Si chiama Marijuana Pepsi, la laurea grazie al nome stranissimo
Affrontatela voi la vita con un nome come Marijuana Pepsi, vi sembra facile? Non lo è, come per tutti quelli che hanno un nome inusuale. Soprattutto da bambini le prese in giro sono all’ordine del giorno e non è difficile immaginare lo scorrere dell’appello a scuola e il nome pronunciato ad alta voce dal professore. C’è chi non ce la fa e appena arrivato alla maggiore età opta per il cambiamento, c’è invece chi il nome lo indossa come un’armatura. Così è successo a questa signora americana.
https://twitter.com/Beloit_College/status/1141733312630861825Marijuana Pepsi Vandyck, 46 anni, ha ottenuto un dottorato proprio facendo una tesi sui nomi strani, rispetto ai classici, che le persone di colore portano negli Usa.
In Wisconsin la storia del suo nome, secondo il Washington Post, era leggenda già negli anni Ottanta. Si dice che marijuana e pepsi fossero le due cose preferite della madre. Altra versione riferisce invece che il padre ne facesse uso al momento del concepimento o della nascita della figlia.
Nel 2009, Jim Stingl, giornalista del Milwaukee Journal Sentinel, scoprì che era scelta della madre e che il padre era contrario. «Disse che sapeva già alla mia nascita che lo avrei portato in giro per il mondo. Io non ne ero convinta e le mie sorelle hanno nomi normali come Kimberly e Robin».
In famiglia l’hanno sempre chiamata Pepsi, ma a scuola era Marijuana Jackson e il nome, dice una zia, è il prodotto degli anni in cui è nata, i liberali Settanta. Negli anni ha anche trovato qualcuno a cui piaceva e che voleva chiamare così i figli. «L’ho sentito tante volte e ho sempre pensato: non fategli questo».
Lei si è laureata, ha lavorato come insegnante ad Atlanta ed è tornata nella sua città, Beloit, solo qualche anno fa lavorando al college per gli studenti in difficoltà. Ha anche avuto in figlio che ha chiamato Isaac, un nome comune negli Usa. Ha fatto tutto tenendo il suo nome e senza ricorrere a un coprente e semplice Mary o Mary Jane. Ha raccontato al giornale di Milwaukee che il suo nome era la prova del successo possibile nonostante gli ostacoli, una lezione da passare gli altri. Per questo lo ha tenuto sempre e ci ha anche fatto la tesi di dottorato: «Nomi neri in classi bianche: il comportamento degli insegnanti e la percezione degli studenti».
Per la cronaca, non ha mai fumato marijuana e non le piace nemmeno molto la Pepsi. Quindi non c’è da preoccuparsi: la vita va avanti che ci si chiami Chanel, Gandalf, Suellen, Eriberto o Brooklin.