Le note sul registro, l’ultima traccia scritta della nostra gioventù
La maestra del quarto liceo stava spiegando le battaglie di Napoleone. Dal fondo sinistro il mio compagno Salvatore mi lanciò un pacco di fazzoletti. La parabola era perfetta, non si portava dietro scuse. Mi alzai di scatto e stoppai di petto. Riuscii miracolosamente a controllare di ginocchio, palleggiai col destro e me l’alzai col sinistro. In una mezza rovesciata presi in pieno il pacco di fazzoletti e lo scaraventai verso il muro in fondo, alla ricerca dell’incrocio, a sorvolare tutta la classe e scomparire tra i cappotti appesi in fila. Applauso unanime, esultanza selvaggia. La maestra scrisse la scena accuratamente sul registro: «Durante la lezione di Storia, Oggiano si mette a palleggiare con un pacco di fazzoletti».
Più che note, sono state le stecche della nostra vita. Stonature che ne hanno valorizzato la melodia, svisature che tentavano di elevarla a capolavoro. Sono gli inciampi che ci hanno fatto correre più veloci, o almeno ci hanno fatto godere la corsa: l’ultima traccia scritta della nostra gioventù. Il Parlamento le vuole togliere, almeno a partire dalle scuole elementari, a favore di progetti di collaborazione con le famiglie. E in fondo è giusto così. Erano nate per un regio decreto del 1927 e rappresentavano un ultimo baluardo di quel sistema scolastico burocratico e irregimentato che si occupava più della punizione (quasi sempre inutile) che dell’educazione dei suoi alunni.
Per quasi 100 anni sono state la trascrizione burocratica, secca e cronachistica della nostra «creatività» distruttiva. Ce li ricordiamo, i nostri professori, a dover sintetizzare in tre righe attimi di follia collettiva: «Metà della classe è assente, l’altra metà cerca di convincermi che gli assenti non sono mai esistiti». «L’intera classe continua a simulare un inesistente terremoto battendo i piedi sul pavimento». «La classe organizza scommesse clandestine puntando sulla presunta data di decesso di docenti. Mi permetto di sequestrare la lista».
I registri provano che c’è stato al mondo almeno un alunno che «cantava ripetutamente cori durante la mia lezione di elettronica. Al mio richiamo ha risposto: “Libertà per gli ultrà”». Un mistico che «salito sulla propria sedia, ha provato a denudarsi recitando alcuni passi del Vangelo. Si richiede colloquio coi genitori». Un imprenditore di nome Simone che «nonostante continui richiami, continua a rosolare Wurstel sul suo grill portatile e li vende a 5 euro ai suoi compagni». E una lussuosa che in seconda elementare faceva «commercio illecito di orecchini».
Piccoli capolavori letterari, erano. Racconti brevi degni del peggior Hemingway: «Al suono della campanella, Mattia e Francesco improvvisano un incontro di boxe con guantoni e pantaloncini. Silvia passa con un cartellone con su scritto: “1 round”». «Antonio C. e Davide L. sono complici nell’aver scambiato il contenuto della valigetta del professor G. con riviste di Playboy». «Dopo l’interrogazione che è stata una scena muta, l’alunno si rivolge all’insegnante chiedendo se poteva avvalersi dell’aiuto del pubblico». C’era l’essenzialità impiegatizia dei professori, costretti a mettere nero su bianco il loro spaesamento: «Di ritorno dall’intervallo trovo la classe vuota e sulla cattedra un biglietto con scritto: “Le vacanze sono state anticipate, arrivederci professoressa”. Siccome non è girata alcuna circolare riguardante questa notizia penso che gli studenti si stiano prendendo gioco di me».
Tutto vero: le note erano la prova scritta della nostra inutile e importantissima voglia di esserci, la certificazione protocollata del nostro passaggio alla storia, quella della classe almeno, il tempo di una stagione sempre troppo breve. A me per esempio quel palleggio col pacco di fazzoletti non m’è mai più riuscito. Solo quel giorno, in quarta liceo: fu quello, con tanto di certificazione scritta, l’ultimo calcio dato alla mia gioventù.