Il talento secondo Malika
Ho riflettuto su che cosa sia il talento per me. Ci ho riflettuto perché non è facile da definire senza dire banalità. Il talento non è qualcosa di cui bisogna essere consapevoli in senso assoluto. Va oltre la consapevolezza: è come una chiamata, una vocazione, non diversa da quella dei religiosi. È qualcosa che senti più forte di te, anche più forte di una passione. Non è un bisogno, in un senso morboso, ma una necessità di esprimersi e quando si riesce a dare voce al proprio talento, ci si sente così bene, così pieni, da non provare la minima fatica, né noia, né pesantezza.
Io non sono mai stata un minuto senza cantare nella mia vita e a undici anni sono entrata al Conservatorio. Quando cantavo, come mi ha ricordato qualche tempo fa uno dei miei primi mentori, il maestro Casoni, ero come in un altro posto del mondo, in uno stato quasi di estasi.
Perché il talento si sviluppi, infatti, non basta sentire questa spinta dentro di sé, è necessario che qualcuno al di fuori, con più esperienza, la riconosca. Deve capire qualcun altro che hai dei numeri e ti deve guidare. Deve starti accanto, anche nei conflitti che inevitabilmente attraverserai, perché non c’è crescita senza conflitto.
Io ho avuto la fortuna di poter alternare la disciplina e il duro lavoro, che sono fondamentali, al lasciarmi trasportare dalla vita. E poi ho incontrato le persone giuste e mi sono fidata. Non sono mai stata ossessionata dall’arrivare, ma ho ascoltato chi capiva più di me il mio potenziale. Il vero talento è un po’ questo: un equilibrio quasi chimico tra il riconoscere il proprio valore e il fidarsi di chi ti sta attorno.
Poi quando il talento emerge e la gente comincia ad applaudirti è giusto farsi delle domande: se e perché ti stanno applaudendo e che cosa devi fare perché possano applaudirti per altro tempo. A quel punto devi essere capace di guardarti un po’ da fuori e di alzare la posta.
Il vero talento è far durare nella vita quello che è una fiamma iniziale. Se non lo cavalchi il successo, scaturito dal talento, finisce col divorarti.
Perché il talento vale il 10, il resto è il duro lavoro, come ci insegna Victoria Beckham. Il talento da solo non basta, nemmeno se sei Maradona. E se sei donna poi è ancora più complicato affermare se stessi, anche per la mia generazione è difficile superare certi stereotipi rispetto ai ruoli femminili e maschili.
Quel che conta comunque è non salire mai su un piedistallo: bisogna sempre ricordarsi che gli applausi, il successo sono solo una parte, è più importante quello che fai quando non ti guarda nessuno. Il senso critico resta fondamentale. Fondamentale perché il talento diventi qualcosa di positivo e duraturo. Non è diverso dalla vita, in fondo. È una questione di scelte continuamente.
Quello che cerco di far passare anche ai ragazzi con i quali sto lavorando a X Factor e che stasera inizieranno i live è che sono proprio quelli ti che crescono, quelli che stanno con te ogni giorno e vedono i tuoi progressi, a fare la differenza.
Tra i miei maestri sicuramente non posso dimenticare il maestro Casoni che era l’insegnate di esercitazioni corale del Conservatorio e che riusciva a tenere a bada centinaia di ragazzini svogliati e farli cantare. E a me, che avevo 13 anni e scalpitavo e avrei voluto andare da un’altra parte, ha insegnato che a volte è necessario stare seduti otto ore a provare con pazienza e perseveranza. E poi il suo assistente, Alfonso Caiani al quale devo tantissimo. Mi ha insegnato a cantare, senza di lui oggi probabilmente sarei una senzatetto. Quanti pianti mi ha fatto fare, però mi ha fatto capire che il talento senza la disciplina non serve a nulla. Bisogna tenersi stretti le persone che ci stanno accanto e credeno in noi, quando ancora non siamo nessuno. Sono loro che spesso ci indicano la strada giusta. Un po’ come in Billy Elliot la maestra di provincia che fa di tutto perché un ragazzino promettente possa avere gli insegnati migliori e sfondare.
E io nei miei ragazzi di X Factor cerco identità e consapevolezza e la capacità di accettare tutto quello che arriva e di farne tesoro. Voglio che siano in grado di incassare, in senso positivo, quello che accade. Adesso che siamo arrivati alla fine delle audizioni, posso dire che quello che ho capito lungo il percorso è che ci sono davvero tantissime storie e tipologie di persone. Ho escluso chi confidava troppo in una possibilità come questa e che avrebbero potuto uscirne con le ossa rotte perché ho provato su me stessa quanto sia destabilizzante il riflettore che si spegne. Ho cercato di favorire, invece, chi poteva prendere il meglio da un’esperienza come questa: usandola come un’onda sulla quale surfare.
I miei tre ragazzi rappresentano questa scelta. Sono tre musicisti differenti per formazione e indole ma che tra loro si completano. Ce n’è uno che arriva dal Conservatorio e quindi ha una velocità di realizzazione delle cose molto rapida, un altro che viene dall’esperienza in strada e il terzo che stempera la serietà diversa degli altri due. Il mettere insieme tre talenti così differenti ma con degli elementi comuni è stata una scelta precisa: volevo che si contagiassero l’un l’altro. Comunque vada torneranno a casa arricchiti e con del nuovo materiale da elaborare.