Eva Cantarella: «Non diamo per scontati i diritti di cui godiamo»
Eva Cantarella è una giurista che per anni ha insegnato Diritto all’Università Statale di Milano, ma non la si pensi immersa tra codici e codicilli, semmai alle prese con grandi miti dell’antichità, quelli che le raccontava suo padre, l’illustre grecista Raffaele Cantarella. Cresciuta attraversando il leggendario Sessantotto, ne ha respirato le promesse di libertà e si è battuta per quegli ideali di cui poi è stata sempre presa ad esempio. Nei suoi libri ha scritto di amore, di atti eroici, di genitori, di figli, soprattutto di donne, come anche in questo suo ultimo Gli inganni di Pandora (Feltrinelli) appena uscito in libreria.
Femminista convinta, è un orgoglio per le donne che la guardano, sempre pronta a testimoniare che si possono abolire tutti quegli aut-aut a cui gli stereotipi ci hanno troppo spesso inchiodate: lei è sia colta sia bella, sia impegnata sia elegante, sia riflessiva sia frivola. Insiste sulle conquiste fatte dal gentil sesso, ribadendone i successi, senza arrendersi mai.
Ha insegnato Diritto Romano e Diritto Greco. C’è un’antica legge che riguardava le donne abbiamo perso e che invece ci vorrebbe ancora oggi?
«Per carità. Il mondo classico era fatto a misura d’uomo. In modo particolare quello greco; in quello romano, per fortuna, la condizione femminile nel tempo è migliorata. A differenza delle donne greche, le donne romane avevano un’esistenza riconosciuta e un ruolo sociale Oltre a essere infinitamente più libere nei movimenti. Poi, per esempio, alla morte del padre, partecipavano alla divisione ereditaria insieme ai fratelli, e, se appartenevano alle classi più alte, ricevevano una buona educazione, che poteva spaziare, accanto alla Letteratura, anche nel Diritto e nella Retorica. Attenzione però, parlando dell’antichità, al falso mito, che negli anni lo ho visto periodicamente ritornare, dell’esistenza di una fase matriarcale, spesso attribuita alla cultura etrusca. Storicamente il matriarcato non è mai esistito».
In questo suo nuovo libro parla della differenza tra genere maschile e femminile nell’antichità. Com’è oggi la situazione? Quali discriminazioni ci sono ancora?
«Le conquiste e i progressi fatti dalla condizione femminile negli ultimi cinquant’anni sono maggiori di quelli verificatisi nei precedenti millenni. Cosa della quale le donne più giovani, che non hanno dovuto combattere per ottenerli, sembrano non rendersi conto. Io mi preoccupo molto quando vedo dare per scontati i diritti di cui godono, non sapendo quanto siano recenti, pensando, per di più, che siano irreversibili. Mentre, purtroppo, non lo sono affatto: basta pensare agli attacchi che da tempo vengono mossi da più parti alla decriminalizzazione dell’aborto, faticosamente ottenuta solo nel 1978».
Quali donne dell’antica Grecia hanno conquistato più spazio nella vita sociale?
«Nessuna. La donna greca aveva esclusivamente una funzione riproduttrice. Al limite, le uniche donne che avevano un ruolo sociale, se proprio vogliamo trovarne alcune, erano le “etere”: prostitute d’alto bordo, educate in apposite scuole a intrattenere gli uomini nelle occasioni sociali nelle quali le mogli e le “donne oneste” non erano ammesse. Se abili e intelligenti le etere potevano assumere un ruolo socialmente riconosciuto el diventare anche molto ricche ed essere circondate da un certo rispetto: come, per fare un esempio, la famosissima Frine».
Chi è una donna che oggi ti piace molto e perché?
«Ce ne sono tante. Tutte quelle che quotidianamente combattono per raggiungere l’obiettivo di essere intellettualmente ed economicamente indipendenti e di affermarsi socialmente, senza rinunziare, se la desiderano, a una vita familiare e affettiva, ancora troppo spesso ostacolata (sul lavoro e nella vita privata) da una concezione delle virilità che stenta a scomparire. Devo anche dire che ultimamente ho una grandissima simpatia e ammirazione per Greta, come persona e some simbolo».
Che senso ha oggi la parola “femminista”? Lei si definirebbe “femminista”?
«Credo proprio di potermi definire “femminista”, se non altro per ragioni storiche: negli anni 70 ho fatto in tempo a partecipare a uno dei primi gruppi femministi, la “Rivolta Femminile” di Lidia Lonzi, autrice di un Manifesto (che divenne subito un testo fondamentale della ribellione femminile), e di un non meno celebre libro intitolato “Sputiamo su Hegel”, nel quale invitava a liberarsi dalla tradizione e la schiavitù del patriarcato. Successivamente ho partecipato alle riunioni dei “Gruppi di autocoscienza”, basati sul racconto e l’analisi comune delle esperienze personali delle partecipanti. Devo dire peraltro che per ragioni diverse né l’una né l’altra delle due esperienze sono durate a lungo , ma questo non toglie che abbiano avuto delle importanti conseguenze sul mio mondo di affrontare la vita sia personale sia professionale. Quanto al senso della parola femminista oggi, devo dire che non riesco a capirlo: mi capita spesso di sentire giovani donne che, interrogate sulla loro vita, tengono a premettere che non sono femministe, quasi che la parola indicasse ostilità verso gli uomini, o il timore di essere caricaturizzate. E la cosa mi innervosisce non poco visto che il femminismo era ed è un movimento (o meglio, una vera a propria rivoluzione culturale) che ha aiutato e dovrebbe continuare ad aiutare sia le donne sia gli uomini a essere se stessi, senza concessioni agli stereotipi di genere».
Che ruolo ha la donna nella società di oggi?
«Sarò sfrenatamente ottimista, ma mi pare che oggi, anche se con fatica, la donna possa avere o quantomeno aspirare di avere il ruolo che desidera. E questa è una grandissima conquista. Anche se purtroppo, a ricordo del passato, rimangono delle idee come, per citarne una particolarmente irritante, quella più o meno esplicitamente espressa che considera le donne senza figli una specie di strani animali. La presunta ragione, spesso ma non sempre sottesa, di quella che viene vista come un’anomalia prevede solo due possibili risposte: 1) la natura matrigna di cui la donna è stata vittima; 2) una sfrenata ambizione professionale accompagnata da un enorme egoismo. Ma si tratta di residui che, si spera, con il tempo spariranno».