La vita eterna della plastica: sulla spiaggia un sacchetto di patatine scadute nel 1990
Uno stivale, cinque boe, tredici pezzi di vetroresina, dieci bottiglie di plastica, 600 pezzi di polistirolo, 45 pezzi tra lattine e scatolette di tonno, gomma. Sotto uno strato di posidonia, i volontari di Legambiente, impegnati a ripulire le spiagge I Salandri, a Marina di Campo (Isola d’Elba), hanno trovato montagne di rifiuti. Ma il più «incredibile», come lo hanno definito sulla pagina Facebook di Vele Spiegate, è l’involucro in plastica di un pacchetto di patatine con data di scadenza 2 settembre 1990. È scolorito dal sole e dall’acqua di mare, ma è ancora intero. «Sulla via del ritorno alla barca, una riflessione collettiva sorge spontanea: e se fosse troppo tardi?», scrivono i volontari sulla pagina.
In effetti, come segnala il report del WWF Mediterraneo in trappola. Come salvare il mare dalla plastica, la maggior parte delle plastiche non si biodegrada in alcun modo, e tutta quella che viene dispersa in natura resterà nell’ambiente per centinaia o migliaia di anni. «Usata in media per 4 anni, ma spesso una volta sola, la plastica rimane a “soggiornare” in mare per periodi che vanno dai 5 anni per un filtro delle sigarette, 20 anni per una busta, 50 anni per un bicchiere e fino 600 anni per un filo da pesca».
Questi rifiuti provenienti da oggetti comuni, le macroplastiche, di dimensioni maggiori e quasi tutti monouso come sacchetti, filtri delle sigarette, palloncini, bottiglie, tappi o cannucce, sono quelli che colpiscono l’opinione pubblica perché sono più visibili e impressionanti. E, in effetti, feriscono, strangolano e spesso causano la morte di animali, incluse specie protette e a rischio come le tartarughe marine.
Ma sono le microplastiche, i frammenti inferiori ai 5 millimetri, ad avere l’impatto più pesante sulla vita marina. Raggiungono «nel Mediterraneo concentrazioni record quasi 4 volte superiori a quelle registrate nell’“isola di plastica” del Pacifico settentrionale», segnala il report. «Entrando nella catena alimentare, questi frammenti minacciano un numero ancora maggiore di specie animali e mettono a rischio anche la salute umana».