Gli ultra cattolici contro il farmaco per i teenager trans
Victor, ragazzo transgender che oggi ha 21 anni, ricorda con disperazione il giorno delle sue prime mestruazioni: «Quel periodo, e poi l’adolescenza, sono stati i miei anni più incasinati. Con l’arrivo della pubertà ho dovuto passarne tante, più di ogni ragazzo o ragazza normale, perché ho cercato di capire me stesso, di capire chi ero. È qualcosa che nessuno dovrebbe essere obbligato ad affrontare, qualcosa di spaventoso».
Teneva i capelli corti e arruffati e comprava i suoi vestiti nel reparto maschile dei grandi magazzini: sceglieva felpe oversize per nascondere i suoi seni in fase di sviluppo. Rifiutava di indossare i reggiseni e fu costretto a confrontarsi con una cugina. «Ho avuto un crollo emotivo e ho iniziato a tagliarmi. È stato un periodo dolorosissimo. Ho pianto per due giorni di fila perché mi hanno fatto indossare il reggiseno: non mi sembrava giusto». Ha sviluppato una grave depressione e, più avanti, ha anche tentato il suicidio. «Attraversare la pubertà è già un momento difficile per qualsiasi adolescente, ma una pubertà sbagliata può causare un sacco di traumi interni».
Per i ragazzi come Victor l’Aifa, associazione italiana del farmaco, il 25 febbraio, ha reso la triptorelina, farmaco per il trattamento di adolescenti con disforia di genere, completamente a carico del Sistema Sanitario Nazionale e prescrivibile «per l’impiego in casi selezionati». Con l’approvazione di molte società scientifiche (come la Società Italiana di Endocrinologia, la Società Italiana di Andrologia e Medicina della Sessualità, la Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica e l’Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere), che hanno riconosciuto il valore della decisione: «Numerose evidenze scientifiche hanno dimostrato che tale trattamento è in grado di ridurre i problemi comportamentali ed emotivi e il rischio suicidario».
Chi si oppone
Eppure questa decisione ha scatenato l’indignazione e la mobilitazione di diversi politici e di movimenti ultra cattolici. «Non esiste che in nome del gender i bambini vengano bombardati con farmaci inibitori di testosterone studiati per il tumore alla prostata, con gravissimi effetti collaterali, bloccando il naturale ciclo della pubertà e con l’impossibilità, poi, di poter tornare indietro. Neppure i nazisti del dott. Mengele erano arrivati a tanto», ha scritto il senatore leghista Simone Pillon, che insieme ai colleghi Romeo e Fregolent ha presentato un’interrogazione parlamentare sulla questione.
Sulla stessa linea il Governatore del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, che aveva annunciato che «farà ogni sforzo possibile affinché nella regione da lui governata la triptorelina non sarà essere somministrabile ai bambini e tantomeno gratuitamente». Alle loro posizioni si associa anche il Movimento Nova Civilitas, presieduto da Gianfranco Amato, già segretario del Popolo della Famiglia e organizzatore del Family Day: «Interventi così ferocemente invasivi e intimamente incidenti nei confronti dei bambini, senza neppur la necessaria contezza delle conseguenze psico-fisiche che simili trattamenti potrebbero importare ai soggetti trattati, anzi con evidenze scientifiche ed etiche avverse, sono da stigmatizzare con decisione», è scritto nella nota del Movimento contro la decisione dell’Aifa.
A che cosa serve la triptorelina?
Ma come perché questo farmaco viene somministrato? Facciamo un po’ di chiarezza. Secondo il Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali, la «disforia di genere» si diagnostica quando «la sofferenza che può accompagnare l’incongruenza tra il genere esperito o espresso da una persona, e il genere che le è stato assegnato» comporti una sofferenza significativa o una compromissione a livello sociale, scolastico o lavorativo. È proprio il periodo della pubertà, quello in cui compaiono i caratteri sessuali secondari, a diventare il più critico: la sofferenza aumenta, perché ci si sente nel «corpo sbagliato», spesso circondati da persone che cercano di «correggere», anziché capire.
Uno studio pubblicato su Lancet Diabetes and Endocrinology nel 2017 riferisce che, su 218 bambini e adolescenti con disforia di genere all’arrivo della pubertà, 84 hanno compiuto atti di autolesionismo, 74 hanno avuto pensieri suicidi e ben 29 hanno tentato il suicidio. Secondo la letteratura disponibile, il disagio è legato soprattutto al senso di rifiuto che sperimentano dal resto della società e dal bullismo di cui sono vittime.
È per questo che la comunità scientifica internazionale ha deciso di mettere a disposizione una terapia farmacologica per salvare la vita di questi ragazzi. La triptorelina, come spiega Paolo Valerio, presidente dell’Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere, può essere somministrata «in casi accuratamente selezionati», «allo scopo di sospendere momentaneamente lo sviluppo puberale quando questo si manifesta non solo in una direzione non in sintonia con l’identità di genere percepita, ma quando diventa fonte di forte sofferenza». I vissuti di depressione, ansia e rischio suicidario tendono a esordire o a intensificarsi proprio nel periodo dello sviluppo.
«Il razionale dell’uso dei farmaci bloccanti la pubertà è, quindi, di estendere lo spazio temporale di riflessione su di sé senza che l’adolescente debba sperimentare il disagio di cambiamenti fisici incongruenti con la propria identità di genere. È importante specificare che si tratta di un intervento completamente reversibile (può essere sospeso in qualsiasi momento e lo sviluppo puberale riprenderà in accordo al sesso biologico) e che è previsto solo in adolescenza».