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In viaggio in Arabia Saudita, perché essere i primi turisti ad andarci

I visti turistici sono aperti solo dal 27 settembre ma presto il regno saudita si trasformerà in una delle mete dove in tanti vorranno andare. Per il deserto e le barriere coralline del Mar Rosso, perché è un viaggio in un altro mondo e per un luogo che si chiama Ithra, il segno di un grande cambiamento
Ithra, il centro culturale di Dammam
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In viaggio a Dammam
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Arabia Saudita: viaggio in un altro mondo
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La ragazza del consolato del Saudi Arabia a Milano mi dice che non ha ancora mai stampato un visto turistico, sta studiando come si fa, ma pare si potrà fare anche online e in soli 7 minuti. Il mio come giornalista è un working visit e lo conoscono, devi portare un numero di documenti che non pensavi nemmeno di possedere ed è fatta. Mentre facciamo foto e prendiamo impronte digitali di ogni dito e mano, le chiedo come vestirmi quando sarò là. Mi dice che ormai le cose stanno cambiando e un vestito largo e lungo può andare bene, ma che se voglio stare tranquilla allora posso prendere un’abaya, le veste nera fino ai piedi del mondo arabo. Mi da il numero dell’unico negozio in Milano dove trovarla, una libreria islamica di viale Monza. Compro tutto, abaya e hyiab (il velo con il viso scoperto), perché, come ho imparato in montagna, è sempre meglio togliere che non avere da mettere, e parto.

In realtà che sta cambiando tutto è vero, anzi è vero come non mai: nel giro di tre anni da quando il principe ereditario Mohammad bin Salman (MBS) il 25 aprile 2016 ha dato il via alla Vision 2030, le riforma nei costumi si sono succedute a ritmo sostenuto. Dal gennaio 2018 le donne non hanno più bisogno di essere accompagnate da un uomo nelle veci di tutore, nemmeno per viaggiare; dal giugno 2018 possono guidare sole, possono anche andare allo stadio, e da quando il 27 settembre 2019 è stata la volta dell’apertura al mondo, ovvero della concessione dei visti turistici (prima impensabili – nessuno poteva andare in Arabia Saudita se non per motivi di lavoro), la svolta è arrivata con la possibilità addirittura di non vestire l’abaya, non solo per le straniere ma anche per le saudite alle quali è richiesto di vestire in «maniera decente e rispettosa». Per ora la stragrande maggioranza delle donne che incontro a Dammam, dove sono io, la città più grande della costa est affacciata sul Golfo Persico, non solo vestono l’abaya ma anche il velo integrale. I cambiamenti di costume non sono così immediati, seguono più lenti.

VISION
Ma cos’è il progetto Vision 2030? È un ambiziosissimo «Piano di Trasformazione Nazionale», studiato, pianificato e consultabile nei suoi pilastri che ha la finalità di diversificare l’economia, creare nuove opportunità di lavoro e innalzare la qualità della vita nel Paese. Tre ambiti di azione e 96 obiettivi per portare l’Arabia Saudita a diventare il cuore del mondo arabo, il ponte tra Occidente, Africa e Asia, per dipendere un po’ meno dal petrolio e diventare una delle 15 economie più fiorenti al mondo (ora è la 19esima).

Ma il cambiamento dev’essere anche sociale: tra gli obiettivi si legge «Aumentare la percentuale di persone che fanno esercizio fisico almeno una volta alla settimana, dal 13% al 40%», «Aumentare l’aspettativa di vita media, passando dai 74 agli 80 anni», «Aumentare la spesa delle famiglie in attività culturali e di intrattenimento nel Regno, dal livello attuale del 2,9% al 6%». Un pianificazione accurata e precisa che interviene nella vita di ogni singola persona del regno. In pratica, la costruzione di un altro mondo. Ma i sauditi sono pronti?

Durante il mio soggiorno chiedo a tutti: «Come vi sentite ad aver vissuto in una società che prima vi limitava e ora vi incoraggia? Dove prima per andare al cinema bisognava andare oltre confine, in Bahrain, e ora non solo li aprono ma vi spronano ad andarci?». Gli chiedo se non lo trovino disorientate, come minimo, ma dicono che no, che sono felici. Una collega giornalista dice che ora che può guidare non ha altre richieste, un’altra ragazza dice che adesso può avere amici maschi e frequentarli (prima era possibile uscire con persone di un sesso opposto solo se famigliari) e quando le chiedo se non abbia voglia di baciare il suo ragazzo in pubblico, dice che non è necessario, che loro sono persone riservate. Il mio autista si dice felicissimo di queste nuove libertà, poi però quando gli chiedo se preferisce che sua moglie porti il velo integrale, dice che sì, preferisce così, perché non vuole che altri la guardino e la desiderino.

Il passato, oltre 60 anni di polizia religiosa impegnata nell’«imposizione della virtù e interdizione del vizio» e attenta a individuare ogni atto di supposta indecenza, anche la ciocca di capelli sfuggita al velo, si incontra e scontra con il futuro. Si può cambiare in qualche anno un modello sociale creato in decenni? Forse sì: il popolo saudita per il 70% è formato da ragazzi che hanno meno di 28 anni. Sono giovani, hanno voglia di fare e di vivere, molti hanno studiato all’estero.

Una ragazza, Amir, mi conquista più di altri: ha 29 anni, ha due figli, e con il marito di 30 anni ha aperto giusto oggi che ci entriamo un nuovo café a Dammam, The Shed. «Vogliamo spronare la condivisione, la socializzazione. Fino a ora gli incontri avvenivano attraverso il cellulare, noi vogliamo ridefinire la conoscenza tra le persone». Il suo entusiasmo è emozionante, ha una tenerezza condivisibile: questo è il momento, è arrivata finalmente la possibilità di essere imprenditori di se stessi, di creare, inventare, anche qui a Dammam che non è la capitale Ryad o la più liberale Jeddah, la «California saudita» ride una ragazza raccontandomi di come là, sulla costa del Mar Rosso, ci siano instagrammer, stilisti che ridisegnano la moda saudita, musicisti e registi che firmano la pubblicità dei grandi marchi. L’arte, che prima esisteva ma non aveva modalità di espressione, è tornata ad essere la scintilla vitale.

ITHRA
Il grande cambiamento non potrebbe essere più evidente a Ithra, a Dammam, il motivo del mio viaggio
. Ithra è uno spazio pubblico creativo ma è innanzitutto un segno, un’enorme opera di landscape art, un gigantesco edifico a forma di «ciottoli del deserto» che sembrano buttati nella grande distesa vuota color sabbia. Lo avvisti da lontano, è la pietra del cambiamento con radici nella storia del Paese. Un Paese che si può dire sia nato anche qui. Dopo che il re Abd al-ʿAzīz (nonno del principe attuale) riunì le tribù saudite sotto un unico stato nel 1932, fu proprio in questo luogo che la Saudi Aramco, la società araba del petrolio, scoprì il primo giacimento, cambiando per sempre il futuro.

Ithra è figlio di Saudi Aramco, una sorta di «give back», perché Ithra è innanzitutto un grande centro culturale aperto al tutti, ai sauditi e al mondo, anzi è un ponte tra il Paese e il resto del pianeta. Progettato dallo studio norvegese Snøhetta nel 2010 su 80.000 mq, aperto al pubblico nel 2018, è il tempio dell’arte, è un teatro, un cinema, una biblioteca, un museo d’arte antica e contemporanea, un museo interattivo per bambini, installazioni, un laboratorio. Ogni sezione gestita da professionisti venuti da tutto il mondo. «Questo è il primo teatro totalmente funzionante in Saudi Arabia» ci dice Elie Karam, libanese e direttore artistico nell’ampia sala a doppio palco dove la sera precedente abbiamo visto il Mago di Oz.

E continua: «Abbiamo inaugurato nel 2018 con la Mariinsky Orchestra per un’introduzione all’opera, la settimana scorsa c’era qui La Scala con il Rigoletto. Puntiamo al meglio in ogni ambito, perché il nostro intento principale è quello di elevare la cultura nel Paese, di sviluppare il talento, vogliamo essere una piattaforma per la creatività, indicare nuove possibilità di lavoro. Vogliamo mostrare cosa c’è di meglio nel mondo, aprire nuove finestre, di ogni genere: passiamo dal Manganiyar Connection, spettacolo di teatro e musica nato per i Maharajas indiani nel deserto del Thar, al Manual Cinema un esperimento d’avanguardia e di commistione delle arti che viene da Chicago. Vogliamo dare la base ai nostri spettatori per farsi una cultura e poi scegliere, per formare una futura scuola, futuri artisti. Abbiamo creato un nostro show di musiche e danze tradizionali portando la London Orchestra per suonare con i nostri musicisti e il prossimo anno avremo un intero show prodotto in Saudi Arabia. Per noi la visione è tutto», conclude. E così succede per tutte le altre aree del centro, nessun intento commerciale, ma la pura ricerca di un arricchimento (che è il significato di Ithra).

Mentre visitiamo Ithra è in corso Tanween, il primo festival della creatività in Arabia Saudita che in 11 giorni raccoglie 230 eventi, 160 workshop, 37 relatori, 12 mostre, 18 spettacoli, 5 sfide, 3 esperienze culinarie. Vedere i mondi che si incontrano è sempre emozionante: giovani sauditi insieme ad artisti di ogni parte del mondo. Al museo siamo noi ad ammirare le opere degli artisti sauditi – il fotografo Moath Alofi, l’istallazione di Ahmad Angawi – mentre nel cuore dell’edificio, proprio dove fu trivellato il primo pozzo di petrolio sorge la scultura «Source of Lights» di Giuseppe Penone, un albero in bronzo da cui sgorga la luce.

IN VIAGGIO
Tutto è al massimo, tutto è ambizioso, come se il mantra fosse «se facciamo le cose facciamole in grande». Sarà così anche per il turismo. Tra gli obiettivi della Vision c’è anche quello di «Raddoppiare il numero dei siti del patrimonio culturale saudita riconosciuti dall’UNESCO». Perché sviluppare il turismo potrebbe modificare la bilancia di un’economia basata per ora principalmente sul petrolio, portare investimenti internazionali, creare posti di lavoro e, in definitiva, fondare un nuovo Paese.

«Il turismo è il nuovo petrolio» è lo statement che ha guidato negli ultimi anni lo sviluppo di molti stati arabi, dagli Emirati al Qatar, solo che l’Arabia Saudita ha obiettivamente un’estensione e una ricchezza che ha tanto da offrire. La meraviglia di Mada’in Salih, sito archeologico al pari di Petra, costruito dagli stessi nabatei con 111 tombe scavate nella roccia e decorate; la costa del Mar Rosso orlata da una barriera corallina intatta dove sta per prendere avvio il progetto Red Sea Project, la creazione di una meta turistica lussuosa ed ecosostenibile su un arcipelago di 90 isole, una costa selvaggia, un interno di dune, canyon e vulcani. Ma c’è anche il cuore storico di Jeddah e la magnificenza della Mecca, se sarà possibile visitarla.

Uno degli attuali cinque siti Unesco è Al-Ahsa, a solo un’ora di auto da Dammam. Ci vado con un autista gentilissimo che non parla inglese con il quale comunichiamo attraverso la voce di Google traduttore. Una voce femminile un po’ metallica mi dice, arrivando: «È l’oasi più grande del mondo». Cosa vuol dire un’oasi? Significano 70 sorgenti che sgorgano dalla terra arida dove non piove mai (3-4 volte l’anno) che rendono il territorio fertile, significano laghi nel cuore del deserto e soprattutto una coltivazione di 2 milioni di palme. E sono poche, perché un tempo pare se ne contassero 21 milioni, ma le trivellazioni hanno reso le falde acquifere più profonde.

Salutato l’autista, inizio un tour con una guida che per prima cosa mi propone di provare il pane locale fatto con farina di dattero cotto in un forno dove scoppietta un fuoco alimentato dalla legna delle palme. È sicuramente uno dei pani più meravigliosi, profumati, nutrienti e autentici abbia mai provato. Quindi siamo pronti per visitare le montagne di Al-Qarah, un’incredibile conformazione di roccia sedimentaria erosa dal vento fino a diventare un intricato labirinto di pietra, e poi passiamo al souq tradizionale, dove si vendono abaya, dolcetti alla pasta di dattero, deliziosi biscotti di sesamo, pentole e ogni cosa si possa immaginare, anche un sonaglio per le capre, che compro. Perché andare ora in Arabia Saudita regala quello che tante mete non hanno più, la visione autentica di un altro mondo, l’immersione in un momento unico in cui l’energia del cambiamento vibra nell’aria.

Il nostro viaggio, nella gallery sopra

—COME ANDARCI
I voli che sembrano essere più comodi per raggiungere Dammam sono quelli che fanno scalo nella penisola araba, come quello di Oman Air (che abbiamo preso noi) o di Emirates, in modo che si riesca a dormire qualche ora di fila se si viaggia la notte.

Per ottenere il visto è attivo il nuovo sito www.vfstasheel.com , che promette un impegno di soli 7 minuti. Se è vero che l’abaya, non è più obbligatoria per le donne straniere che visitano il Regno, è altrettanto vero che un abbigliamento e modi rispettosi della cultura locale sono richiesti a ogni viaggiatore in ogni luogo del mondo.

Ithra e il festival Tanween sono di per sé stessi una meta. Ithra ha aperto le sue porte al pubblico nel giugno 2018 e nello stesso anno è stato inserito nella lista dei 100 posti da visitare nel mondo della rivista TIME. Si prevede di raggiungere 1milione di visitatori entro la fine del 2019.

La città, pur non essendo turistica, è un vero incontro con la cultura e la grande ospitalità saudita e i ristoranti e locali stanno nascendo a grande ritmo. Sulla Corniche, la passeggiata sul mare si affacciano giardini, food truck e un locale sulla spiaggia clamorosamente bello, il lounge bar con street food Salt. Abbiamo cenato benissimo al ristorante di cucina araba Oah Ya Mal, e al ristorante di specialità libanesi e armene sul mare Armin.Il mall più interessante da visitare è il Al Rashid Mall con boutique di marchi internazionali, bar e una zona dedicata ai negozi di un souq tradizionale, compreso un piccolo antiquario.

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Una giornata a Muscat, Oman

 

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