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Eleonora Goldoni: «Io, che gioco nell’Inter (e sogno la Nazionale)»

Eleonora Goldoni
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Il giorno che le hanno detto che sarebbe entrata nella divisione femminile dell’Inter, la squadra per cui tifa da bambina, Eleonora Goldoni se lo ricorda come se fosse ieri. «In quel periodo ero quasi sicura che sarei andata in un’altra squadra ma, quando ho ricevuto la chiamata, non ci ho pensato due volte: era quella la mia strada», spiega con gli occhi grandi, che ardono di ambizione. Ci incontriamo al settimo piano della Rinascente di Milano, il cielo plumbeo che minaccia un’acquazzone e un carosello di fotografi e giornalisti che immortalano l’esordio delle nuove leve della società nerazzurra, con le ragazze che si mettono in posa e scandiscono, incitate dal regista, lo slogan «Sisters of the World», sorelle del mondo.

Eleonora è radiosa. 23 anni, originaria di Finale Emilia, risponde alle domande come una professionista navigata, incrociando spesso le mani e accarezzandosi di tanto in tanto i lunghi capelli biondo cenere. «È sempre un brivido poter indossare questa maglia, è una grande responsabilità», spiega Eleonora quasi incredula di poter stringere fra le mani il sogno che inseguiva da quando era piccola. «Mi reputo fortunata: vivere il mio sogno ogni giorno in una società del genere, quella per cui tifo da quando conosco il calcio, è incredibile». Per Eleonora, laureata in Alimentazione e Nutrizione e con più di 100mila follower su Instagram, questo è l’inizio di un’avventura che la porterà lontano e che lei stessa saluta con quel sano ottimismo che hanno le ragazze che sanno che il mondo è in mano loro e il resto sarà tutto in discesa.

Chi è il suo più grande tifoso?
«Sicuramente mio padre, che è sempre stato il mio primo sostenitore, l’uomo che mi ha fatto appassionare a questo mondo. Sono contenta che, quando ho ricevuto la chiamata dell’Inter, ci fosse lui vicino a me: il momento più importante della mia vita».

Come ha reagito quando l’hanno contattata?
«Ero basita, non ci potevo credere. Quando è arrivata la chiamata ho risposto io, ci siamo guardati e papà ha capito che era qualcosa che interessava entrambi: attaccato il telefono, ci abbiamo riflettuto una manciata di secondi e poi gli ho detto “papà, io vado”, non desideravo altro».

Da bambina praticava tanti sport: quando ha capito che era il calcio quello che voleva coltivare?
«Quando avevo 5 anni e mio padre, da sempre grande tifoso dell’Inter, mi portò a San Siro per la prima volta con questa magliettina di Vieri che mi arrivava alle caviglie. Quel giorno mi sono innamorata di un giocatore, Obafemi Martins, che aveva l’abitudine di fare le capriole in aria ogni volta che faceva gol. Quando siamo usciti dallo stadio alla fine della partita, Inter – Reggina, 6 a 0, ho detto a papà che volevo diventare come Martins, così mi ha comprato il kit delle Monelle e da quel momento ho deciso che avrei giocato a calcio».

I primi passi li ha fatti giovanissima, quindi.
«A 7 anni ho iniziato a far parte di una squadra maschile mentre prima giocavo a calcio con mio fratello in casa, rompendo di tutto e di più. A quel tempo portavo avanti tante discipline soprattutto perché la mamma tentava di condurmi verso una via che non fosse quella del calcio, ma a 16 anni ho preso la mia decisione e ho mollato tutti gli altri sport».

Quante volte si è sentita dire che il calcio è una «roba da maschi»?
«Tantissime, è lo stereotipo più comune. Sono contenta, però, che finalmente l’ideologia stia cambiando: l’interesse è nato e si sta dimostrando che il calcio deve essere l’assoluta normalità, sia per un ragazzo che per una ragazza».

Sui social è seguitissima: ci sono dei messaggi particolari che vorrebbe inviare ai suoi seguaci?
«I social li vedo come un elemento sì pericoloso, ma anche importante. Il mio intento è farmi conoscere e mandare un messaggio positivo che possa aiutare qualcuno, che sia anche con un sorriso, con un supporto, con un consiglio, o con la soluzione a un problema. Penso che si possa, tramite questo mezzo, arrivare alla gente, è un’arma che possiamo usare bene se lo vogliamo».

In un post su Instagram di qualche tempo fa ha parlato di insicurezza: in cosa si sente insicura?
«Spesso può apparire l’opposto, ma la verità è che sono piena di incertezze. Ho paura del futuro, ma trovo in questa insicurezza la voglia di fare sempre di più, di trovare una soluzione e, soprattutto, di non restare ferma a guardare. Sarà sempre così: non mi sentirò mai arrivata perché più vai avanti e più l’asticella si alza. Il trucco è pensare che l’insicurezza sia una potenza che ti faccia conoscere te stesso e ti faccia andare avanti».

Tornando agli stereotipi, qualcuno direbbe che le donne sono molto più competitive degli uomini e che abbiano qualche problema in più a fare squadra. È così?
«È ovvio che fra donne ci siano caratteri molto forti e personalità contrastanti, ma quella che ho trovato nella mia società è una squadra coesa, dove c’è tanto dialogo, supporto e aiuto fra grandi e piccole, nuove e “vecchie”. Non potrei desiderare di meglio perché insieme si può crescere e migliorare, e sono sicura che i risultati ci saranno. Poi, certo, ci può essere un po’ di competizione, ma è sana».

A proposito di competizione, nessuno le invidia gli addominali di ferro che sfoggia spesso su Instagram?
«Spero di no perché vorrei essere apprezzata per la mia personalità, per il mio carattere e non per il mio fisico. Magari qualche invidia ci sarà pure, ma l’importante è superarla».

Il fatto che fosse una bambina che praticasse il calcio le ha mai dato problemi con i compagni?
«Da bambina, prima delle partite, ricordo che i maschietti della squadra avversaria guardavano la nostra e ci prendevano in giro perché vedevano che c’era una femmina. I miei compagni mi hanno sempre difesa e capitava spesso che, alla fine, gli altri piangessero perché aveva segnato una ragazza. Ma nulla più di questo, per fortuna».

Il sogno di entrare nell’Inter lo ha realizzato: cos’altro vorrebbe che si avverasse in futuro?
«Ambisco a diventare una ragazza della Nazionale, magari titolare, un giorno. Ho tante idee e tanti progetti legati anche a quello che ho studiato, Alimentazione e Nutrizione: mi piacerebbe fare un master o una specialistica. Ma, più di ogni altra cosa, vorrei arrivare a dedicare il mio tempo e il mio ricavato a missioni e donazioni che ho già in mente. Punto sempre a esserci per qualcuno in difficoltà, dalla compagna più piccola e insicura a quella che ha bisogno di essere ascoltata: c’è tanto bene che possiamo fare e dovremmo impegnarci per realizzarlo».

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