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Putin e Xi Jinping preferiscono il treno



Con l’allargarsi della crisi del Mar Rosso, chi deve far transitare merci tra Europa e Asia guarda a collegamenti alternativi, che significano soprattutto ferrovie. La Cina si è mossa per prima e da dieci anni sta costruendo la sua Belt and Road Initiative, una Via della seta su rotaia. E anche la Russia sta progettando tratte per rafforzarsi in India e in Paesi alleati come la Corea del Nord


A essere vittima dei missili degli Houthi non sono solo le navi, ma anche alcuni treni. Per la precisione, i modellini di treni dell’azienda inglese Hornby, le cui spedizioni ai collezionisti in giro per il mondo, come moltissime altre, sono state rallentate dagli attacchi dei ribelli yemeniti contro le navi cargo che transitano nel Mar Rosso, in rappresaglia al sostegno occidentale a Israele nella guerra contro Hamas. Per i veri convogli merci su rotaia, però, la crisi si sta rivelando una gallina dalle uova d’oro. Le compagnie di spedizione, infatti, hanno come unica alternativa al transito nel canale di Suez la circumnavigazione dell’Africa. Doppiando il Capo di Buona Speranza però si aggiungono anche due settimane in più di viaggio: un bel problema in un settore dove il tempo è, letteralmente, denaro. Così, chi deve muovere merce tra Asia ed Europa guarda sempre più alle rotte alternative di terra, che significano soprattutto ferrovie. La prima è il corridoio transcaspico, detto anche «corridoio di mezzo»: un percorso su strada ferrata che passa per la Turchia, Georgia, Azerbaigian e Kazakistan fino ad arrivare in Cina. Le potenzialità di crescita sono significative: la Banca Mondiale ha stimato che entro la fine del decennio i tempi di percorrenza tra il confine occidentale cinese e il Vecchio continente si dimezzeranno e i volumi di merci triplicheranno fino a 11 milioni di tonnellate.

Il Dragone è ben consapevole dell’importanza delle sue arterie su rotaia, che rivestono un ruolo di primo piano nella sua Belt and Road Initiative (Bri), la nuova Via della seta, lanciata ormai più di dieci anni fa. Lasso di tempo in cui, secondo i dati ufficiali, i treni che collegano la Cina con le destinazioni europee hanno trasportato oltre 340 miliardi di dollari di merci, riempiendo 7,4 milioni di container. Tra le merci più movimentate, verso Oriente partono ricambi auto, nella direzione opposta transitano componenti elettroniche e prodotti tessili e chimici. Ma Pechino guarda anche alle opportunità geopolitiche, oltreché economiche, offerte dai collegamenti ferroviari, e tesse la sua tela di binari anche nel resto del continente asiatico, dove accarezza il sogno di diventare egemone assoluto.

Tuttavia, tra il dire e il fare ci sono di mezzo ostacoli di ogni tipo. Così, Pechino è riuscita ad esempio a collegare con una linea ad alta velocità il capoluogo regionale dello Yunnan con Vientiane, la capitale del Laos, ma l’agognato prolungamento verso la ben più ricca e popolosa Thailandia langue nel limbo da un decennio. Tanto che, lo scorso gennaio, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, in visita a Bangkok, ha bacchettato il primo ministro thailandese Srettha Thavisin per i continui rallentamenti al progetto. Altra rotta cruciale ma problematica è quella, di cui si discute dal 2008, tra la regione cinese occidentale dello Xinjiang e il porto pachistano di Gwadar. Qui l’idea della bretella ferroviaria si scontra con territori montuosi e il conflitto tra il governo di Islamabad con i talebani pachistani e con i separatisti baluci. Pechino comunque cerca di portarsi avanti e, grazie ai buoni rapporti instaurati con i talebani tornati padroni dell’Afghanistan, lavora intanto alla tratta intermedia: dopo aver siglato un accordo per costituire un nuovo corridoio economico, dall’autunno scorso carichi partiti direttamente da Pechino arrivano su rotaia nell’emirato, passando per Uzbekistan e Kirghizistan.

Per la verità, Kabul e le due dipendenze sono uno snodo cruciale anche per un altro progetto, il Five Nations Railway Corridor (Fnrc), che dovrebbe collegare la Cina con l’alleato iraniano attraverso Afghanistan, Tagikistan e Kirghisistan, anche questo ancora solo parzialmente realizzato, dato che alcune tratte devono ancora essere coperte col trasporto su ruota. E anche in quest’angolo del mondo, il sogno di Xi di aggirare la superiorità marittima statunitense via terra, in attesa di riprendersi Taiwan e da lì gli oceani, si scontra con una realtà non sempre rosea. «La rotta di terra della nuova Via della seta cinese, che include le tratte ferroviarie, avrebbe potuto fornire un vantaggio rilevante alla Cina, nella sua sfida con gli Stati Uniti, se fosse riuscita a farla arrivare fino all’Europa», dice Francesco Sisci, sinologo e professore di Relazioni internazionali all’Università di Pechino. «I conflitti scoppiati lungo il percorso ne hanno tuttavia ridotto la percorribilità e quindi l’utilità. Bisogna tenere presente, inoltre, che queste tratte passano per l’Afghanistan, che Pechino non si illude neppure di riuscire a controllare, e per le repubbliche ex sovietiche dell’Asia Centrale e del Caucaso, dove i cinesi si devono contendere la sfera d’influenza con russi, turchi e iraniani».

Di tutti questi «corridoi di mezzo» potrebbero beneficiare anche l’altro grande rivale di Washington. Mosca, agganciandosi a questa ragnatela ferrata in divenire, potrebbe infatti far transitare con più facilità le merci sottoposte oggi a sanzioni. La Russia, però, è più che un concorrente sotto il profilo ferroviario: attraverso il suo sconfinato territorio passa infatti la rotta settentrionale verso la Cina, ancor più rapida ed economica rispetto a quella via Turchia, dato che bypassa l’attraversamento in nave del Mar Caspio. Dall’inizio degli attacchi alle navi nel Mar Rosso, le prenotazioni di container sui «merci» che passano per la steppa siberiana sono già aumentate del 30 per cento. La riscoperta del trasporto in vagone da parte del regime putiniano è comunque dovuta soprattutto alla guerra in Ucraina. Il mezzo è diventato fondamentale non solo per lo spostamento al fronte di uomini ed equipaggiamenti, ma anche per rimpinguare gli arsenali del Cremlino con le forniture in arrivo dai Paesi amici, a partire dalla Nord Corea. Secondo stime dei rivali sudcoreani, lo scorso febbraio Pyongyang aveva inviato già più di 6.700 container carichi di equipaggiamento militare, soprattutto munizioni e proiettili d’artiglieria, all’esercito russo, in cambio di cibo e materie prime. Un domani, via treno potrebbero arrivare anche i droni suicidi iraniani Shahed-136, di cui l’esercito russo ha già importato almeno duemila pezzi da impiegare contro gli ucraini, e che oggi viaggiano in aereo o tramite navi fantasma che se li passano di notte, a largo delle coste caspiche. Lo scorso anno, infatti, Putin e il suo omologo di Teheran Ebrahim Raisi hanno siglato un accordo per finanziare la costruzione della tratta iraniana del l’International North–South Transport Corridor (Instc), un’altra rotta che congiungerà Russia e India.

Pur se funzionali, i treni e le ferrovie sono però possibili bersagli per sabotaggi e attacchi da parte di forze nemiche. L’Ucraina si è impegnata a fondo per interrompere quanto più possibile i collegamenti tra le retrovie russe e il fronte. Non solo nei territori occupati dalle truppe di Mosca, come per esempio nei ripetuti attacchi che hanno danneggiato il ponte, stradale e ferroviario, che collega la Crimea alla penisola di Taman, ma anche spingendosi sempre più in profondità in territorio russo. Due recenti episodi: il 4 marzo scorso, sabotatori di Kiev hanno danneggiato con un’esplosione un ponte sul fiume Chapayevka nell’oblast di Samara, a migliaia di chilometri oltre confine, proprio perché utilizzato per far transitare uomini e truppe. Lo scorso dicembre, gli ucraini avevano addirittura colpito in Buratia, vicino al confino russo-mongolo, facendo saltare in aria un tunnel e un ponte. Non sorprende quindi che i tribunali russi stiano comminando pene draconiane a ogni presunto autore di sabotaggi ferroviari: anche 23 anni in un penitenziario di massima sicurezza, come nel caso di Alexander Dimitrenko, accusato di aver fatto esplodere una bomba in una stazione nella regione di Voronezh. Rischi che comunque non sembrano rappresentare un deterrente per chi opera nel settore, anche in Italia: dopo un crollo di oltre il 90 per cento del trasporto merci tra il nostro Paese e la Cina nel 2022, causa invasione dell’Ucraina, lo scorso anno i flussi sono ripresi, anche grazie al lancio di nuovi treni tra Milano e Chengdu, a cui di recente se ne sono aggiunti altri che fermano a Bologna e Padova. Il Dragone continua a esercitare il suo richiamo.

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