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Il sorpasso infinito di Ayrton Senna



A trent’anni dalla scomparsa di Senna, il pilota brasiliano di Formula 1 morto sul circuito di Imola, due libri ne ricordano imprese e rivalità da «samurai» delle piste.

«Non esiste curva dove non si possa sorpassare». È tra le frasi più celebri di Ayrton Senna; oggi vale per l’idraulico, la partita Iva, il cervello in fuga. È una metafora della società globale dove la competitività, la determinazione, qualche volta l’azzardo stanno nella cassetta degli attrezzi per raggiungere un obiettivo nella vita. Lui, quella frase, la prendeva alla lettera e fino al primo maggio di 30 anni fa ha messo in fila una generazione di piloti. Quando negli specchietti di Alain Prost, Nigel Mansell, Nelson Piquet, Riccardo Patrese, Gerhard Berger, dei primi Michael Schumacher e Mika Hakkinen, compariva la sagoma della McLaren MP4 di «Magic» (così lo avevano soprannominato) il sorpasso infinito era nell’aria. Qualche volta tecnico in pieno rettilineo, qualche altra aggressivo in staccata. Spesso non ce n’era neanche bisogno perché il fenomeno brasiliano della Formula 1 partiva davanti e arrivava davanti. Poi ecco Imola 1994, gran premio di San Marino, il weekend nero delle corse. Al venerdì Rubens Barrichello aveva rischiato la pelle in prova, al sabato era morto Roland Ratzenberger. La domenica Senna era teso, più malinconico del solito. Il suo amico Sid Watkins, neurologo e chirurgo di Liverpool, gli aveva detto: «Ayrton, sei stato tre volte campione del mondo, sei il pilota più veloce di sempre, cos’altro vuoi fare? Piantala lì e andiamo a pescare». Un presentimento, perché alla Curva del Tamburello il fenomeno era atteso da qualcosa che non si può sorpassare. Il destino. Uno schianto al settimo giro, l’impatto della Williams Renault contro il muro di cinta, un frammento di sospensione che trafigge il casco. Game over.

Dove finisce il campione comincia il mito. E prende il via Senna, le verità (edizioni Minerva), libro di Franco Nugnes, giornalista esperto di motori, che ripercorre con un ritmo da thriller l’inchiesta che Autosprint - prima dei magistrati - allora portò avanti per scoprire, fra penombre e omertà del circo della velocità, la vera causa dell’incidente: la rottura del piantone dello sterzo. «Sono trascorsi 30 anni ma il tempo non sembra passato. La memoria di Ayrton è ancora viva, intatta» spiega l’autore. «Il ricordo di “Magic” è trasmesso anche alle nuove generazioni di appassionati di F1 che non erano nati. Chissà dove sarebbe potuto arrivare quel pilota leggendario se il piantone non si fosse rotto. Certamente stava parlando con la Ferrari per lasciare la Williams e approdare a Maranello, concretizzando un sogno».

Con la paziente implacabilità del detective, Nugnes allora si travestì da commissario di percorso ed entrò nel capannone dove fu ricostruita la vettura distrutta, mise assieme i tasselli del puzzle, cominciò a parlare con chi «non poteva non sapere». Smontò la teoria di un errore di Senna e Autosprint uscì con una copertina che fece il giro del mondo, dal titolo: «Il sospetto». Queste pagine ripercorrono i giorni, i mesi dell’impervio viaggio verso la verità, provano a mettere in fila i fatti di una storia incredibile che ha ancora qualche domanda senza risposta. A tre decenni di distanza Nugnes è tornato a parlare con i protagonisti per ricostruire, in una sorta di gioco degli specchi, la tragedia. E per concludere: «Nella testimonianza di chi l’ha vissuta, emerge la grandezza di un campione che ha sfidato il fato. Vita e morte si rincorrono lungo il tracciato». La sezione fotografica del libro è spettacolare. Immagini immortali ripercorrono una vita dominata dalla malinconia; Senna non ride mai, come se anche nei giorni dei trionfi fosse consapevole di camminare con la morte accanto.

Una piccola foto ci serve per una staffetta letteraria: quella sul podio di Montecarlo nel 1984, con il brasiliano agli albori capace di arrivare secondo sotto il diluvio guidando la Toleman, un ferro da stiro, dietro al vincitore Alain Prost. Eccoli i due, Magic e il Professore, affiancati con le coppe in mano. È un rito di passaggio perché quel giorno, fra loro, comincia la più feroce rivalità a 300 all’ora che la storia dello Sport ricordi. «Quando Alain sale sul podio di Montecarlo non può saperlo. Festeggia una vittoria e il primo posto in campionato con 10,5 punti di vantaggio su Lauda. Non sa ancora che accanto a lui c’è l’uomo che diventerà il suo peggior avversario, che quel brasiliano in pista con il cognome della madre è destinato a trasformarsi nel suo incubo». Lo racconta un altro fuoriclasse del giornalismo sportivo, Umberto Zapelloni, in Senna e Prost, la sfida infinita (edizioni 66thand2nd), una guerra di parole, sgambetti, sportellate fra uomini con il casco, che qualche volta è servito per evitare che si prendessero a schiaffi. «Senna è il male dello Sport» sibilava il francese. «Lo sono soltanto per Prost perché non riesce e non riuscirà mai a battermi», ribatteva l’altro. Convenevoli a tutta velocità, delikatessen durate dieci anni, fino a quando il destino non si sedette su un muretto del circuito di Imola.

Come Nugnes ha vissuto in prima persona il dopo, Zapelloni ha vissuto il durante, accompagnando Achille ed Ettore sui circuiti del pianeta, registrandone le omeriche arrabbiature, le finte riappacificazioni, proclami e ipocrisie «di due campioni che semplicemente non si potevano vedere. Si sono disprezzati in pista e fuori. Non si guardavano neppure più. Non si parlavano, ma si sfidavano attraverso la stampa, la televisione. Chissà che cosa sarebbe successo se fossero vissuti nell’era dei social», argomenta l’autore. «Sapevano guidare e sapevano comunicare, pur facendolo in modo diverso, perché in fin dei conti di simile avevano soltanto la voglia di vincere, anche se la modulavano con sfumature differenti. Senna non si è mai posto dei limiti, amava il rischio e lo cercava. Prost da un certo punto in poi ha preferito ragionare, vincere di furbizia più che di forza. Alain era Professore di soprannome e di fatto».

«Senna? Nessun problema ad averlo in squadra», disse Prost nel 1988 da campione del mondo al general manager della McLaren, Ron Dennis. E si portò la guerra in casa perché Ayrton non avrebbe mai fatto il numero due di nessuno. Ogni pagina un aneddoto. Il contratto del brasiliano deciso con il lancio di una moneta; Ayrton in spiaggia e Alain a provare la macchina nuova («È più bravo lui a testarla»); i sorpassi proibiti fra compagni; le squalifiche di Magic e il tifo subdolo del presidente della federazione internazionale Jean-Marie Balestre, francese come Prost; i giapponesi della Honda (che forniva i motori alla McLaren) innamorati del brasiliano «perché in gara somiglia a un samurai mentre l’altro è un robot».

Scrive Zapelloni: «Ron Dennis non mette un muro in mezzo ai box come farà qualche anno dopo la Yamaha in MotoGp tra Valentino Rossi e Jorge Lorenzo, ma è come se quel muro ci sia davvero». Prost passa alla Ferrari e nel 1990 la rivalità epica si concretizza nell’epilogo fratricida di Suzuka, dove Magic conquista un mondiale buttando fuori pista il Professore alla prima curva. La faida continua e non solo sui circuiti. Il francese pone il veto per l’arrivo del brasiliano a Maranello, poi va alla Williams e ripete lo scherzetto contrattuale. A quel punto non si chiamano neppure più per nome, ad andare bene l’altro è «quello là». Un giovane Jean Alesi li osserva e commenta: «Odiarsi come si odiano loro può essere molto pericoloso». «Se amavi Senna, non potevi amare anche Prost. Ma alla fine sono diventati un tutt’uno. Due facce della stessa luna», chiosa Zapelloni. Quel giorno di 30 anni fa a Imola il francese non c’è, si è preso un periodo sabbatico. Nel giro di ricognizione prima della partenza, dalla Williams di Senna arriva via radio un messaggio: «Alain mi manchi». Saranno le sue ultime parole. A ogni gran premio di San Marino, tanti tifosi si dirigono in pellegrinaggio davanti alla statua in bronzo di Ayrton nel Parco delle Acque Minerali. E nel silenzio della pista, sentono il ruggito del suo bolide alla curva del destino. A proposito, anche quel giorno lui era al comando.

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