L’inteligenza artificiale farà bene al made in italy

«L’Italia dovrebbe approfittare della guida del G7 per favorire la nascita di una governance globale dell’Intelligenza artificiale. Adesso ognuno va per conto proprio: Europa, Stati Uniti, Cina. L’Italia potrebbe farsi portavoce di una bella fetta di mondo».

A parlare è un esperto, il professor Giuliano Noci, ingegnere gestionale, titolare della cattedra di Strategy and Marketing al Politecnico di Milano (di cui è prorettore), osservatore e studioso (con laboratori dedicati) fin dal 1996 dei cambiamenti apportati dalle tecnologie digitali su cittadini, consumatori, manager, imprese, pubblica amministrazione.

L’Intelligenza artificiale, in acronimo Ia, tiene banco persino nelle chiacchiere da bar. Di che cosa si tratta esattamente?

Se ne parla fin dagli anni Cinquanta, con il famoso esperimento della macchina di Alan Turing, in cui uno dei primi computer interagiva con gli umani. Adesso è diventata un fenomeno pop, anche grazie alla sua grandissima capacità trasformativa, con velocità di calcolo aumentata in misura esponenziale. Lavora su logiche correlative-associative. Non è in grado di introdurre l’intuito, non conosce la discontinuità logica tipica dei fenomeni abduttivi umani. È una grande macchina potente che funziona su basi statistiche e diventerà sempre più potente.

Dobbiamo temerla? Il linguista americano Noam Chomsky, mai tenero con le conquiste della modernità, ha detto al New York Times che è un software di plagio, il più grande furto di proprietà intellettuale mai registrato.

Chi ne parla raramente la conosce. Non è intelligenza umana, e non è contro l’uomo, ma a favore. Andrà a sostituire l’uomo nei compiti più ripetitivi, noiosi.

Non vede problemi occupazionali? C’è preoccupazione, invece. Il mondo del lavoro è destinato a cambiare radicalmente.

La storia della scienza ci dice che ogni innovazione ha generato paure, ma ha sempre creato nuovi occupati, non sottratto posti di lavoro, dopo un comprensibile periodo di assestamento. Penso al motore termico, temuto dai conduttori di carrozze. O secoli prima alla stampa, con gli amanuensi costretti a reinventarsi. Faccio un esempio attuale. Un trattorista che guida il trattore nel filare di un vigneto, con l’Ia non serve più: sarà quest’ultima a muovere il mezzo, con telecamere e sistemi attuativi. Ma il trattorista non uscirà dal mercato: diventa colui che fa i controlli visivi di qualità, la sua mansione evolve. E saranno creati molti nuovi lavori. L’Ia va allenata come un atleta, per garantire performance sempre migliori: servono ingegneri, tecnici, addetti specializzati.

E noi siamo pronti al cambiamento?

In Italia è emerso il «marketing della paura». Si è creato un nemico da combattere, contro il quale coagulare il consenso dei detrattori. Una posizione miope. Per esempio, la Francia investe nell’Ia molto più di noi. Ma tutta Europa richiama investimenti sui 10 miliardi, non una grossa cifra: sono 70 negli Stati Uniti, il regno del mercato, e 30 in Cina, il regno dell’industria. E tra i Paesi europei noi siamo la nazione che investe meno, il fanalino di coda per dirla senza eufemismi. Questi squilibri planetari creano asimmetrie, le stesse che hanno portato i contadini in piazza con i trattori. Dobbiamo convincerci che l’Ia è un veicolo di straordinario cambiamento.

E l’Italia è indietro.

È quart’ultima tra le potenze digitali, indietro anche rispetto ai Paesi dell’Est Europa. Il mondo galoppa. A Singapore hanno addirittura deliberato che tutti i cittadini sopra i 40 anni sono obbligati a fare formazione sull’Ia. E pensare che questa innovazione potrebbe essere un volano per il rilancio del Made in Italy. Abbiamo grande creatività, potenzialità enormi, ma non bastano senza l’applicazione all’industria manifatturiera dei dati e le procedure produttive nate dall’Ia. Se non pigiamo sull’acceleratore, e restiamo fermi in nome di un astrattismo puro, è come imboccare la strada sbagliata. Dobbiamo renderci conto che questa innovazione rappresenterà la spina dorsale del manifatturiero nel futuro.

Come si esce dal cul de sac in cui siamo finiti?

Occorrono governi consapevoli. Per questo mi auguro che l’Italia - la quale sconta decenni di ritardo come sistema-Paese nelle innovazioni tecnologiche e digitali -, ora alla guida del G7, si adoperi per la necessaria governance globale. Senza dimenticare che purtroppo l’Europa è il continente che dà multe salate alle aziende globali che introducono innovazione. Come se qualche milione di ammenda potesse cambiare il corso delle cose o spaventare società che hanno profitti immensi.

Ma l’Ia sarà mai diffusa, e di facile uso, come i normali dispositivi e sistemi a cui ci siamo abituati?

Sì, l’Ia chiude il cerchio della società cosiddetta digitale. Sarà il veicolo attraverso il quale il 100 per cento della popolazione entrerà nel digitale. Per un motivo: l’Ia è facile, vi si accede con la voce, senza i browser, senza mediazione.

Verrebbe da dire, ascoltato il professor Giuliano Noci, che l’Intelligenza artificiale è molto umana, dunque per questo destinata a imporsi rapidamente.