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Ilaria Cucchi: la lotta per Stefano e l’amore per Fabio

Le bugie che non ha raccontato ai suoi figli. L’amore che l’ha salvata, e le lacrime del mattino. A dieci anni dalla morte di suo fratello Stefano, Ilaria Cucchi si racconta

Nella casa del Pigneto, dove Ilaria Cucchi vive con i due figli Valerio e Giulia, c’è una sola foto di suo fratello Stefano: è lui seduto su una sdraio, accanto al camper, un’estate in campeggio. «Voglio ricordarlo allegro», sorride Ilaria. 

Il 22 ottobre di dieci anni fa le hanno detto che era morto e la sua vita è cambiata per sempre, e con la sua, quella di tutti noi. Il «caso Cucchi» è infatti l’eccezione alla regola, il primo nella Storia in cui l’Arma dei carabinieri si è costituita parte civile contro alcuni suoi elementi, sfondando il muro di gomma delle istituzioni che di solito, in Italia, proteggono verità che è meglio non vedere. Qualcosa di più grande di chiunque, soprattutto della donna che ho davanti, un metro e sessanta per quarantacinque chili, la casa al primo piano, il disordine delle camerette, le Crocs, il cd di Bruce Springsteen che si sente in sottofondo. O forse no. «Non si può andare in giro con Ilaria, è come uscire con il Papa. La amano tantissimo perché è una di famiglia, la gente la ferma, la applaude, la abbraccia, le parla, la ringrazia, si commuove», mi spiega Fabio Anselmo, l’avvocato che lei ha chiamato il 23 ottobre 2009 per la prima volta, e che, dopo la separazione dal padre dei suoi figli, è diventato il suo compagno.

Anselmo, la cui vita si alterna tra questa casa e una più piccola in affitto a Ferrara, dove è rimasto lo studio e la sua vita precedente, con una ex moglie e due figli ormai grandi, è in salotto a preparare una memoria che deve consegnare entro sera. Il 14 novembre ci sarà la sentenza di primo grado del cosiddetto Cucchi ter, ossia il processo ai carabinieri che arrestarono Stefano e lo pestarono – secondo la testimonianza del vice brigadiere Francesco Tedesco e varie intercettazioni –, e a quelli che insabbiarono le prove facendo poi partire un depistaggio, oggetto di un altro procedimento che inizierà a novembre. Sono i cosiddetti «processi giusti», nati nel 2015 dalle indagini dell’allora procura di Roma di Giuseppe Pignatone, e del pm Giovanni Musarò, dopo cinque anni di «processi sbagliati», dove gli imputati erano gli agenti di polizia penitenziaria (sui quali era confluito il depistaggio dei carabinieri) e i medici dell’ospedale Pertini che curarono Cucchi prima della morte. Che cosa si aspettano, da quella sentenza, è chiaro. «Non c’è più alcun dubbio sulla morte di Stefano Cucchi», dice Ilaria. 

«Hanno passato anni a dire che era caduto, che era malato, che era morto di fame e di sete, che si era suicidato addirittura. Adesso abbiamo finalmente le perizie autoptiche giuste, le testimonianze, le confessioni, e sappiamo chi è stato: Stefano Cucchi è stato ucciso di botte dai carabinieri che lo avevano in custodia dopo averlo arrestato. E anche per colpa di chi ha falsificato il verbale di arresto, per fare in modo che Stefano Cucchi non tornasse più a casa, perché se tornava a casa, quella mattina, non ci sarebbe nessun decennale per la sua morte. Spero in una condanna non esemplare, come ha detto il pm Musarò, ma giusta. Negare la verità significa negare il valore di quella vita». Parla del fratello citandolo con nome e cognome, alza la voce, il suo sguardo è una lama, come se facesse una requisitoria in tribunale. A parlare è quella che conosciamo dai telegiornali, quella in contatto con la zona di sé che ormai conosce, in cui si sente sicura, quella che è al centro della sua nuova identità: trovare la verità per Stefano. Non è quella che questa mattina ha pianto, confessa, come le capita spesso ultimamente. Sospira: «Questi dieci anni sembrano un secolo».

Che cosa prova, a guardarli in prospettiva?

Ilaria: «Da una parte, poiché la verità è venuta fuori, sono contentissima di averli vissuti senza arrendermi. Mi dico: lo rifarei altre diecimila volte. Dall’altra… Ho perso tutto. È stato devastante».

Qual è il prezzo che ha pagato?

Ilaria: «Mi sono separata, abbiamo tutti dovuto abituarci a una nuova vita. Entrambi i miei genitori, che non si sono mai persi un’udienza, si sono ammalati. Anche l’altro giorno, a mia mamma cui una grave patologia sta devastando la spina dorsale, ho detto: non venire. Ma lei niente, ci deve essere».

I suoi pianti sono cambiati nel tempo?

Ilaria: «Sì. Un tempo la disperazione era per il lutto, per tutte le cose che sentivo in tribunale su di lui, che è stato per anni il vero imputato: drogato, maleducato, cafone… Ne abbiamo sentite tante. Il principio era: se muore una persona che vale poco, non importa se muore. Oggi invece le mie preoccupazioni sono proprio sui segni che questa lotta ha lasciato per arrivare fino qui: su di me, su Fabio, sui nostri figli, sul tempo sottratto a loro». 

Si è persa molto dei suoi ragazzi?

Ilaria: «Giulia, quando mi vedeva in televisione, mi chiamava “mamma Cucchi”. Quando Stefano è morto aveva due anni, sono improvvisamente sparita dalla sua vita. Ero fortunata perché avevo mia madre e una mia cara amica che le hanno fatto un po’ da mamma. E per fortuna, crescendo, si stanno rendendo conto che anche se non li accompagnavo alle feste, a loro ho trasmesso una sensibilità particolare, sono in grado di guardare oltre il pregiudizio. Ho dato molto di più di quello che avrei potuto offrire loro se fossi rimasta la mamma perfetta di allora». 

Chi era, prima?

Ilaria: «Non ero soddisfatta. Mio fratello mi chiamava “perfettina” e in effetti lo ero: ero affermata nel lavoro, che mi piaceva molto, e ne avevo così tanto che dovevo rifiutarlo. Avevo tanti amici, una bella famiglia, ma non ero una donna felice perché non era quella la mia dimensione. Il mio matrimonio era fallito già da tanti anni, seppure fosse nato con i migliori presupposti, ci siamo conosciuti a scuola. Però sentivo che non ero felice, lo sapeva anche mio fratello perché me lo chiedeva sempre: “Ila, ma tu sei felice?”».

Che cosa rispondeva?

Ilaria: «Sempre sì. Perché agli occhi degli altri dovevo essere perfetta. Ma mi vedevo già vecchia in questa vita che non mi apparteneva, non stavo bene». 

Oggi che persona è diventata?

Ilaria: «La morte di mio fratello mi ha insegnato che ci sono cose per cui non possiamo fare nulla, le dobbiamo subire, e altre invece in cui abbiamo il dovere di intervenire. Stefano mi ha insegnato in qualche maniera a riprendere in mano la mia vita, così come voleva fare lui. Oggi non sono più perfetta, mi sento libera di essere come sono, con le mie debolezze, le mie fragilità. Dieci anni fa non avrei mai pensato di potermi mettere a piangere perché il lavoro andava male: nessuno doveva vedermi piangere».

Dieci anni fa era amministratrice di condomini, con due dipendenti. Oggi?

Ilaria: «Oggi questa cosa si è totalmente distrutta, un po’ perché non riesco mai a stare in studio, un po’ perché nelle persone c’è un pregiudizio su di me. Nell’immaginario collettivo sono diventata ricca, prendo soldi per le interviste: non è così. Io e Fabio siamo sempre quelli di prima, con la differenza che abbiamo diecimila cose in più da fare». 

La famiglia Cucchi ha preso nel 2015 un risarcimento di circa un milione e trecentomila euro. Non sono bastati?

Fabio: «Credo che ormai siano finiti. Bisogna considerare che per anni la famiglia ha avuto esborsi settimanali dai 300 ai 1.000 euro, solo per pagare trasferte, consulenti, copie di cd e lastre. Ovviamente poi io non mi sono fatto più pagare in quanto compagno di Ilaria, però ho uno studio con quattordici meravigliose persone da mantenere. I nostri casi (lo studio si è specializzato in casi di malasanità, morti in carcere o nelle mani dello Stato, ndr) non fanno guadagnare soldi, danno visibilità ma attirano tanti danni: accertamenti fiscali, minacce…».

Ilaria: «C’è stata anche la spesa per la tomba di Stefano. Mio padre, geometra, ha progettato per tre anni con il nostro architetto una tomba per mio fratello. Ha comprato un pezzo di terreno al cimitero di San Gregorio da Sassola, vicino a Roma, dove ci sarà questa tomba di famiglia, con enormi vetrate, e posizionata nel punto in cui si vede bene il panorama, come se suo figlio potesse ancora vederlo».

Ha trovato un modo per sentirsi attivo.

Ilaria: «Ha bisogno di esternare. Pensi che mio padre si guarda tutte le sere, su Netflix, il film Sulla mia pelle di Alessio Cremonini. L’altra sera lo stava riguardando, io gli ho detto: ma un’altra volta papà, perché? Mi ha risposto: è una cosa che mi fa bene, me lo fa sentire vicino. Mio padre è fermo lì».

In che modo Stefano è presente invece nella sua vita, al di là dei processi?I

Ilaria: «Non lo sogno quasi mai e questo mi dispiace un sacco. Il mio terrore è che magari un giorno non troppo lontano dimenticherò il tono della sua voce, il suono della sua risata, le sue espressioni, il modo di camminare. Perché gli anni passano e il suo ricordo diventa sempre più sfumato. Con lui parlo quando sono arrabbiata, disperata o felice, e cerco di parlarne spesso ai miei figli».

Lei è diventata improvvisamente e suo malgrado un personaggio pubblico. Come si vive tra la dimensione cristallizzata di «sorella di», e quella privata, dove è semplicemente Ilaria?

Ilaria: «Non ho avuto tempo di pensarci. Ero “sorella di”, ma anche “figlia di” e “mamma di”. Non potevo mostrare cedimenti. Sono stata travolta, è solo da qualche anno che ho iniziato a riprendere in mano la mia vita».

Lei e Fabio vi siete mai sentiti in imbarazzo, per esservi incontrati nel mezzo di una vicenda tragica?

Fabio: «Mai, perché non ho fatto male a nessuno. Ero già fuori di casa da tempo, purtroppo la lunga malattia di mia moglie dopo la nascita del nostro secondo figlio ha minato anche il mio matrimonio. Io e Ilaria ci siamo avvicinati, al di là della battaglia comune per Stefano, perché anch’io conosco il dolore, so che cosa vuol dire».

Ilaria: «Per tanti anni, per le persone devi essere quello che piange. Non puoi andare al cinema o a comprarti una gonna. Ora le cose sono migliorate, quando vado in giro ricevo tonnellate di affetto. Mi sento libera di essere me stessa, questa è la mia vita e ho diritto di viverla. Mi sono liberata del problema del giudizio degli altri. Ho sofferto tanto e il regalo più bello che mi ha fatto mio fratello è stato Fabio, diciamolo». 

I vostri figli come hanno reagito?

Ilaria: «Si sono dovuti abituare, i miei e i suoi».

Fabio: «Vincenzo vive ancora con sua madre, Marta, che ha 28 anni, vive altrove. All’inizio c’era stata un po’ di tensione, ora parla più con Ilaria che con me».

Ilaria: «La verità rende liberi. Con i figli essere trasparenti, onesti, fa sì che le cose siano più facili di quello che sembrano».

La verità, in questi dieci anni, è anche quella su Stefano. Con le sentenze di novembre sarà tutto finito?

Fabio: «No, c’è l’appello, la Cassazione. Poi c’è il processo sui depistaggi. Abbiamo davanti almeno altri due, tre anni».

Ilaria: «Bella domanda. Non credo che la mia vita potrà essere diversa da quella che è stata in questi anni. Probabilmente potrò salutare Stefano, chiudere quel capitolo, ma ormai la mia vita è questa: continuare a portare avanti le battaglie sui diritti umani, contro l’indifferenza, con l’associazione (Stefano Cucchi Onlus, ndr), perché su certe questioni non ci si può girare dall’altra parte. E mi aiuta anche a dare un senso a tutto questo dolore». 

Com’è stato stringere la mano di Francesco Tedesco, quello che è uno dei colpevoli della morte di suo fratello?

Ilaria: «Ho avuto un attimo di esitazione quando è venuto a tendermi la mano. I sentimenti erano contrastanti: se da una parte è vero che apprezzo che, anche se dopo tanto tempo, abbia avuto il coraggio di raccontare, dall’altro io non posso non pensare che se avesse parlato quel giorno, le cose sarebbero forse andate in modo diverso».

Chi è riuscita a perdonare?

«Me stessa: mi sono sempre sentita in colpa per quei sei giorni in cui non siamo riusciti a vedere Stefano. Quando l’ho visto all’obitorio ricordo di aver pensato: è colpa mia. Oggi saprei quello che devo fare, allora non potevo saperlo, ero un cittadino normale che non aveva mai avuto a che fare con il carcere, con la giustizia, con la burocrazia, e non ne conosceva le regole, mi ero semplicemente fidata delle istituzioni».

TIMELINE

15 ottobre 2009

Stefano Cucchi, 31 anni, viene trovato in possesso di 12 dosi di hashish e tre grammi di cocaina, fermato dai carabinieri e pestato nella notte tra il 15 e il 16 ottobre. Il 16 va davanti al giudice con i segni del pestaggio e camminando con difficoltà, ma il magistrato procede mandandolo agli arresti con l’accusa di possesso e spaccio.

31 ottobre 2014

Dopo cinque anni di processi e sei perizie medico legali sul corpo di Stefano che non concordano sulla causa della morte, sono tutti assolti dalla Corte d’Assise di Roma i medici dell’ospedale Pertini cui era stato affidato Stefano dopo l’arresto e le tre guardie penitenziarie inizialmente accusate del pestaggio.

15 maggio 2015

I carabinieri Riccardo Casamassima e Maria Rosati raccontano a Fabio Anselmo, avvocato della famiglia Cucchi, che l’Arma sapeva del pestaggio. La procura di Giuseppe Pignatone nel frattempo sta indagando sui carabinieri che eseguirono l’arresto di Cucchi, anche tramite intercettazioni.  Il 10 luglio 2017 rinvia a giudizio 8 militari.

8 aprile 2019

Uno dei carabinieri, Francesco Tedesco, confessa in aula di essere stato presente al pestaggio di Cucchi, e chiede scusa a Ilaria Cucchi. Nel frattempo il generale Nistri chiede scusa da parte dell’Arma e scrive una lettera a Ilaria in cui annuncia che i carabinieri si costituiranno parte civile.

14 novembre 2019

Il primo grado del Cucchi Ter va a sentenza: il pm Musarò chiede per i militari imputati Alessio De Bernardo e Raffaele D’Alessandro, accusati di omicidio preterintenzionale, una pena di 18 anni. Tedesco risponde di falso e calunnia (nei confronti degli agenti penitenziari) con il maresciallo Mandolini. Il carabiniere Vincenzo Nicolardi solo di calunnia.

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