Sabrina Paravicini, il tumore e la chemio: «Meno capelli, ma occhi più sorridenti»
Sabrina Paravicini è stata, tra gli altri ruoli, l’infermiera Jessica, la simpatica e «saggia» confidente di Lele Martini nelle prime stagioni di un Medico in famiglia. Poi, come ha raccontato lei stessa, ha messo da parte la carriera per dedicarsi a Nino, il suo unico figlio oggi 13enne.
A Nino intorno ai due anni è stata diagnosticata la sindrome di Asperger: «I ragazzi affetti da Asperger hanno delle aree di eccellenza, magari sono bravissimi in matematica, in musica, però hanno problemi relazionali con gli altri», ha raccontato. C’è stato anche un divorzio ma senza rancori: «Non siamo più una famiglia, ma siamo una squadra per amore di nostro figlio». E a Nino ha dedicato anche un documentario, Be kind, auto-prodotto e presentato all’ultimo Festival di Roma. Lo scorso dicembre la vita di Sabrina ha fatto un’altra curva. A 49 anni le è stato diagnosticato un cancro al seno, un tumore aggressivo, che ha subito iniziato a curare, un ciclo di chemio dopo l’altro. E pian piano ha deciso di raccontare via social la vita con.
«Quando ho avuto la diagnosi il tumore aveva solo sei mesi, era grande due centimetri e mezzo e aveva già creato un’area infiammatoria di sei centimetri. Era veloce e aggressivo. Non ancora operabile. Nel giro di due settimane ho iniziato la chemioterapia», ha spiegato nei mesi scorsi, ribadendo l’importanza delle cure tradizionali nonostante gli effetti collaterali: «La chemio è offensiva e orribile ma è l’unica cura certa e protocollata».
A sette mesi dalla diagnosi, Sabrina non ha più i capelli ma spiega di sentirsi una donna ancora più forte. Al suo fianco c’è sempre Nino. «Estate 2018 contro Estate 2019. Meno capelli ma occhi più sorridenti», spiega mettendo a confronto una voto di oggi e una di 12 mesi fa, prima della malattia: «Sembra strano ma la chemioterapia si è portata via la malinconia degli anni passati. Forse anche quel dolore dei lutti non elaborati di mio padre e mia sorella scomparsi a poche settimane l’uno dall’altra esattamente 30 anni fa. Dolore che pensavo di avere elaborato a mio modo, ma che invece era rimasto nell’epidermide, nella carne, nelle cellule. È come se negli ultimi sei mesi avessi vissuto più intensamente che negli ultimi vent’anni. Sicuramente è un pezzo di vita che mi ha insegnato più di quanto potessi mai immaginare. Che non dimenticherò mai più. Adesso sento di più, respiro di più, amo di più e adesso voglio di più. Fino a qui tutto bene».
La malattia ha deciso di raccontarla anche in un documentario, che ha appena iniziato a girare: «Abbiamo la responsabilità di quello che ci accade, possiamo decidere di farne quello che vogliamo. Quando mi hanno detto che avevo un tumore maligno la prima cosa che ho pensato è stata che non era possibile, la seconda cosa che ho pensato è stata: “meglio a me che a chiunque altro della mia famiglia”. Sapevo che potevo sopportarlo, affrontarlo. La terza cosa è stata che dovevo capire il senso di quel male. E il senso era la trasformazione, consegnare agli altri un’esperienza». Fino a qui tutto bene.