L’Iran è quasi «atomico»
Che c’azzecca un boss della mafia giapponese con il nucleare iraniano? È quello che stanno cercando di capire gli inquirenti statunitensi, che hanno appena incriminato per vari capi d’accusa lo stravagante cittadino giapponese Takeshi Ebisawa, di 60 anni, già noto ai funzionari della Drug enforcement administration (Dea) in quanto membro della potente organizzazione criminale Yakuza, che in più occasioni si è fatto beffa delle polizie di mezzo mondo ritraendosi mentre armeggia con dei bazooka in spalla o in pose volutamente provocatorie.
Oggi Ebisawa è in carcere a New York, sospettato di aver cospirato contro gli Stati Uniti a seguito di un traffico di sostanze nucleari: a condurlo in cella la scoperta di una triangolazione che dal Myanmar avrebbe portato «materiale fissile» verso il Medio Oriente, dove Ebisawa doveva concludere «un affare grandioso». In quale luogo, precisamente, è presto detto: in Iran, ovviamente, il cui programma di arricchimento dell’uranio è alla base dei molteplici e disperati tentativi degli ayatollah di raggiungere la capacità nucleare entro pochi anni, per poter meglio minacciare le potenze che gli contendono la leadership regionale.
La Dea degli Stati Uniti stava già indagando Ebisawa dal 2019, come ha dichiarato l’Ufficio del Procuratore degli Stati Uniti, per traffici che andavano dalle armi da fuoco agli stupefacenti. Infatti, è stato arrestato con un altro pregiudicato suo coetaneo, il thailandese Somphop Singhasiri, noto alle cronache come trafficante di eroina e metamfetamine. Insieme, i due criminali avevano fatto un salto di qualità, che li aveva portati a essere prima intermediari nell’acquisto di armi ad alta potenza come missili terra-aria (Sam) per i gruppi armati in Myanmar e Sri Lanka, poi addirittura trafficanti di materiale nucleare per clienti esigenti come appunto gli iraniani.
Dunque, gli ayatollah sono arrivati ad arruolare persino la mafia nipponica pur di procacciarsi uranio e plutonio per uso militare. Le trattative tra le parti, si è scoperto, avevano preso avvio nel 2020: i documenti degli inquirenti statunitensi confermano inoltre che Ebisawa e i suoi «colleghi» avevano già fornito campioni di sostanze nucleari trafficate dal Myanmar alla Thailandia. Lo avevano consegnato a un intermediario che sosteneva di avere un accesso privilegiato a un generale iraniano di primo piano. In realtà, l’uomo era invece un agente sotto copertura della Dea, che si era finto un trafficante proprio per incastrare i due membri della Yakuza. Se gli americani non sono ancora giunti all’identità del destinatario finale in Iran, si sa tuttavia che Takeshi Ebisawa era convinto di avere già in tasca la commessa: l’Iran avrebbe acquistato il suo prodotto entro poche settimane e «lo avrebbe usato per armi nucleari», come ha dichiarato Anne Milgram, funzionaria della Dea. A gestire le trattative per conto del governo degli ayatollah era la Forza Quds di Teheran, una componente del Corpo delle Guardie della rivoluzione islamica, responsabile della raccolta informazioni militari e delle operazioni al di fuori del Paese.
Questo episodio racconta meglio di tante ricostruzioni creative quanto l’Iran tenti davvero e con ogni mezzo di acquisire dal mercato nero materiale radioattivo, in aperta violazione del Trattato di non proliferazione nucleare (Tnp) e di altri accordi internazionali firmati dal governo di Teheran. Le accuse per il mancato rispetto del Trattato sono molteplici: aver arricchito l’uranio oltre i limiti consentiti (il Tnp limita il livello dell’uranio al 3,67 per cento per l’uso civile, mentre l’Iran lo ha arricchito fino all’84 per cento, un livello che permette di avviare la produzione di armi nucleari); la creazione di centrifughe in grado di arricchire l’uranio più velocemente e con maggiore efficienza; e ancora, per usare un eufemismo, la mancata cooperazione con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea). Ed è proprio il fatto che Teheran continui a ostacolare il lavoro degli ispettori internazionali - limitando loro l’accesso ad alcuni siti nucleari e negando informazioni cruciali – ad aver riacceso i riflettori sul tema del nucleare iraniano e ad aver convinto gli americani a indagare più a fondo. A proposito delle centrali iraniane, lo stesso capo dell’Aiea Rafael Grossi ha appena dichiarato (marzo 2024) che «l’agenzia ha ormai perso la continuità delle conoscenze sulla produzione e l’inventario di centrifughe, rotori e soffietti, acqua pesante e concentrato di minerale di uranio».
Un segnale inquietante che, se messo in relazione con questi traffici criminali, offre la dimensione di quanto vicini siano gli iraniani alla realizzazione di un’arma atomica. «Sono passati tre anni da quando l’Iran ha smesso di applicare provvisoriamente il protocollo aggiuntivo e quindi sono trascorsi anche tre anni da quando l’Agenzia ha potuto condurre un accesso complementare in Iran» ha riferito sconsolato Grossi, commentando le gravi lacune nelle ispezioni nucleari in nella Repubblica islamica. L’accordo nucleare così difficilmente raggiunto nel 2015 grazie alla mediazione del presidente americano Barack Obama, prevedeva che l’Iran rimanesse al di sotto del limite di arricchimento del 5 per cento. Nel settembre 2023, però, Teheran ha espulso otto ispettori Aiea, tra cui proprio quelli che avevano sorpreso gli scienziati ad arricchire l’uranio a livello di arma atomica. Dopo quanto accaduto il 7 ottobre 2023 in Israele e la guerra in corso nella Striscia di Gaza, i timori per le mosse iraniane in materia nucleare sono aumentati esponenzialmente, e non solo nello Stato ebraico e a Washington. Non si contano le operazioni antiterrorismo in cui vengono arrestati in ogni parte del mondo trafficanti di materiale utile alla costruzione di ordigni nucleari.
Nel dicembre scorso l’Agenzia internazionale per l’energia atomica ha dichiarato che nel 2022 sono stati segnalati un totale di 146 episodi riguardanti attività illegali o non autorizzate che coinvolgono materiali nucleari e altri materiali radioattivi (e in cinque casi sono state raccolte informazioni sufficienti per determinare il coinvolgimento nella tratta o in usi dannosi). Un esempio clamoroso è quanto accaduto in India nel maggio 2021, quando Jagar Jayesh Pandya e Abu Tahir Afzal Hussain Choudhry sono stati arrestati dopo che avevano tentato di vendere sette chilogrammi di uranio altamente radioattivo per due milioni e mezzo di euro. Sempre in India, già nel 2016 due criminali erano stati arrestati nel tentativo di vendere da nove chilogrammi di uranio impoverito a un prezzo ancor più «competitivo»: 240 milioni di rupie, equivalenti a circa 2,6 milioni di euro.