Donne in prigione, il docufilm di Jo Squillo e Giusy Versace con le detenute di San Vittore
Il rumore della chiave chiusa dietro di sé nella toppa di una cella tormenta le detenute giorno e notte. Lo raccontano nel docu-film Donne in prigione alla Mostra di Venezia le tre ideatrici, Jo Squillo, Giusy Versace e Francesca Carollo.
Il loro viaggio all’interno della sezione femminile del Carcere di San Vittore a Milano è raccontato per immagini e interviste attraverso la quotidianità di chi ci vive. Tre delle protagoniste hanno ottenuto in via del tutto eccezionale il permesso di lasciare la struttura per portare fisicamente la propria testimonianza al lido. Una di loro, Hasna, è stata sfigurata in volto dall’ex fidanzato ed è caduta nel tunnel della droga, Josephine si è data alla prostituzione dopo una vita di abusi e Yvonne, picchiata dal marito, si ritrova nel giro degli spacciatori.
Le loro tre storie s’intrecciano nel progetto a quelle di molte compagne capaci di raccontarsi con onestà alla ricerca di una riabilitazione.
“Raccontiamo – spiega Jo Squillo – come la rinascita passi inevitabilmente da dolore e lacrime. Girando il film ho pianto tutti i giorni”. Per mesi, infatti, ha trascorso ore e ore in carcere senza puntare il dito sul reato: “Lo considero un ritrovarsi fra donne perché dobbiamo fare rete. Anche se ammetto che in quel periodo per molte notti non ho dormito, tanto è stata toccante l’esperienza con questa realtà. Con questo progetto abbiamo attuato una piccola rivoluzione e le detenute ci hanno messo anima e corpo e così siamo diventate quasi amiche. Abbiamo voluto far vedere a queste donne un futuro possibile e loro si sono impegnate a non trascorrere le giornate in ozio ma dandosi da fare in vari progetti, tra cui un progetto che poi è diventata una onlus sui diritti al femminile”.
“Si tratta di Wall of Dolls, un’iniziativa partita a Milano – le fa eco la campionessa paraolimpica Giusy Versace – che evoca un simbolismo forte, appunto un muro al femminile contro la violenza. Basta poco nella vita per commettere un errore e l’idea di girare un documentario in carcere vuole essere un monito per i più giovani ma anche una mano tesa per una seconda opportunità. L’obiettivo è portarlo nelle scuole e nelle carceri italiani”.
Quello che invece chiedono le detenute è rispetto: “Sappiamo – dice Yvonne – che il pregiudizio ci accompagnerà per sempre ma siamo qui per smentire il sentire comune per cui il detenuto non fa nulla. Noi tutte ci impegniamo a rinascere, chiediamo solo una nuova chance”.