarsi, né di imparare la lingua, né di essere pacifici. Non c’è scuola Unrwa in cui non siano state trovate armi e munizioni. Le pareti sono tappezzate delle foto dei cosiddetti martiri. A cinque anni i bambini giocano con i mitra di plastica, a otto si allenano con quelli veri.
Israele è accusato di colonialismo ai danni dei palestinesi.
Una falsità. Gli ebrei erano abitanti aborigeni di questa terra e quando venivano cacciati ci tornavano. La famosa partizione del 1948 fu rifiutata dagli arabi, che si lanciarono in una guerra infinita e non accettarono la condivisione riproposta in mille modi, compresi gli accordi di Oslo traditi da Yasser Arafat, che lanciò la Seconda Intifada.
Questa accusa di colonialismo e ghettizzazione va approfondita.
Basta entrare in un ospedale per smontare la bugia. Israele esprime la società più multirazziale e multiculturale che esista. Ci sono dottori e pazienti arabi, drusi, beduini. Come nell’esercito. In questa guerra sono caduti ragazzi venuti dall’Etiopia, integrati anche con le lacrime.
In Italia c’è imbarazzo nel prendere una posizione chiara.
Mi sorprende la sinistra, che non è mai stata antisemita prima della propaganda sovietica. Mio padre venne in Italia con la Brigata Ebraica nel 1945 per aiutare gli angloamericani a cacciare i nazisti. Vide morire molti suoi compagni, creò una famiglia e si fermò. Eppure abbiamo visto le bandiere di Israele espulse sistematicamente dal corteo del 25 aprile. Allora mi domando: quale malattia culturale ha soffocato la sinistra?
Nel saggio affronta il tema del fiume di denaro finito nelle casse di Hamas.
Cifre gigantesche spese in armi ed educazione al terrorismo. Quando gli ebrei andarono via da Gaza consegnarono strutture per modernizzare il Paese, per realizzare industrie, per far crescere la società. Tutto è finito in armi, missili e gallerie. Lo ha detto una delle prime ragazze liberate: «Non c’è nemmeno una persona innocente a Gaza».
La comunità internazionale chiede il doppio Stato.
Avrà senso il giorno in cui i palestinesi capiranno l’assurdità di questa guerra. Da Arafat ad Abu Mazen, lo hanno sempre rifiutato. Ma uno Stato palestinese che esiste solo per attaccare Israele è una follia. Non dimentichiamo che questo è uno Stato circondato da 22 nazioni arabe, di cui solo sei gli riconoscono il diritto di esistere.
Come si vive a Gerusalemme?
In perenne allarme, oggi qui ci sono 300 mila profughi. Con Hezbollah che bombarda a Nord e Hamas che terrorizza a Sud alcuni paesi sono spopolati, ci hanno cacciato dalle nostre terre. È una guerra di sopravvivenza.
Nel frattempo in Italia sono state raccolte firme per vietare agli artisti israeliani la Biennale di Venezia.
Miserie, degenerazioni occidentali. A questi signori dico: fatevi le vostre mostre senza la fantasia e la meraviglia dell’arte degli ebrei. Fatevi la vostra ricerca medica senza il contributo degli scienziati ebrei. Fatevi le vostre tecnologie senza gli ebrei. È antisemitismo anche questo.
Nella notte della guerra si intravvede un segno di speranza?
Continuano a nascere tanti bambini. Sono figli di soldati oggi al fronte, bisogna prendere esempio da questi ragazzi. Nel libro, uno di loro racconta che suo nonno finì in un lager, suo padre fece la Guerra del Kippur. Tocca a lui dire «Never again». Mai più un destino da pecore al macello.