Il dolore le fa belle: le donne di Valeria Parrella
Questo articolo è stato pubblicato sul numero 15 di Vanity Fair, in edicola fino al 17 aprile.
«Non esiste nessuna preferenza, ma solo il grande caso che ci sovrasta, e tutto ciò su cui avremo messo una ics si rivelerà sbagliato se saremo tristi, e giusto se saremo felici», si dice Elisabetta Maiorano, professoressa di matematica cinquantenne, vedova da poco, napoletana. Lo diceva anche Tolstoj che chi è felice ha ragione. Elisabetta Maiorano lo ha capito quando la vita, anzi la morte, le ha presentato un conto che non torna. Lei insegna matematica ai minori del carcere di Nisida, dove si consegna il cellulare in portineria prima di entrare e resta chiuso in un armadietto dentro la borsetta, per quello la notizia della morte del marito Antonio Elisabetta l’ha ricevuta per ultima.
Ma il dolore, quando non rende pazzi, fa crescere, o almeno cambiare, se gli si lascia il tempo. «Perché ci vuole un sacco di tempo, o una poesia perfetta, per dire davvero le cose come stanno». Elisabetta a Nisida incontra Almarina Luchian, una ragazzina romena violentata e picchiata dal padre, separata dal fratello, sola al mondo. E capisce che Almarina la riguarda, è al centro del suo compasso, che da qualche parte va pur puntato per capire quanto ampio puoi disegnare il cerchio. Attorno a loro c’è il carcere minorile sull’isola e «chi pensa che Nisida sia un’aberrazione non conosce la città, e chi pensa che la città sia un’aberrazione non conosce il Paese».
Valeria Parrella ha una scrittura personalissima, elegante, libera come le sue donne che sono sempre affascinanti e luminose anche quando soffrono, anzi, sembra che il dolore le renda più belle. Donne spesso solitarie, toste e testarde, brusche. Almarina (Einaudi, pagg. 136, € 17), breve romanzo appena uscito, è uno dei più bei libri di un’autrice che ha già scritto romanzi bellissimi come Lo spazio bianco e Tempo di imparare.