Dieci giorni a casa per i neopapà
In Italia, le donne che hanno un impiego pagato sono meno del 50%. Ma non significa che non abbiano da fare: remunerate o meno, sono impegnatissime in casa, e nell’assistenza (figli, familiari anziani e non autosufficienti). «Sono molto più povere di tempo», dice Marcella Corsi, ordinaria di Economia politica alla Sapienza. In media gli uomini che hanno un impiego lavorano 41,5 ore pagate alla settimana, e 12,3 ore gratis. Le donne che hanno un impiego lavorano 33,7 ore pagate, e 28,1 non pagate (in totale, comunque, 61 ore contro 53 degli uomini). I dati sulla «povertà di tempo» (rielaborati da Erica Aloé) sono quelli presentati al convegno EuroMemorandum 2019. «Lavorare sui congedi parentali», spiega Corsi, «è fondamentale perché i padri condividano la genitorialità e dividano il lavoro in famiglia». Non si tratta quindi solo di far entrare più donne nel mercato del lavoro, ma di riequilibrare il divario uomo-donna.
Elena Bonetti (nella foto), neoministro per le Pari opportunità: come si fa?
«La prima misura che prevediamo nel Family Act è attribuire responsabilità anche al partner estendendo il congedo parentale obbligatorio: la nostra richiesta politica forte è chiedere dieci giorni per i padri, a cui poi si aggiunge il congedo facoltativo».
Dieci giorni è il minimo raccomandato dall’Ue nella direttiva vita-lavoro approvata l’anno scorso, ma sono pochi.
«Stiamo studiando anche altre misure sui congedi parentali in generale, non solo per i neopapà. E c’è una legge di bilancio in arrivo che come prima scelta vuole evitare l’aumento dell’Iva, che del resto andrebbe a colpire le fasce più deboli – proprio quelle dove il lavoro femminile è minore».
Poi?
«Bisogna offrire alle donne modalità come smart working, part time e ingresso nei campi legati al digitale, potenzialmente più elastici. E questo comporta anche investire sulla formazione nei settori scientifici».
Ma così non si ghettizzano le madri?
«Certo non devono essere forme di lavoro relegate alle donne. Però, sono di fatto loro che finora hanno momenti più legati alla casa. Chiediamo l’aumento degli asili nido per aumentare il tempo da dedicare al lavoro. Ma sulla maternità serve una mutazione culturale: è la prima questione da risolvere».