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Un marito c’è per tutte. O forse no (ma va bene uguale)

Irene Soave - Ph. Zoe Vincenti

Devo richiamarlo? Chiama lui? Come mi vesto? Le domande che ci facciamo, quelle che non dovremmo farci e quelle che non ci siamo fatte mentre cerchiamo la nostra metà della mela. Esce «Galateo per ragazze da marito»: dalla dieta per sentirsi belle alla guida all'amante perfetto, dalla beauty routine ai match di Tinder, un vademecum obbligatorio per le donne di oggi, guardando a quelle di ieri. Con finale a sorpresa

Non ci sono più i mariti di una volta. Secondo uno studio pubblicato la settimana scorsa sull’americano Journal of Marriage and family, che indagava il calo dei matrimoni, il marito desiderato dalle single ha un reddito medio superiore di circa il 58% rispetto a quello degli scapoli attualmente disponibili. Ha anche il 30% in più di probabilità di essere impiegato e il 19% di avere una laurea. Per il dottor Daniel T. Lichter, della Cornell University, autore dello studio, «il matrimonio si basa ancora sull’amore, ma è fondamentalmente anche una transazione economica. Molti giovani uomini oggi hanno poco da offrire all’affare del matrimonio, soprattutto perché i livelli di istruzione delle giovani donne in media ora superano i loro pretendenti maschi». Insomma: non c’è più il «buon partito» che renderebbe vantaggioso, oltre che per i sentimenti, un matrimonio.

«Non sono sicura che questi studi americani corrispondano alla situazione italiana: da noi il sorpasso delle donne non è così marcato. Siamo più istruite di una volta, certo, ma anche più precarie, senza parità salariale con i maschi. Inoltre non sono d’accordo con questa narrativa dei maschi-casi umani, conosco tantissimi ragazzi in gamba. Mentre è vera un’altra narrativa: noi donne siamo piene di preconcetti», ribalta la prospettiva Irene Soave, 35 anni, giornalista e autrice di Galateo per ragazze da marito (Bompiani, pagg. 384, euro 17) che esce oggi in libreria e verrà presentato a Pordenonelegge il 21 settembre. Un libro che si può leggere in vari modi, da quello più diretto che sembra suggerire il titolo, ossia come un «manuale» per arrivare l’altare, a molti altri. È un saggio sulla nostra storia del costume, il rapporto tra i sessi, l’educazione sentimental-sessuale riletta attraverso una personalissima collezione di galatei dall’Unità d’Italia al Fascismo, dal boom economico al Sessantotto, che l’autrice, anche lei «signorina da marito», ha raccolto in tempi di beauty routine e Tinder. C’è l’Enciclopedia della donna Fabbri degli anni ’60 e ci sono le rubriche sui rotocalchi di Donna Letizia, c’è ovviamente il cinquecentesco Galateo di Giovanni Della Casa al meno noto Saper vivere di Matilde Serao. Si sorride, riflette, ride, arrabbia a ogni riga (e a ogni nota, tipo «siamo un manuale di buone maniere, quindi ci sforziamo di usare il meno possibile il lemma “dargliela”», pag. 220): trattasi di volume ad alto tasso di partecipazione emotiva, consigliato, per essere «scientifici», come direbbe Soave, a chi ha «un’età 0-99, praticamente un puzzle Ravensburger».

Galateo per ragazze da marito
Galateo per ragazze da marito (Bompiani)

Dicevamo: quali sono i preconcetti che affliggono le donne?
«Quando ti piace qualcuno, devi anche considerare che questo qualcuno ogni tanto è triste, ogni tanto non sa come aiutarti, ogni tanto è più intelligente di te ma non sempre, e questo a noi non piace perché siamo delle rompiscatole, e questo è giusto anche dirlo. Tutte le persone che conosco e mi dicono: “non mi piace nessuno”, sono persone che hanno uno sguardo molto duro sugli altri. E comunque l’idea di valutare di sposarsi in base alla solidità economica dello scapolo in questione, è una prospettiva un po’ venale e limitata».
Basta l’amore?
«L’amore è quel che c’entra meno. A me questa ricerca ricorda moltissimo una commedia del 1659 di Molière, che cito nel libro, Le preziose ridicole. Oltre a rappresentare in modo ridicolo queste donne incontentabili, è anche alla base di quello che noi abbiamo assorbito nei nostri copioni amorosi. Alla fine del Seicento il Preziosismo, movimento nato per contrastare l’uso dei matrimoni combinati, ha lasciato in noi molte più tracce del Romanticismo, che si studia molto di più a scuola. La narrativa della donna single che non si accontenta, che vede in tutte le coppie gente che ha fatto un compromesso, che dice che nessun uomo è abbastanza brillante – fenomeno diffusissimo – è uno dei più grandi problemi di chi è sola, perché rende chiuse e con uno sguardo implacabile. Tutto quello che non soddisfa certe regole di corteggiamento viene scartato».
Quali regole?
«Ci ha chiamato? Ci ha chiamato abbastanza? Ci ha mandato abbastanza messaggi? Mi paga da bere? Mi vuol portare a letto subito? È come un esame, che è un po’ il contrario dell’amore, della spontaneità, dello slancio. È una cosa che abbiamo appreso da tutti questi manuali, come una donna deve essere e come si deve comportare, che nel mio libro cerco di mettere alla berlina. Molière lo faceva secoli fa, ma è un tema attualissimo che riguarda tutte le mie amiche».
Nei galatei le «regole» per la donna volgono a un solo scopo: trovare marito e quindi prendere posizione nella società. Oggi che non è più così, perché il matrimonio è ancora così ambito?
«Ormai sono almeno 50 anni che i rapporti uomo-donna non sono più così stringenti, esiste la possibilità di non sposarsi per forza ed esiste contemporaneamente ancora il matrimonio per fare una scalata sociale. Eppure, nonostante sappiamo che non è più necessario e abbiamo anche superato il “meglio sole” delle nostre madri femministe, la mia generazione ha un feticismo per il matrimonio e la vita a due. Un mito riportato in voga dalla crisi, dal precariato nel lavoro, dalle difficoltà di emanciparsi davvero dalle proprie famiglie d’origine».
Il libro inizia con il racconto di come tutte abbiamo guardato sognanti e incredule (come hanno fatto due commoner, Kate Middleton e Meghan Markle a farsi sposare dai principi William e Harry?) i due royal wedding del 2011 e 2018.
«Sono stati la nostra Woodstock: l’evento che abbiamo seguito tutte, giovani e non giovani, di destra e di sinistra, femministe e non femministe. Non abbiamo una lira e ci regaliamo anelli di fidanzamento che costano almeno, questa è la regola, due mensilità. Spendiamo in media 28 mila euro per le nozze secondo l’Istat».

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Facciamo una rassegna delle convenzioni amorose che il libro analizza. Uno: «Se mi concedo, non mi sposa», o, in versione attuale, «se mi concedo, non mi richiama».
«Trattasi di paranoia. Fino alla rivoluzione sessuale, al ‘68, nei galatei non c’è nessuna regola che riguarda “il giorno dopo”, semplicemente perché l’eventualità non è contemplata, o comunque sconsigliatissima. Negli anni ‘80 il bon ton di Lina Sotis fa una piccola etichetta per il rapporto occasionale, che comprende che lui la riaccompagni a casa, lei non sia pressante nel chiedere: mi richiami? La notte brava sfociata in un’amara delusione è diventato intanto uno dei topos narrativi delle commedie romantiche hollywoodiane ci hanno fatto scuola. È interessante notare che non è mai rappresentata la situazione contraria, più frequente, ossia che lui richiami e si rifaccia vivo. Una narrazione molto punitiva sulle ragazze».
Due: «per incontrare marito, iscriviti a un corso». Nel libro sostiene che vanno evitati i corsi vagamente creativi, dalla cucina al ballo, che attirano i casi umani, e va meglio con alpinismo, pugilato, crossfit, corsa, solo che poi davvero bisogna correre, sollevare, menare, arrampicare, e chi ne ha voglia».
«Come regola va bene, ma solo se vuoi fare davvero quel corso lì. Ho fatto vari corsi nella mia vita, anche uno di scrittura creativa, di tennis, di cucina, ma non per rimorchiare. Ne parlo nel libro non solo per sfatare il mito dei parenti che suggeriscono di socializzare a caso, per trovare marito, ma anche per dire che nella vita di una persona si possono praticare degli interessi senza che questi siano finalizzati alla “caccia”. Se fosse così facile trovare fidanzati come le persone fidanzate spesso ti dicono, ciao…».
Tre: «Avete voluto la parità? A cena, paga lei, altro che cavalleria».
«Mi fa impazzire questa argomentazione. Non voglio stare a discutere se è giusto o no che paghi lui. Quando esco con un’amica a bere una birra, nessuno si pone il problema che a pagare sia chi guadagna di più: una volta pagherà lei, una io. Chi paga a un appuntamento, essendoci dietro un protocollo consolidato, è un po’ più una vexata quaestio. Per quanto mi riguarda, appartengo alla categoria che sono felice se mi offri una cena, per indole sono un po’ intimidita se mi porti in un posto favoloso e tendi a pagare sempre tu, e prima o poi vorrò ricambiare. Detto questo, non sopporto l’avarizia. Il galateo dirime la questione dicendo: paga chi invita e sceglie il ristorante. Mi pare un’ottima regola».
Quattro: «Il corteggiamento, nell’era di Tinder, è triste».
«Cambia lo strumento, ma gli annunci di incontri sono sempre esistiti. Nella descrizione dei maschi invece delle proprie caratteristiche si trovano quello che non desiderano nelle donne, “no fumatrici”, ad esempio. È un po’ desolante, ma lo fanno anche le donne, come: “non meno di 1,80 di altezza”. Non sono contraria, è un’app che facilita relazioni prosaiche. Alcuni trovano amici, una che conosco ha trovato un lavoro».
Cinque: «La zitella deve comportarsi come una vedova».
«In quasi tutti i libri di galateo che ho collezionato c’è un capitolo che dice che cosa deve fare la donna quando vive sola. Perché la donna che vive sola ha un surplus di regole, che fanno sì che la donna non diventi una scheggia impazzita. L’uomo celibe era sospetto, ma la donna nubile, con un capitale erotico immobilizzato e in società che limitavano il suo accesso al lavoro, era associata alla prostituta, quindi doveva comportarsi in modo molto dimesso e inoffensivo per le altre sposate. Perché i galatei sembrano dei manuali dell’ascesa sociale, in realtà danno istruzioni alle signorine per rimanere al loro posto. Se le segui tutte, non trovi nemmeno un amico, figurati il marito».
Sei: «Lui deve essere più grande di lei».
«In un galateo del 1945 di Elisa Trapani, Il consigliere della signora, che organizza la vita della donna dal battesimo alla scelta dei mobili, viene calcolata esattamente con un’equazione il rapporto delle età dei fidanzati. L’età dell’uomo, divisa per due, più 8 è uguale all’età di lei. Quindi se io ho 35 anni, dovrei avere un marito di 54 anni».
Sette: «La donna deve essere «preda».
«Va moltissimo anche oggi. Non conosco nessuna ragazza non fidanzata che quando le piace qualcuno non dica: non mi chiama, non mi cerca. Siamo tornate conservatrici, fa parte di questa controriforma che è in atto da un decennio o due, alla ricerca della sicurezza. Non fare mai il primo passo sembra essere diventato fondamentale, io invece qualche volta l’ho fatto ed è andata bene, pur non essendo una mangiauomini. Penso che tutte abbiano letto almeno un manuale più recente, come Le regole, o La verità è che non gli piaci abbastanza: siamo sempre in cerca di tattiche per non farci ferire, ma se una gioca sempre in difesa, per non farsi lasciare o rifiutare, è chiaro che il suo ruolo è passivo, non fa niente, magari si annoia ma non prende danni, poi il primo che arriva non importa se è carino o se è brutto, te lo prendi perché ha adempiuto al protocollo. Però se una vuole vivere non nell’ottica di limitare i danni ma di essere felice, sé stessa, attiva, forse l’essere preda possiamo anche archiviarlo. Non nel senso di diventare una virago, ma vivendo. E non succede niente se non arriva nessuno».
Attenzione spoiler: alla fine del libro si fa un gran sospiro di sollievo. Si può anche non maritarsi.
«Sono contraria a questa narrazione dettata solo dal marketing, secondo cui da soli si sta meglio o in coppia si sta meglio. Non è vero: si sta meglio quando si sta meglio, la vita ha alti e bassi con chiunque ci sia accanto a noi – o non ci sia. Questa visione alla Sex and The City o al Racconto dell’ancella, secondo cui gli uomini esistono solo per funestarci, e siamo o amazzoni o zitelle disperate, è una cazzata. Questa apartheid tra i generi che viene portata avanti dai media è dannosa. È possibile che una coppia non arrivi, ma si può vivere senza paura lo stesso».
Il suo galateo è una storia delle regole, o della reazione a tutte le regole?
«È entrambe le cose. È la storia, divertita, dell’antifemminismo. Di tutte le regole che in ogni tempo sono state riversate sulle femmine, per dire loro come fare le femmine e cos’è una femmina. Di indole sono un po’ anarchica e trovo faticosi i galatei, tutti hanno un’opinione su come deve essere una donna. Ma noi lo sappiamo: tutta la nostra vita, il nostro corpo, i nostri pensieri, la nostra voce sono sempre frutto di una negoziazione tra essere se stesse e le regole della società. Agli uomini, ecco, succede un po’ meno».

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