Un test per valutare i magistrati non è una cosa da pazzi

I giornalisti che si occupano di cronaca raccontano episodi gustosi, alcuni dei quali divertenti, come quel giudice che nel pieno del dibattimento lasciò attonite le parti, pm, avvocati e imputato, guadagnando l’uscita al grido di «ho i ceci sul fuoco». Ovviamente non c’era alcun fornello dimenticato acceso e neppure una pentola che rischiava di incendiare la casa. Semplicemente, il magistrato era un po’ originale. Forse troppo per chi, dovendo amministrare la Giustizia, decide della vita delle persone, della libertà e dei risarcimenti. Altro aneddoto raccontato nei corridoi dei tribunali riguarda il giudice che, appartatosi con un minorenne in una sala cinematografica fu sorpreso dal personale con i pantaloni abbassati e una volta denunciato alle forze dell’ordine invocò una incapacità di intendere e di volere intermittente. Il problema non fu che la toga colta in flagrante sia ricorsa alla banale giustificazione di un momentaneo annebbiamento del lume della ragione, ma che i colleghi in qualche modo gli abbiano creduto, restituendogli l’incarico e anche l’anzianità di servizio dopo un periodo di sospensione.

Potrei continuare, perché su ciò che succede in certe aule di tribunale non si soffermano solo i cronisti giudiziari ma anche i magistrati, i quali in privato, oltre a dire spesso peste e corna dei colleghi più invisi, segnalano le stranezze di alcune toghe. Ricordo quelli che, a mezza bocca per non farsi sentire dai vicini di stanza, quando Silvio Berlusconi in un’intervista allo Spectator ci andò giù pesante affermando che bisognava fare la visita psichiatrica ai magistrati, dicevano che in fondo l’ex presidente del Consiglio non aveva poi così torto. Certo, aveva dato dei matti agli appartenenti all’intera categoria, ma qualcuno bisognoso di assistenza esisteva davvero: come quel magistrato che in un eccesso di gelosia ficcò una bustina di droga nell’auto del nuovo compagno della moglie: fu trasferito ma non giudicato inadatto a fare il giudice.

Sono passati anni da quel colloquio tra il Cavaliere e Boris Johnson (che all’epoca dirigeva il settimanale britannico), ma adesso che al ministero della Giustizia è arrivato un ex magistrato come Carlo Nordio, il test per appurare l’equilibrio di giudici e pm è realtà. Il Parlamento lo ha approvato tra le polemiche, perché l’Anm, vale a dire il sindacato delle toghe, è insorto accusando il governo di voler mettere sotto controllo chi amministra la Giustizia. È da quando faccio questo mestiere, cioè da mezzo secolo, che sento protestare i magistrati. Non c’è riforma che in cinquant’anni sia andata bene, se non quella che ha alzato gli stipendi a tutti. Dunque, non mi stupisce che si lamentino e minaccino scioperi. Tuttavia, l’Italia di Giorgia Meloni non è la Russia di Putin. I giudici non sono sotto il controllo dell’esecutivo, ma soprattutto non rischiano di finire in manicomio come i dissidenti ai tempi di Breznev (con Stalin andavano direttamente al camposanto). Semplicemente, Nordio ha introdotto un test per valutare i magistrati. Non la loro preparazione sulle norme giuridiche, che pure spesso viene contestata, quasi che superato un concorso una volta nella vita, nessuno abbia più bisogno di aggiornarsi e di affrontare altri esami. No, il Guardasigilli intende valutare il loro stato d’animo, la loro lucidità, la loro serenità, la loro capacità psico-attitudinale. Ci sono molte categorie i cui appartenenti sono valutati attraverso diversi test, ma i magistrati (non tutti grazie al cielo, solo una minoranza, purtroppo rumorosa) ritengono di essere al di sopra di tutto, talvolta anche della legge, al punto che solo loro e nessun altro possono giudicare i colleghi.

Di come funzioni il Csm, ossia il consiglio a cui è affidata la decisione in merito alle sanzioni disciplinari, sappiamo tutti. A dominare non è la regola ma l’eccezione. Nel senso che ogni caso è a parte e a decidere è l’appartenenza alle correnti, ossia la militanza in un movimento. Associazioni che non sono molto diverse dai partiti e infatti rappresentano idee politiche. Ogni schieramento spinge i propri esponenti, sostenendone l’avanzamento di carriere. E ogni corrente cerca di salvare il proprio aderente, con metodi che se fossero usati in politica sarebbero contestati come voto di scambio. Tu sostieni il mio, io salvo il tuo. Se fai passare questa nomina, io poi ti ricompenso con quest’altra. Non svelo nulla di sorprendente scrivendo queste cose. Le ha messe a verbale Luca Palamara, che del sindacato dei magistrati è stato il presidente. Finito in un’inchiesta dei colleghi, ma soprattutto in una faida per le nomine, Palamara ha aperto il vaso di Pandora. Risultato, le correnti lo hanno chiuso subito (il vaso), cacciando l’uomo che aveva osato scoperchiare i traffici delle toghe e tutto è ripreso come prima, forse più di prima. Adesso arriva Nordio, con il suo test sulla salute mentale degli ex colleghi. Vedremo come finirà. Di certo un po’ di equilibrio è necessario. Sempre che qualcuno non provi a far passare per pazzo lo stesso Guardasigilli.