Il futuro della politica? Il ritorno al passato

Torniamo al passato, sarà un progresso». Nell’Italia dei rieccoli la frase di Giuseppe Verdi, il più patriottico dei compositori, andrebbe stampata sul tricolore. Avanzano a grandi falcate gli inossidabili, ebbri del saporoso elisir di lunga vita politica. Mai come adesso, c’è aria di sempiterno. Da Grammichele a Busto Arsizio, stufi dell’uomo qualunque alla grillina, s’alza l’invocazione: «C’è ancora bisogno di voi!». I partiti riscoprono trionfalmente l’usato sicuro. Strategia in cui si sta rivelando imbattibile Forza Italia: non a caso, rediviva a sua volta. È pronta a schierare, per le prossime Europee, una compagine leggendaria. Per esempio, in Lombardia si scaldano due indimenticati ex sindaci di Milano: Gabriele Albertini, 73 anni, e Letizia Moratti, una primavera in più. Schierati in ticket, nientemeno. Si definiscono «coppia politica di fatto». Lei dovrebbe essere capolista degli azzurri nella circoscrizione padana. Lui, ancora dubbioso per l’andirivieni a Bruxelles, motteggia: «Da anziano, mi dà grande soddisfazione essere rimpianto prima ancora che compianto». Mal che vada, sarà lo scudiero di Letizia. Vista la corte serrata, comunque, si rende già adesso disponibile per il futuro: sia come onorevole che come senatore.

Aspetterà fine aprile, invece, il settantaseienne Roberto Formigoni: «Sento ancora la possibilità di dare e di essere utile». Il curriculum, del resto, è straordinariamente denso: governatore lombardo per quasi un ventennio, ma pure onorevole, senatore e deputato europeo. Scontata una condanna per corruzione, adesso medita il rientro. Nel 1984 viene eletto, per la prima volta, a Bruxelles, diventando persino vice presidente del parlamento europeo. Quarant’anni più tardi, l’intendimento resta il medesimo: tornare nella capitale belga. L’ultima battaglia, dopo «l’accanimento giudiziario».

«Il rieccolo». Così Indro Montanelli salutava l’ex presidente del Consiglio, Amintore Fanfani, aduso a cadute e resurrezioni. Per Renata Polverini, ex governatrice del Lazio e deputata, basta uno scambio di vocale per trasformare il nomen in omen: Rinata, appunto. Ancora nell’arrembante compagine azzurra, che vuole replicare la superba prova delle Regionali d’Abruzzo cercando di distanziare gli alleati leghisti. A proposito: sono prontissimi a correre a fianco dei berlusconiani pure due ex bossiani di rango. Uno è Marco Reguzzoni, ex delfino del Senatur e presidente del gruppo leghista alla Camera, uscito da Montecitorio oltre un decennio fa. Se Albertini dovesse declinare, potrebbe essere lui ad affiancare Moratti alle Europee. E si dà per certa anche la ricandidatura di Roberto Cota, governatore piemontese fino al 2014, quando viene coinvolto nella Rimborsopoli sabauda. Pure lui sogna di approdare a Bruxelles. Più battagliero e revanscista che mai s’è rifatto sotto persino l’ex ministro del Carroccio, Roberto Castelli, alla guida del Partito popolare del Nord. Incontenibile antisalviniano, nonostante le settantasette primavere, chiama a raccolta le vecchie camice verdi, per opporsi «al centralismo di Roma e Bruxelles». Proposito condiviso con un alleato di vasta fama: il siciliano Cateno De Luca, detto «Scateno», fondatore di Sud chiama Nord.

Il prossimo giugno si voterà anche in molti capoluoghi. A Lecce, per esempio. Dove il centrodestra, come un sol uomo, schiera l’ottantenne Adriana Poli Bortone, già sindaco dal 1998 al 2007. Che si duole, giustamente, per l’accanirsi dei leoni da tastiera sull’anagrafe: «Leggo delle cose ignobili: è una forma di razzismo e di discriminazione». Tenta, comunque, un’impresa mai vista: battere sia padre che figlio, a distanza di oltre un quarto di secolo. Il suo odierno sfidante è difatti Carlo Salvemini, figlio dell’ex sindaco Stefano, già sconfitto 26 anni fa. «La classe dirigente della destra cercava una persona esperta» spiega Poli Bortone. «Chi fa politica con passione, non si tira indietro». Alle spalle, Lecce a parte, oltre trent’anni tra Camera Senato. E due corse alla presidenza della Regione, piuttosto divisive. Ecco: stavolta, a ulteriore riprova della stagione dei longevi, la candidata è sostenuta da tutta la coalizione.

Non suonano le fanfare, invece, per Luigi de Magistris. Si vociferava: correrà alle Europee nella lista di Michele Santoro, l’ex giornalista che chiede la pace del mondo. Ma «Giggino ’a manetta» ha in testa solo una cosa: rientrare a Palazzo San Giacomo. Si voterà tra un paio d’annetti, è vero. Ma lui s’è già portato avanti: «Voglio dare il mio contributo per Napoli». Traduzione: vittima del limite ai mandati, vuol rifare il «narcisindaco». Per la terza volta non consentiva. Prontissimo a tornare sul luogo del delitto è pure un altro ex collega, della sinistra più a sinistra: Massimo Zedda, consigliere regionale uscente in Sardegna. Ma soprattutto sindaco di Cagliari per due mandati, fino al 2019. Il primo amore, però, non si scorda mai. Dopo aver contribuito all’elezione di Alessandra Todde, la nuova governatrice, Zedda già scalpita: «Ora tocca a Cagliari. Sono pronto a candidarmi». La prima volta aveva 35 anni. Adesso ne ha 48. Riecco anche lui, allora. Seppur con un’età che, per la pattuglia dei reduci, è ancora verdissima.

A dispetto dell’aria sbarazzina, il suo ex capo partito Nichi Vendola, già fondatore di Sel, vanta invece quarant’anni sulla breccia e 65 all’anagrafe. Nel 2016 lascia. In seguito, ammette: «La politica è una malattia da cui non si guarisce». Poi, rassicura: «Resto in seconda linea». Quindi, tranquillizza: «Non avrò ruoli». Infine, annuncia a pugni alzati: «Torno!». Presidente di Sinistra italiana, dunque. Non si candiderà alle Europee. In compenso, s’è scapicollato in Abruzzo per tentare di tirare invano la volata allo sconfitto Luciano D’Amico. Come l’ex segretario piddino, Pier Luigi Bersani, già reduce dalla fortunata tournée alle regionali sarde. Raggiunte le 73 privavere, dopo una lunga parentesi da leader di Articolo 1, lo smacchia-giaguari è ormai l’armocromista politico dell’esile segretaria dem, Elly Schlein.

Insomma: persino lui, nonostante l’innegabile physique du rôle, non ne vuole sapere di guardare i cantieri con le braccia intrecciate dietro la schiena. È sempre lì, come l’Ercolino sempre in piedi: il misirizzi che la Galbani regalava ai clienti più fidati. Per non parlare dell’ancor più maturo Claudio Signorile, che fu vicesegretario di Bettino Craxi nel Psi. Nonostante la tentazione di chiamarlo «nuovo socialismo», l’ottantaseienne ha creato un nuovo movimento di cui s’è messo alla testa: «Mezzogiorno federato». In vista delle Europee, avanza un cruciale alleanza con altri due «capi partitino» non proprio di primissimo pelo: l’ex cattolico dem Giuseppe Fioroni e l’economista Stefano Zamagni.

Anche un altro illustre ex compagno del Psi, il coetaneo Carmelo Conte, vuole darsi anima e cuore alla causa meridionalista. Classe 1938 già potentissimo ministro delle Aree urbane, spiega che è giunto l’improcrastinabile momento di rivivere il vituperato trapassato: «L’Italia non può fare a meno della tradizione riformista dei socialisti italiani». E forse fiorirà nuovamente pure la Margherita sotto le amorevoli cure dell’eterno Clemente Mastella, 77 anni, sindaco di Benevento. Per l’imminente ricrescita, si allea con Matteo Renzi e poi chissà.

Ci pensa su, intanto, un insigne resuscitato: Totò Cuffaro. Sta girando l’Italia in lungo in largo per far attecchire in continente la sua riesumata Dc, già decisiva in Sicilia. Lui non si candida, ma è diventato personificazione dell’antico motto scudocrociato: «Vota e fai votare la Democrazia cristiana». Dopo cinque anni a Rebibbia per favoreggiamento a Cosa nostra, sembrava dedito solo all’azienda agricola di famiglia. Ma l’ex governatore isolano ritrova l’antica passione. Ed eccoci qui. Mentre risorge anche l’antico nemico, pure lui già democristianissimo.