Addio a Cotelli, il padre della Valanga Azzurra
Ha messo il suo marchio su un’epoca, l’ha segnata per sempre con il suo stile, la sua sapienza, la sua visione. E’ morto Mario Cotelli, il dt tecnico dello sci italiano negli anni ’70, l’ideologo di quella che ancora oggi definiamo la «Valanga Azzurra». Aveva 76 anni e cinquant’anni fa – fresco di laurea alla Bocconi – veniva incaricato di gestire lo sci italiano. Una novità assoluta, per uno sport allora considerato minore, da montanari solitari che si dilettavano ad affrontare impervie discese con spirito dilettantistico e senza nessuna velleità agonistica.
Nei nove anni in cui ha guidato la nostra nazionale di sci (1969-1978) Cotelli ha completamente rivoluzionato l’idea di questa disciplina. Aveva intuito manageriale (fu tra i primissimi a cercare gli sponsor) e sapeva gestire gli uomini, prima ancora che gli atleti. Ha avuto a che fare con una generazione di fenomeni, campioni-poster che per decenni sono stati un punto di riferimento per gli aspiranti sciatori. Due nomi per tutti. L’immenso Gustav Thoeni e il suo amico/rivale, il favoloso Piero Gros.
Erano loro – senza dimenticare Herbert Plank, Erwin Stricker e Paolo De Chiesa – gli uomini d’oro. Negli anni ’70 la «Valanga Azzurra» (come da memorabile titolo della Gazzetta dello Sport) vinse cinque coppe del mondo, quattro con Thoeni e una con Gros e sei medaglie olimpiche, tra cui due ori (Thoeni nel 1972 e Gros nel 1976). Il momento più alto della sua gestione tecnica ha una data scolpita nell’immaginario collettivo: il 7 gennaio 1974, quando cinque azzurri si piazzarono ai primi cinque posti, in occasione dello slalom gigante di Berchtesgaden.
Cotelli era un pioniere, l’antesignano dello sci moderno, uno sciamano (i suoi atleti dicevano che sarebbe riuscito a farti credere che gli asini possono volare sulla neve), un visionario, un uomo carismatico dall’intuito straordinario che aspettava i suoi ragazzi al traguardo, sotto le folate della neve. Si deve a lui se la percezione di questo sport cambiò profondamente – sia in Italia che all’estero – ribaltando il concetto di Italia paese del sole (siamo invece una terra di monti e colline) e contribuendo all’accelerata del turismo di massa in montagna.
Le stazioni sciistiche che in quegli anni cominciarono a popolarsi di italiani che infilavano gli sci e simulavano le discese di Thoeni e Gros, furono le roccaforti di una nuova era. Eppure: nelle sue memorie Cotelli – che abbandonò la carica di dt a soli 35 anni e divenne manager sportivo e poi giornalista – con il sereno disincanto che lo distingueva, ricordava spesso l’indifferenza delle alte cariche dello Stato, le stesse che nel decennio successivo – gli anni ’80 – si sarebbero avvicinate (per populismo e/o opportunismo) ai grandi successi dello sport italiano. «Nessuno in quegli anni ci ha mai inviato un telegramma di felicitazioni per una delle tante vittorie. Nessuno ha ritenuto di convocarci nemmeno una volta per dirci grazie per quanto avevamo fatto per la promozione del turismo e dell’industria nel nostro paese».
Se la «Valanga Azzurra» è ancora viva nel ricordo di tutti, il merito è di Mario Cotelli, che per primo seppe dare dignità allo sci. In quell’epoca così lontana, vive di una luce speciale la figura di quest’uomo che ha preso per mano lo sci italiano e l’ha portato – di fatto – dal bianco e nero al colore, proprio come avveniva nelle case di milioni di italiani che in quegli anni guardavano la vita che accelerava dentro i primi televisori a colori.