Codice rosso: cosa dice la nuova legge sulla violenza contro le donne?
Si chiama Codice Rosso, a rappresentare un’emergenza (oltre 120 le donne uccise nel 2018) e insieme una via preferenziale. È il disegno di legge che riguarda la violenza contro le donne e punta a inasprire pene già presenti nel codice penale oltre che ad accelerare i tempi della giustizia, questa è la via preferenziale delle denunce bollate con il codice rosso, quando ci sono reati di questo genere.
Sono tutti punti condivisibili secondo le associazioni che si occupano della difesa dei diritti delle donne, ma alcuni provvedimenti potrebbero, secondo alcune risultare controproducenti a partire dall’obbligo per i Pm di ascoltare le vittime entro tre giorni.
LE NOVITÀ SULLE PENE
Sono inasprite le pene per i reati di violenza sessuale fino a 12 anni di carcere, che diventano 24 per violenze su minori. Viene introdotto un reato specifico nel caso di sfregio del volto, punito con la reclusione fino a 14 anni.
LA VIA PREFERENZIALE
Il carcere preventivo passa da 3 a 6 mesi. Le denunce per violenze subite dalle donne dovrebbero avere un iter privilegiato, una corsia preferenziale con indagini più rapide e l’obbligo per i pm di ascoltare le vittime entro tre giorni.
Su questo punto c’era uno dei no delle associazione come spiega l’avvocato Elena Biaggioni coordinatrice della sezione penale del pool legale di D.i.Re Donne in Rete contro la violenza. «Siamo contrarie all’accelerazione fine a se stessa perché la specializzazione dei magistrati è fondamentale e accelerando non è detto che si trovi disponibile un magistrato preparato sul tema. Non è detto nemmeno che una donna sia pronta a parlare di tutto quello che le è accaduto, al di là di un singolo fatto denunciato, dopo tre giorni e magari non può dire tutto perché non ha ancora una via d’uscita dalla situazione in cui si trova». Per l’avvocato Biaggioni è invece utile la trasmissione immediata della notizia di reato in procura si può interloquire in questo modo direttamente con il magistrato dell’intera vicenda.
GIUDICE CIVILE
Diventa obbligatoria la trasmissione degli atti penali (ordinanze di misure cautelari, avvisi di conclusione indagini, sentenze su maltrattamenti) al giudice civile che deve decidere su procedimenti di separazione dei coniugi o in cause relative ai figli minori di età.
MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA
Dovrebbe essere modificato l’articolo del codice penale che riguarda i maltrattamenti contro familiari e conviventi cono la pena minima che passa da 2-3 anni a 6-7. Ulteriore aumento della metà se il fatto è commesso in presenza di un minore o su di lui, di donna in stato di gravidanza, di un disabile o con armi. Questo reato viene inserito fra quelli per cui si possono applicare la sorveglianza speciale o l’obbligo di soggiorno nel comune di residenza. Tra le aggravanti nel caso di omicidio viene aggiunta la stabile convivenza o relazione affettiva con la persona che uccide anche se la relazione è terminata.
STALKING
Per i reati di stalking la pena minima viene alzata da 6 mesi a un anno e la pena massima da 5 anni a 6 anni e 6 mesi. Deve essere immediato l’avviso alla vittima in caso di scarcerazione e viene introdotto l’uso del braccialetto elettronico perché lo stalker o il violentatore non si avvicini alla vittima.
Ricorda Elena Biaggioni che come associazione hanno dato parere favorevole all’introduzione del reato di violazione della misura cautelare di avvicinamento. «Spesso le misure imposte ora sono violate senza conseguenze e sono un segno che fa pensare all’impunità perché spesso la denuncia della violazione non ha alcun effetto».
LA DENUNCIA
Basilare resta la denuncia come ricordato dal ministro della Giustizia Bonafede a Repubblica: «Denunciate, anche se so che è difficile. I dati dimostrano che siamo in un’emergenza sociale molto grave. Le istituzioni devono dare una risposta forte e netta, che non lasci alcun dubbio. La tolleranza zero è poco».
Secondo le associazioni però non sempre la denuncia alle forze dell’ordine è il passo che fanno le donne maltrattate e non sempre è il primo messo in atto. «Bisogna potenziare la narrazione diversificata, le diverse vie di racconto della violenza perché non ci sono solo i casi denunciati e quelli che finiscono in cronaca. Il porre l’accento sull’emergenza può essere pericoloso e demagogico e parte da una conoscenza parziale del fenomeno. Non correre, ma credere a quello che le donne raccontano».
Si lega a questo il problema della formazione. Difficile secondo le associazioni farla con una legge che all’inizio il provvedimento era a costo zero nella prima stesura, ma Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega alle Pari opportunità Vincenzo Spadafora promette «fondi per finanziare i centri antiviolenza e per un fondo ad hoc per le vittime per incoraggiare le donne alla denuncia».