Ornella Vanoni: «La mia ultima delusione d’amore (a 60 anni)»
L’ultima «tranvata», così come la chiama lei, Ornella Vanoni l’ha avuta a sessant’anni. «Da artista, sono felice della vita che ho avuto. Ma dall’amore, sono così delusa che sono sola da vent’anni. A sessanta, ho preso una di quelle tranvate. Ho confuso la durezza con la forza. Non voglio neanche nominarlo, era arido e permaloso, io sono ironica, può immaginare il disastro». Ornella, però, non si dà per vinta e, intervistata dal Corriere, rivela la serenità che pervade il suo animo da quando ha messo da parte l’ansia e la gioia che prova nel sentirsi ancora desiderata, amata. Come da Pino Roveredo, 64 anni, lo scrittore Premio Campiello nel 2005 che la cantante ha conosciuto alla presentazione di un suo libro: «Raccontava dei genitori sordomuti, alcolisti, l’ho abbracciato, gli ho cantato Mi sono innamorata di te».
Il loro amore è di quelli che non si consuma e, per questo, eterno: «Sono innamorata. Non c’è sesso, ma un amore poetico, virtuale. Ci vediamo poco, lui sta a Trieste, io a Milano», rivela Ornella leggendo le poesie che gli ha dedicato, stesso stratagemma a cui ricorse un altro, Francesco Leto, per conquistarla. «Ha 36 anni, dormiamo nello stesso letto per poter parlare di notte. Per esempio, cantavo a Parigi con Paolo Fresu, Francesco è venuto a trovarmi, abbiamo dormito insieme. Non cerco storie convenzionali. A 80 anni, il sesso non ti riempie il cuore e a convivere ti viene l’orticaria. Ho i miei vizi, voglio vedere Netflix fino all’alba». Il suo primo vero amore, però, rimane uno: Giorgio Strehler, colui che la scoprì e la trascinò nello scandalo di una relazione fuori dal matrimonio. «Lo amavo meno di lui. L’ho lasciato, mi faceva soffrire, aveva vizi che non potevo sopportare. Però mi ha fatto scoprire la cultura. Lui parlava e io stavo zitta: avevo solo da imparare. Ha intuito che potevo cantare, mi ha fatto scrivere le canzoni della mala».
Altro celebre amore della sua vita fu Gino Paoli, che scrisse per lei Senza fine: «Poi, ci siamo innamorati e ha scritto il testo, lungo, lungo. Ho scelto io le strofe». Negli anni Sessanta la Vanoni non sapeva bene in quale direzione andare: «Mi ero lasciata con Strehler che era sposato, amavo Paoli che era sposato, incontro Ardenzi, mi sposo». Di Paoli ricorda i tradimenti, «non lo trovavo mai», e la decisione di lasciarlo, «col cuore che era uno spezzatino». Lei, d’altronde, bella non si è mai sentita: «Ero bellissima, ma non mi amavo. È stata una fortuna: se no, perdi l’autocritica e fai errori. Dicevano che ero sensuale. Ma è perché, a 14 anni, avevo l’acne e la cicatrice e mandavo avanti il corpo, in shorts e zoccoli alti. A Paraggi pigliavo multe per oltraggio al pudore». A vent’anni a bloccarla era la cicatrice da tisi che aveva sul collo e una grande timidezza che cercò di sconfiggere frequentando la scuola del Piccolo. Il risultato è sotto gli occhi di tutti e, ora che è rimasta solo l’emozione e non più la paura, tutto ha un altro sapore. Più autentico, lontano dalla depressione con cui ha dovuto convivere per anni e che ora non le appartiene più: «Ho fatto Sanremo due anni fa, poi ho avuto un anno vuoto ed ero triste, ora lavoro tanto e sono rinata».