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Maurizio Lombardi: «Ho la faccia del cattivo, ma non è un male»

Da «The New Pope» al «Pinocchio» di Matteo Garrone; dall'horror «The Nest» a «1994» con Stefano Accorsi, il 46enne attore fiorentino dà vita a un mondo ricco di sfaccettature. E poco importa se abbia la faccia «da cattivo»: «La paura, dopotutto, prepara alla vita». Ecco cosa ci ha raccontato
Maurizio Lombardi
Maurizio Lombardi
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A volte basta una rapida occhiata per decidere se una persona sia buona o cattiva, giusta o sbagliata. Nel caso di Maurizio Lombardi l’ago pende decisamente verso la severità, forse suggerita dallo sguardo accigliato e dai lineamenti spigolosi che lo rendono la nemesi perfetta, il personaggio ruvido che tutti vorrebbero come antagonista. «Il mio viso non è consolatorio, dolce e orizzontale, con gli occhi azzurri alla Paul Newman», spiega l’attore toscano, 46 anni, in un soleggiato pomeriggio di luglio. «Ho lo sguardo inquietante di Michael Caine e di Christopher Walken: la mia immagine incute un certo timore, ma non è necessariamente un male», insiste nella sua camera d’albergo di Roma, in attesa di prendere parte a un provino. Per Maurizio, formatosi alla scuola di Ugo Chiti, le vacanze sono lontane: presto sarà ai Festival di Locarno e di Venezia per presentare tre delle produzioni che lo vedranno protagonista nella prossima stagione, dall’horror The Nest diretto da Roberto De Feo a The New Pope, la serie scritta e diretta da Paolo Sorrentino in cui Lombardi presta il volto al cardinale Mario Assente, già visto in The Young Pope.

«È stata una sorpresa ritrovare il personaggio: quando mi hanno detto che era stato inserito anche nella seconda stagione ho avuto un sussulto», racconta l’attore profondamente affascinato da quell’Eminenza così autoritaria, che ammette la propria omosessualità di fronte a un Lenny Belardo con la corazza ancora più dura della sua, desideroso di fargli capire chi è che comanda. «Nella mia carriera ho passato tutta la gerarchia del clero: dai monaci del 1000 de Il nome della rosa ai preti di Chi m’ha visto, fino a Mario Assente come cardinale: mi manca di fare il Papa», dice prima di esplodere in una risata fragorosa, che scioglie il cuore. Intanto, fra la nuova stagione di 1994, dove veste di nuovo i panni di Paolo Pellegrini, e l’attesissimo Pinocchio di Matteo Garrone, Lombardi, caratterista spiccato, che nella sua carriera vanta partecipazioni a film e serie tv del calibro di Tutti i soldi del mondo di Ridley Scott e I Medici, fermo non ci sa proprio stare. Come quando, da ragazzo, non riusciva a concentrarsi a scuola perché «la sedia scottava» e non vedeva l’ora di alzarsi e vivere nuove avventure.

Fra Locarno e Venezia sembra che nel prossimo futuro non avrà un attimo di tregua. E le vacanze?
«
Le vacanze sono il lavoro. Come diceva Confucio, trova il lavoro che ti piace e non lavorerai per tutta la vita. Per noi attori stare su un set o su un palco è qualcosa di necessario, puoi anche partire ma, dopo tre giorni, non ci va più bene e sentiamo il bisogno di tornare. Sono contentissimo dell’opportunità di Locarlo e di Venezia perché sono due festival enormi e bisogna sempre andarci al meglio. Apprezzo molto l’eleganza e lo stile e mi piacerebbe andarci al massimo. Dopotutto, bisogna rendere omaggio a chi ti ospita».

Da dove nasce questa ossessione per l’eleganza?
«A Firenze ho due cari amici, i fratelli Conforti, che hanno uno dei più grandi magazzini di tessuti della Toscana: sono severissimi sullo stile e, in certi momenti, ho ricevuto dei rimproveri bonari che mi facevano capire che quel tessuto o quell’abito non erano proprio adatti a me. Il 40% per un attore è proprio indossare un certo tipo di scarpa, di tessuto, capire come piomba, che pesantezza ha, come si muove su di te, come lo vesti. La Canonaro, forse la più grande costumista di tutti i tempi, ci ha insegnato che un vestito come quello di Arancia Meccanica o del Portiere di notte della Cavani sono qualcosa di più: quelle bretelle che premono sul seno e quell’occhio sulla manica di Alex rappresentano l’anima del film».

The New Pope
The New Pope
The New Pope
The New Pope
The New Pope
The New Pope
The New Pope
The New Pope
The New Pope
The New Pope

In The New Pope, per esempio, lei indossa la tenuta da cardinale. Si è sentito a suo agio?
«È uno dei vestiti più comodi che lo stile abbia mai messo sul mercato perché, al di là della simbologia dell’abbottonatura, 33 bottoni come gli anni di Cristo, non ha un cavallo, quindi sotto sei libero e potresti anche essere nudo. È un costume che è stato realizzato da vere e proprie sartorie all’interno del Vaticano, fatto su misura, uno stile bellissimo, lungo, che slancia la figura. Quando dicono che l’abito non fa il monaco è una bugia: quando giravo con quell’anello e quella croce incutevo un certo rispetto, un certo timore».

Il suo personaggio, Mario Assente, un po’ di timore lo incuteva in The Young Pope: come ha ritrovato il personaggio?
«È stata una sorpresa. Nella prima serie serviva soprattutto per dare risalto alla perfidia di Lenny Belardo, ma leggere l’evoluzione che avrà nei nuovi episodi è stato emozionante. Assente è una personalità fredda, distaccata, perfida. Confessa la sua omosessualità al Papa in maniera dolorosa e mi piace davvero molto interpretarlo. Paolo Sorrentino, poi, è geniale, riesce sempre a creare qualcosa di magico in cui devi entrare diventando una delle mille sfaccettature del suo mondo».

Le dispiace essere scelto quasi sempre come il cattivo di turno?
«Sono evidentemente più in quella scia lì, anche come fisionomia. La mia immagine incute un certo timore alla camera e non mi dispiace. Quando ero piccolo la nonna mi raccontava le fiabe, ogni sera le stesse, e io non vedevo l’ora che arrivasse a quel punto lì della storia in cui provavo paura: mi venivano i brividi, certe volte mi coprivo le orecchie per non sentire. Penso che i bambini vadano un po’ impauriti perché il terrore ha, checché se ne dica, un bellissimo valore sociale, prepara alla vita».

E pensare che lei nasce sotto tutt’altra stella, come animatore nei villaggi turistici. 
«Un inizio completamente all’insegna della leggerezza: lavoravo nei villaggi della Sardegna quando avevo 2o anni ed è stata una grande gavetta perché il pubblico te lo dovevi conquistare con le unghie e con i denti: è vero che era lì in vacanza ma, proprio per questo, voleva ridere di gusto ed eri costretto a diventare un po’ folle, assurdo. A teatro, tenuto a battesimo da Ugo Chiti, ho iniziato con uno spettacolo che strizzava l’occhio a Fo, Proietti, la Marchesini: mi è sempre piaciuto quel genere lì».

Sulla sua pagina Wikipedia si legge: «Da ragazzo è incostante e distratto negli studi, tanto da far credere ai familiari di essere affetto da un deficit di attenzione». Era vero?
«Penso di averlo oggi il deficit di attenzione perché mi distraggo molto facilmente. Da ragazzino i miei genitori pensavano che ne soffrissi, ma il dottore li rassicurò dicendogli semplicemente che non mi interessava quello che studiavo: aveva ragione. Mi ero fatto fare un permesso speciale per uscire ogni ora per andare in bagno pur di non stare in classe, inventando non mi ricordo quale problema alla vescica. Ero sempre quello che prendeva il panino al bar o correva per recuperare i gessi che mancavano: sono troppo curioso, affamato, mi butto dentro alla cose come se intraprendessi un viaggio».

Eppure all’inizio ha scelto Architettura, non proprio una facoltà dove è concessa la distrazione. Come mai?
«Sono nato in una famiglia di mobilieri e da piccolo me la cavavo con le prospettive, il disegno a mano e l’arredamento: ancora oggi disegno tutte le scenografie, i costumi e i personaggi dei miei spettacoli. Quindi, all’epoca, i miei pensavano di mandarmi ad Architettura vedendo un barlume di speranza, ma così non fu. Il professore di Statistica, che si chiamava Tempesta, mi fece passare l’esame a patto che non facessi mai l’architetto e l’ho accontentato. Anni dopo è venuto a vedermi a teatro per poi dirmi: “Ha visto? Io ho sempre ragione”».

Poi è arrivata la vocazione del palcoscenico. Negli ultimi anni ha spesso recitato in inglese: che effetto fa memorizzare le battute in una lingua diversa dalla sua?
«Recitare in un’altra lingua è affascinante perché è come se le emozioni scivolassero via: non pensi a quello che devi dire, ma quello che vuoi trasmettere. La prima volta che ho recitato a Edimburgo l’inglese non lo maneggiavo come oggi, ma dovetti imparare 25 pagine di copione a memoria. Venne a vedermi mio padre che, ovviamente, non comprese una parola ma, alla fine, mi disse che era più bello lo spettacolo in inglese perché non si capiva niente eppure si capiva tutto. Il testo acquista una forza maggiore, ti dedichi di più a quello che stai sentendo in quel momento ed è bellissimo. In inglese ho recitato in Mozart in the Jungle, in The New Pope e, presto, nella nuova stagione di Riviera e nel film Tigers: spero che questa carriera internazionale continui il più a lungo possibile».

Gli encomi sono arrivati: Martin Scorsese si è complimentato per la sua interpretazione in The Young Pope.
«Quando me lo dissero rimasi di sasso: era come se Zeus vedesse un mortale e dicesse “è interessante”».

È appassionato di boxe, sport che pratica anche personalmente. Cosa le piace del ring?
«Sono cresciuto con la boxe. Con mio padre guardavamo “The Machine” in televisione di notte, con gli incontri in diretta dal Madison Square Garden. Quando si dice che un artista ci messo sangue e sudore, un pugile ce lo mette davvero: andare incontro al dolore pur sentendo male è un atto artistico puro, massimo. Un pittore si dispera di fronte alla tela, un poeta di fronte ai sonetti, un regista di fronte alle immagini, un attore di fronte a un copione, ma un pugile su un ring è chiamato a una fatica immane, a sconfiggere un altro uomo che gli sta facendo del male».

Si è mai comportato nella vita come un pugile, affrontando il dolore di petto?
«Il dolore non si può schivare, fa parte della vita stessa. Come la donna che arriva e ti porta l’amore e poi se ne va via e ti lascia distrutto, così il dolore sopraggiunge e ti lascia i mezzi per sopportarlo. Ciò che non amo è, invece, la cattiveria perché, spesso, si subisce e basta, è mediocre, ed è difficile da contrastare: è sempre meglio avere davanti il nemico e guardarlo in faccia».

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