Femminicidio, la sociologa: «Il segnale che mandano certe sentenze»
«Due sentenze non fanno la giurisprudenza, ma colpiscono». Barbara Poggio, sociologa e docente all’Università di Trento specifica subito che non sono i due casi saliti alla ribalta delle cronache a fare la differenza, ma che sono anche questi parte integrante di un clima che vede un assottigliarsi dei diritti delle donne. «Sul piano delle norme», dice la sociologa, «formalmente nulla cambia, è l’interpretazione invece a cambiare perché legata al contesto storico, culturale e politico in cui avviene. Può succedere allora di vedere come sul tema della violenza nei confronti delle donne permangano giudizi e stereotipi sessisti».
I due casi finiti in prima pagina e commentati anche dal mondo politico sono quelli di Genova e Bologna.
Nel primo la giudice Silvia Carpanini ha deciso di condannare a 16 anni Javier Napoleon Pareja Gamboa, che ha ucciso la compagna Jenny e non ai trenta chiesti dall’accusa perché l’uomo non avrebbe «agito sotto la spinta della gelosia ma come reazione al comportamento della donna, del tutto incoerente e contradditorio, che l’ha illuso e disilluso allo stesso tempo». Nel caso bolognese invece il giudice Orazio Pescatore aveva quasi dimezzato la pena per Michele Castaldo, omicida reo confesso di Olga Matei, perché lui sarebbe stato in preda a una «tempesta emotiva».
È il contesto culturale di questi anni, secondo la sociologa, a non aiutare l’allontanamento da un tipo di visione sessista, anche senza arrivare a riparlare di delitto d’onore. «I messaggi che circolano e in particolare quelli che arrivano dalla politica non aiutano un processo già lento di presa di distanza da questi modelli», aggiunge, «la parte di interpretazione di certe sentenze rispecchia anche la visione del mondo proposta. Bastava leggere il contratto di governo per capire che stava passando una visione di donna tradizionale che si occupa della cura delle persone e che sta a casa. Il decreto Pillon va in questo senso e forse all’inizio c’è stata anche una non adeguata consapevolezza dei concetti che stavano passando».
La professoressa Poggio coordina un progetto sulla parità che andava nelle scuole trentine e che è stato fermato dal governo provinciale. Una battuta d’arresto, ma dall’altra parte«è riemersa la consapevolezza che strumenti e situazioni che davamo per scontati sono a rischio: il diritto all’aborto, ma anche al divorzio, all’autodeterminazione e ancora i diritti LGBT».
Negli anni i passi avanti per i diritti delle donne, anche quelli quotidiani come le strutture per i bambini durante le ore di lavoro, sono andati aumentando. «Molto», puntualizza Barbara Poggio, «è merito di politiche europee a cui ci siamo dovuti adeguare. Forse quello che viviamo è anche la reazione dei più tradizionalisti ai tanti cambiamenti che negli anni ci sono stati». Nel tessuto sociale e culturale italiano questa cultura «retrograda» nel guardare alle relazioni di genere c’è ed è consolidata. «Si sentiva però meno legittimata fino a qualche anno fa, adesso sembra essere stata sdoganata da frasi politiche e passaggi social». A questo si aggiunge la precarietà che ha «certamente portato indietro le donne su alcuni diritti».
La via per i diritti passa dalla cultura secondo Barbara Poggio. «Sentenze di quel tipo, per chiudere il cerchio, rispecchiano un atteggiamento culturale e allora bisogna passare dalla cultura, dal dialogo anche con i magistrati. Bisogna lavorare sulla consapevolezza, dopo vengono le leggi. Se c’è una cosa positiva in tutto questo è che, di colpo, sentire una serie di affermazioni anche su personaggi noti (il caso della cantante Emma ndr) può portare le ragazze più giovani a comprendere che non tutto è stato raggiunto e che quello che è stato raggiunto si può perdere».