L’uragano Billie Eilish
Tra i problemi che gli adulti si pongono e Billie Eilish non c’è quello del genere musicale: pop? Rock? Elettronica? Il suo primo album si intitola When We All Fall Asleep, Where Do We Go? ed è arrivato con la missione di spazzare via le categorie con le quali siamo abituati a percepire la musica. Billie Eilish non ha ancora 18 anni, è circondata da aspettative fuori controllo fin dalla prima canzone nel 2016 e tutti si sentono in dovere di intervenire. Dave Grohl ha detto che il suo impatto gli ricorda quello dei Nirvana nel 1991: «Il rock è morto? Se guardo qualcuno come Billie Eilish mi viene da pensare: nemmeno per sogno».
L’ultimo talento adolescenziale a venir fuori così assoluto e non negoziabile fu quello di Lorde sei anni fa: rispetto a lei, Billie è più libera, visiva e complessa. Lorde arrivò come una bella testa, una bella voce, delle belle canzoni, è stata un talento più facile da inquadrare. Billie è tutta un’altra storia: già i suoi video sono oscuri e disturbati, tra aghi nella schiena (Bury a Friend) e lacrime nere come in un horror asiatico (When the Party’s Over).
Quello di You Should See Me in a Crown è stato firmato da uno degli artisti più importanti al mondo, Takashi Murakami, col quale Billie ha lanciato una linea di merchandising, altro bel risultato per una minorenne. Nel suo furibondo metabolismo creativo ha già assorbito tutti gli stili musicali sui quali poteva mettere le mani – elettronica, pop, trap, r&b – e li ha fatti suoi: il disco è irregolare ed eclettico. Ma c’è un motivo per cui le radio alternative passano i suoi pezzi e che dà ragione a Grohl: l’autenticità. I testi parlano in modo brutale di depressione, ansia, incubi, insicurezze sessuali, contengono tutti i sogni inquietanti di una ragazza inquieta, che si prende molto sul serio e ha tutti i motivi per farlo.