Lamin: «Perché non posso avere una vita migliore?»
Quando incontro la polizia, se mi ferma va sempre più o meno così: di dove sei? «Del Gambia». Hai i documenti?«Non li ho». Hai un lavoro?«No, non ce l’ho». E quelle scarpe nuove dove le hai prese?
E io allora penso, e vorrei dirglielo, ma poi non glielo dico: «Ma perché credete di essere le uniche persone ad avere il diritto a una vita migliore? La voglio anche io una vita migliore».
Chi parla si chiama Lamin – dice che non esiste un nome più del Gambia del suo – ma sua mamma lo chiama «BoyBoy» perché lo ama più di tutti gli altri, lui è il ragazzo d’oro. Ha 25 anni e vive a Milano, quando è partito ne aveva 22. «Da sempre volevo andare in Europa, poi ho deciso, l’ho detto a mia madre e mi ha detto di sì, l’ho detto a mio padre, che non vive con noi, e mi ha chiesto se avevo dei soldi, gli ho detto che avevo quando mi bastava per arrivare e che poi mi avrebbe aiutato Dio».
Lamin è arrivato qui attraverso l’Africa e il Mediterraneo, ha preso un bus da Serekunda, la sua città, la più grande del Gambia, ed è andato a Dakar in Senegal, poi a Bamako in Mali, sempre in bus, poi in Burkina Faso, in Niger e quindi a Tripoli. In città sono tanti i libici con intermediari neri che si occupano di smistare le persone sui gommoni. «Mi hanno portato in un grande palazzo protetto da uomini con il mitragliatore alla mano, dove ho pagato il mio viaggio». Dice che l’ha pagato 500 dinari, che al cambio di oggi sono 189 €, sembra poco «ma in Libia sono tanti soldi», commenta.
«Dio mi ha aiutato, ci ho messo solo quattro mesi ad arrivare in Italia da quando sono partito, c’è chi ci mette anni, che viene arrestato durante il viaggio o finisce i soldi. Io sono stato solo due settimane ad aspettare sulla spiaggia che il mare fosse calmo abbastanza per partire, dormivamo per terra, il mangiare ce lo portavano quelli a cui avevamo pagato. Al momento dell’imbarco devi lasciare tutto, anche i documenti se li hai, e ti devi svestire completamente tranne degli slip, per non rischiare che la zip dei jeans o il gancio del reggiseno di una donna buchi il gommone. Siamo partiti alle quattro di notte e dopo un giorno e mezzo di navigazione, alle tre di pomeriggio siamo stati messi in salvo dalle barche italiane. Eravamo 125 ma due sono morti durante il viaggio, uno lo conoscevo, era uno della mia città, aveva la mia età. È stato male in barca, abbiamo provato a dargli da bere e da mangiare, ma è morto. Quando abbiamo lasciato il gommone in mare gli hanno buttato sopra la benzina e lo hanno bruciato con i due corpi dentro. Questo è molto brutto, potevano almeno buttarli in mare. Questo me lo ricordo spesso, l’ho visto e non lo dimentico».
«Dio mi ha aiutato. Sapevo che potevo morire, sì, certo che lo sapevo. Quando qualcuno arriva in Italia ci telefona e ci dice tutto, ci dice del viaggio, di chi muore. Ho dovuto chiamare io la famiglia del ragazzo morto, gliel’ho detto io. Perché sono partito anche se sapevo che potevo morire? Perché voglio una bella vita, voglio guadagnare dei soldi, avere un lavoro, una casa e una bella moglie. In Gambia non c’è lavoro, ho solo avuto un lavoro per sei mesi con una compagnia olandese che stava costruendo una strada, poi la strada è finita. Quando sono arrivato a Milano ho conosciuto dei “fratelli” del Gambia e mi hanno aiutato. Poi ho conosciuto degli spacciatori. La prima sera li ho guardati e basta, la seconda ho comprato dieci euro di marijuana, la terza anche, la quarta gli ho chiesto se potevo aiutarli e mi hanno detto sì. Ho fatto un po’ di soldi e li ho mandati a casa: li do a persone del Gambia che qui in Italia sono diventati ricchi e loro fanno consegnare i soldi alla mia famiglia a casa. Se sono diventati ricchi con la droga? Qualcuno sì, qualcuno no, magari hanno aperto un ristorante o un supermarket».
«Però voglio trovare un lavoro, lo cerco tutti i giorni, per esempio l’elettricista oppure lavorare per un’impresa di pulizia. Perché se hai un lavoro cambia tutto. Se hai un lavoro puoi avere dei documenti, poi una casa, e finalmente la tua mente può smettere di pensare tutti i giorni. Molti di quelli che arrivano qui, li vedi anche tu, diventano matti, ed è per questo, perché la loro mente non può mai risposare. Oggi anche la mia mente non è mai tranquilla, perché ho la responsabilità di aiutare la mia famiglia, quando li chiamo a casa mi chiedono perché non gli ho mandato soldi. Sono qui e devo darmi da fare. Non devo ammalarmi, non deve succedere niente che non va, non posso rischiare, devo proteggermi. La mia mente riposerà quando avrò un lavoro, un casa e una moglie. Credo nell’amore, nel mondo di oggi capita poche volte di incontrarlo, ma esiste e a volte succede ancora. L’amore è la persona che pensa al tuo bene. Inshallah».