Professione «fashion renter»
Chi si occupa di previsioni di business (in questo caso Allied Market Research) non ha dubbi: il «fashion renting» online varrà quasi 2 miliardi di dollari entro il 2023, con annessi e connessi. L’idea arriva dagli States e in fondo è banale nel suo essere rivoluzionaria: noleggiare abiti anziché comprarli, in perfetta linea con i dettami di oggi, che chiedono sostenibilità, risparmio e minor stress.
Negli ultimi 15 anni la durata dei capi di abbigliamento è diminuita del 36% e oggi i vestiti hanno una vita media inferiore ai 160 utilizzi, il che genera ogni anno 16 milioni di tonnellate di rifiuti tessili nella sola Unione Europea.
«Con il fashion renting chiunque può realizzare il desiderio d’indossare capi d’alta moda per un’occasione speciale o semplicemente risolvere il quotidiano problema dell’outfit da ufficio», spiega Caterina Maestro, fondatrice di DressYouCan, startup milanese protagonista del fenomeno “fashion renting”, «Il noleggio di abiti rappresenta un asso nella manica per stupire con la propria eleganza nonché una perfetta soluzione per chi sogna un guardaroba illimitato che non alimenti sprechi e inquinamento».
Tra i principali vantaggi del fashion renting c’è poi quello di evitare lo stress che si genera ogni volta che si apre l’armadio e non si trova il capo perfetto con una conseguente riduzione di sprechi di tempo. Come riportato dal The Telegraph, infatti, le donne spendono in media quasi un anno della loro vita (più precisamente 287 giorni) a rovistare nell’armadio per scegliere il giusto outfit. Una ricerca che lascia spesso insoddisfatti perché, per dirla come la storica giornalista di moda statunitense Mignon McLaughlin «le donne di solito amano quello che comprano, ma odiano i due terzi di ciò che è nei loro armadi».
Il noleggio di abiti e accessori sembra così essere un trend in crescita, confermato anche da esperti accademici come il professor Giovanni Maria Conti, docente di Storia e Scenari della Moda al Politecnico di Milano: «Il fashion renting rappresenta un nuovo modo di consumare soprattutto per Generazione Z e Millennial, i target più attenti alla sostenibilità. Da tre anni a questa parte il concetto di sharing si è allargato e andiamo verso un consumo che non è più originato dal possesso, ma dalla possibilità di poter utilizzare, anche solo per poche ore, un oggetto: probabilmente non è più il tempo di possedere, ma di potersi permettere un’esperienza». Si apre così l’era della cosiddetta «experience economy», nella quale si investe in esperienze come viaggi o concerti anziché in beni fisici da avere.
Nascono così poi nuove figure professionali come i «fashion renter», persone che si occupano di consigliare, di indirizzare al meglio le clienti, di farle muovere tra le varie piattaforme indicando offerte e nuovi capi da non perdere, allestendo funzionalissimi armadi on line e organizzando ritiri e consegne puntuali.