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Il simposio punk di Gucci a Selinunte

Gucci, la campagna Prefall 2019 ambientata a Selinunte
Gucci, la campagna Prefall 2019 ambientata a Selinunte
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Gucci, la campagna Prefall 2019 ambientata a Selinunte
Gucci, la campagna Prefall 2019 ambientata a Selinunte

Non smettono di sorprenderci Gucci e il suo direttore creativo dalla ferviva e instancabile immaginazione, Alessandro Michele. Ogni campagna stampa della griffe ci riserva qualche meraviglia inattesa, qualche trovata inedita capace sempre di stupirci.
E non fa eccezione a questa regola, che ormai ci vizia da qualche stagione, la campagna pubblicitaria Pre-Fall 2019, che ritrae un gruppo di eclettici bohémien, impegnati in una sorta di simposio contemporaneo e un po’ punk, fra le rovine dei templi del parco archeologico di Selinunte, sulla costa sud-occidentale della Sicilia. Così, se il look book della stessa collezione era stato scattato tra le rovine di Pompei ed Ercolano, per la campagna stampa cambia la location, ma non il suo fascino che ha saputo rimanere inalterato nonostante lo scorrere dei secoli.

Un patrimonio architettonico e culturale risalente al VII secolo a.C. che Gucci vuole così valorizzare e anche far conoscere anche alle nuove generazioni. Un’operazione accolta con entusiasmo da Enrico Caruso, Direttore del parco archeologico di Selinunte.

Come si sceglie una griffe con la quale collaborare per progetti di questo tipo?
«Combinare paesaggio archeologico e moda è sempre un’arma a doppio taglio: bisogna valutare quanto l’uno aggiunga o sottragga all’altro. È molto difficile comporre una strategia di salvaguardia di un’immagine per certi versi statica e millenaria, che rappresenta una civiltà e pertanto molto densa di storia e di fascino, con una disciplina che fa dell’effimero e del temporaneo la propria bandiera. Coniugare le due esigenze si può fare solo di rado, quando cioè si è in presenza di una ricerca del bello in chiave contemporanea e del rispetto verso la tradizione e la cultura di un sito come Selinunte che, per dimensione e grandezza delle rovine è uno dei più importanti siti archeologici del Mediterraneo. In questo senso Gucci, che ha proposto di realizzare la sua campagna pubblicitaria a Selinunte si è presentata con il suo curriculum di ambasciatore di successo della creatività e del made in Italy. La sua tradizione nella promozione della qualità nel mondo e il suo contributo all’educazione al bello, la sua competenza, l’entusiasmo, lo spirito d’innovazione, la capacità di promuovere e valorizzare il patrimonio artistico e culturale, senza snaturarlo, appartengono alla filosofia del marchio. Grazie alle scelte del suo direttore creativo, Alessandro Michele, Gucci dà costantemente prova del suo impegno a sostegno del patrimonio artistico e culturale italiano e internazionale. In Italia, oltre a Selinunte: il progetto culturale “Primavera di Boboli” promosso dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e patrocinato dal Comune di Firenze, che prevede una partnership con le Gallerie degli Uffizi per il restauro e la valorizzazione del patrimonio botanico del Giardino di Boboli; La Galleria Palatina di Palazzo Pitti a Firenze; i parchi archeologici di Ercolano e Pompei; i Musei Capitolini con il contributo al progetto di recupero della celebre Rupe Tarpea. All’estero: i Chiostri dell’abbazia di Westminster a Londra, la necropoli romana di Les Alyscamps ad Arles. I luoghi scelti per la promozione dell’immagine del marchio hanno ottenuto una diffusione della propria immagine, ricavandone un consolidamento della loro buona fama».

Alle critiche che potrebbero arrivare – mercificazione dell’arte e così via – che cosa risponde?
«Questo è certamente un aspetto che ha una forte rilevanza nella gestione di un sito come Selinunte. Non c’è dubbio che la una visione estatica delle rovine, di ottocentesca memoria, si raggiunge solo con un’idea statica dei luoghi della cultura che per molti dovrebbero restare intonsi, com’erano in un dato momento storico, anch’esso statico quanto imprecisato, riferito ad un’epoca d’oro che vive solo nell’immaginazione di alcuni e che, quasi certamente, non è mai esistito. A Selinunte, per esempio, cosa dovremmo salvaguardare? La città che fu? Oggi Selinunte non lo è più, perché distruzioni, guerre, terremoti hanno cambiato talmente tanto e profondamente i luoghi che si fa perfino fatica a immaginare quanti siano stati. E l’opera dell’uomo che ha depredato le rovine stesse utilizzando le pietre antiche per costruire ponti e case, fino al recente passato – basti ricordare gli scavatori clandestini che hanno fatto la fortuna delle loro famiglie sottraendo a Selinunte opere pregevoli, clandestinamente esportate ed esposte in tanti musei del mondo – questi sì che hanno fatto la sfortuna del nostro sito. Oggi tutto ciò che consente, anche economicamente, a contribuire alla salvaguardia del sito ed alla diffusione della sua immagine positiva nel mondo, ritengo debba essere considerato benvenuto. Finita la campagna preparatoria dello shooting, Selinunte è ancora lì mentre la sua immagine circola per il mondo. Nell’antichità, l’acropoli e la collina occidentale erano parte viva di un paesaggio urbano attraversato da esseri umani di etnia diversa, in un’isola come la Sicilia abitata dai Sicani, Siculi, Elimi, in un Mediterraneo solcato da Greci di diversa stirpe, Fenici, Libici, etc.., si può facilmente immaginare come queste antiche città fossero luoghi in cui si viveva e si commerciava e gli abitanti, stanziali o di passaggio, parlavano lingue diverse e vestivano con fogge diverse. Così come diverse sono le fogge dei vestiti presentati da Gucci. È bello che questo luogo unico venga vissuto, attraverso la reinterpretazione in chiave moderna della campagna di Gucci. Anche la moda è parte del patrimonio culturale e della storia del nostro Paese. Il legame tra moda e arte può favorire occasioni di incontro e interscambio tra entità che possono superficialmente sembrare appartenenti a mondi diversi, ma che sono invece molto legate ed entrambe parti integranti della cultura e della creatività Italiana. La collaborazione di Gucci con il parco archeologico di Selinunte ha l’intento di promuovere e preservare questo antico sito, portando all’attenzione delle nuove generazioni il fascino e la memoria storica di questi luoghi. Inoltre, Gucci è un marchio globale con solide origini italiane, e la decisione di presentare e fotografare le collezioni in uno scenario come Selinunte contribuisce a promuovere positivamente il parco archeologico anche all’estero, raggiungendo con forza terre lontane e immaginari inaspettati».

A proposito: di critiche ne sono già arrivate?
«Devo dire che non sono al momento arrivate tante critiche se non alcune per i personaggi singolari che animano le immagini delle foto curate nello shooting. Io ho avuto modo di visionare fin dall’inizio il progetto comunicativo, che evoca lo spirito del classico simposio, durante il quale i convitati socializzavano fra loro, con accompagnamento di musica, danze e declamazioni di poesie, e intavolavano lunghe conversazioni. Vedere oggi le immagini del progetto, realizzato di fatto senza snaturare Selinunte, ma anzi omaggiando in remoto questo sito, un tempo dimora della cultura pagana, mi pare che basti a spegnere le critiche che possono arrivare».

Quali sono le problematiche più curiose, e gli aspetti più delicati, legati a uno shooting come questo?
«Intanto la presenza contemporanea di moltissime persone in un sito di delicata struttura che, per fortuna, grazie anche alla precisa organizzazione che Gucci ha messo a punto, ci ha consentito di tenere sotto controllo ogni possibile criticità per il luogo. Ogni elemento necessario, realizzato con strutture mobili, è stato ben integrato nel contesto selinuntino e dopo lo smontaggio nulla consente oggi d’immaginare cosa il set abbia richiesto e cosa sia stato fatto. Qualcuno, ad esempio, si chiede dove si trovino alcune rovine che sono state allestite scenograficamente per alcune riprese… e dove si trovi una fontana che non si trova nel sito. Tutto ciò aumenta la curiosità che va solo a vantaggio di tutta l’operazione».

La moda può davvero avvicinare i giovani all’arte? Che cosa si aspetta, in questo senso, da questo tipo di operazione?
«Ritengo che tutto ciò che presenta bene un luogo artistico senza rimaneggiamenti, con la sua verità nuda e cruda, con le erbe appena spuntate tra le rovine, senza operazioni da set cinematografico finto che potresti tranquillamente realizzare anche in uno studio di posa, sia di per sé un modo per presentare la realtà senza edulcorarla, senza volere trasmettere un’immagine finta, truccata di un contesto magnifico. Lo shooting, credo, riesce a dare sempre, in ciascuna immagine, un senso di realtà compiuta e vera, in cui ciascun singolare personaggio, ripreso in questo contesto, si ritrova immerso in un momento di verità. Gucci è un marchio che parla molto ai giovani e il legame tra moda e arte è sempre stato molto stretto. Il fatto che la sua collezione, grazie all’immaginazione di Alessandro Michele, venga raccontata all’interno di questo luogo storico, reinterpretato in chiave moderna, porta all’attenzione delle nuove generazioni e di un pubblico sempre più interattivo il fascino e la memoria storica di Selinunte. Ma ciò che ho trovato davvero originale e che ho tanto apprezzato saranno i contenuti digitali relativi alla campagna sviluppati per la Gucci App che ho avuto modo di visionare in anteprima per la condivisione delle proposte, che sicuramente avvicineranno ancora di più i giovani a questa magnifica realtà selinuntina. Il fatto di raffigurarti in foto con sullo sfondo i templi selinuntini sarà un’occasione per desiderare di raggiungere questo luogo, uscendo dalla realtà virtuale ed entrando in quella reale. Ciò consentirà di raggiungere il risultato di una divulgazione capillare di questo magnifico sito anche presso chi, lontano da qui per ragioni di latitudine e di cultura, non conosce né ha mai sentito parlare dell’architettura dorica e di Selinunte».

C’è qualcosa che non sappiamo di Selinunte, e che potrebbe farci venire ancora più voglia di venire a conoscerla?
«Il profumo del mare, la brezza umida e salata che in certi momenti avvolge le rovine e ti lascia immerso in questa realtà tanto mutevole a seconda della luce e delle ore del giorno e della notte, tanto grande da non potere mai entrare dentro una foto o in un film. Passeggiare tra le rovine misurandone l’inusitata dimensione non è che un’esperienza unica e personale, che non può essere vissuta in maniera interposta o virtuale. E poi altri luoghi di Selinunte che non sono stati inclusi nella campagna di riprese e che non possiedono una monumentalità vistosa come le rovine dei templi peripteri. Ci sono da vedere altri posti poco frequentati dai visitatori: mi riferisco ai santuari occidentali, piccoli e senza le colonne, creati a ridosso del fiume Modione (antico Selinus) che raccontano una perduta spiritualità, magica, antica, e difficile da percepire razionalmente ma la cui intensità non ti lascia indifferente, un fascino che ti colpisce e, se chiudi gli occhi, sussurra alla tua anima».

C’è un luogo d’arte al mondo, secondo lei, nel quale non si potrebbe proprio mai immaginare nulla del genere, e perché?
«Penso ai monumenti della fede contemporanea. A Selinunte, la religiosità si è perduta più di duemila anni fa e in questo sito che noi percepiamo solo come rovine di urbanistica e architettura, in parte compromesse dal tempo e dalla storia, un luogo depositario solo dell’Arte antica, è più facile lavorare contaminando in nome dell’Arte. Non riesco invece ad immaginare che si possa realizzare nulla di simile all’interno di una Cattedrale contemporanea, di un Tempio simbolo della fede, viva e ancora misticamente osservata, basti ad esempio pensare alla Basilica di San Pietro a Roma, alla Moschea Blu di Istanbul o al basamento del Tempio di Salomone a Gerusalemme. Qui non sarebbe possibile, nessuno capirebbe l’irriverenza di certe immagini che ben si sposano con l’idea di Arte, che pure questi luoghi ampiamente possiedono, e poco con quelle della fede. L’irriverenza sarebbe interpretata come offesa alla religione».

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