Governo, la via in salita e il toto nomi dell’accordo Pd-M5S
L’impressione è che le strade siano tutte aperte: quella che porta al nulla di fatto e che apre la porta alle elezioni, quella di governo polpettone e anche quella di un accordo solido che possa durare. Saranno gli incontri della giornata di oggi a chiarire quale sarà la conclusione della trattativa fra Partito Democratico e Movimento 5 Stelle, con un risultato che poi i penstellati sottoporranno alla votazione della base sulla piattaforma Rousseau.
La serata di ieri si è chiusa con un rinvio. La strada è in salita su programmi e contenuti. Le differenze sono sui nomi, ma anche sulla manovra finanziaria. Era l’una quando è finito l’incontro di quattro ore fra Luigi Di Maio e Giuseppe Conte da una parte, Nicola Zingaretti e Andrea Orlando dall’altra. Nulla di fatto, mentre nel pomeriggio l’accordo sembrava possibile.
L’ipotesi a cui si lavora è un nuovo incarico da premier a Giuseppe Conte, nonostante i dubbi su questo nome del Pd che infatti non ha ancora dato il via libera al Conte bis. I democratici dicono che è questione di contenuti, programma e legge di bilancio 2020 (ma anche sicurezza e giustizia). I 5 Stelle rilanciano sul fatto i dem hanno parlato solo di ministeri. Il tempo però stringe. Nel pomeriggio Mattarella apre il nuovo giro di consultazioni, i partiti maggiori salgono al Quirinale mercoledì.
Ieri è tornato a parlare, in giacca e cravatta dal Viminale, anche Matteo Salvini. «Pare che stia nascendo un governo che ha le poltrone come unico collante, lontano dal Paese reale». La sua via maestra è quella delle urne. «Chi ha paura del voto del popolo non ha la coscienza pulita».
Di nomi alla fine si parla. Se il Pd accettasse Conte come presidente del Consiglio vorrebbe però ministeri di peso rigettando invece l’ipotesi Zingaretti vicepremier insieme a Di Maio come vorrebbero i pentastellati. Il segretario del Pd non vuole entrare nell’esecutivo, ma ci vuole mettere persone a lui vicine. Il Pd vorrebbe una sola poltrona di vicepremier per Andrea Orlando o Dario Franceschini.
A Di Maio andrebbe il ministero dell’Interno, poltrona difficile soprattutto perché è stata di Salvini. In alternativa il ritorno di Minniti o il capo della polizia Gabrielli. All’economia i nomi sono quelli di Antonio Misiani e Pier Carlo Padoan (Pd) oltre che dell’uscente Giovanni Tria. Possibile la conferma alla Difesa per la pentastellata Elisabetta Trenta, l’alternativa è Ettore Rosato. Agli Esteri Moavero Milanesi o Paolo Gentiloni che sarebbe però anche il nome italiano come commissario europeo.
Per la Giustizia tre nomi: l’uscente Alfonso Bonafede, l’ex Andrea Orlando e Pietro Grasso di Leu. Dei grillini entrerebbero Riccardo Fraccaro (Rapporti con Parlamento e delega alle Riforme), Giulia Grillo (Salute) e Sergio Costa (Ambiente). Addio di Toninelli alle Infrastrutture scontato: al suo posto l’ex Graziano Delrio o per l’ingegnere triestino Stefano Patuanelli, capogruppo M5S al Senato. Resterebbe Vincenzo Spadafora, già sottosegretario alle Pari opportunità.