Mancini, 55 anni nel segno dell’eleganza
Roberto Mancini oggi compie 55 anni ed è un esemplare raro, perché è riuscito nella doppia impresa di essere un fuoriclasse con il pallone tra i piedi – quando aveva il ciuffo che svolazzava e l’aura del predestinato – e un vincente da allenatore, oggi che siede in panchina e da ct della nazionale sta facendo (ri)tornare grande l’Italia. Marchigiano di provincia, nato e cresciuto a Jesi, profondamente legato alle sue radici, figli di un falegname, Aldo, e di una casalinga, Marianna, il Roberto Mancini calciatore è stato un riassunto vivente di bellezza e armonia: nessun gesto era inutile, nessuna corsa era sprecata. Non si limitava a giocare a calcio, ma pennellava quadri che oggi – su Youtube – conquistano anche le generazioni che all’epoca non erano ancora venute al mondo.
Il Roberto Mancini allenatore, sulla scia del campione che è stato, ha sempre cercato di fuggire le polemiche, le ha scansate, dribblate come quando faceva a venti e trent’anni con i difensori avversari, preferendo invece una cifra stilistica ben definita, quella di un uomo elegante nel porgersi agli altri, restio ad alzare la voce, sempre pronto al confronto.
Quando ha tredici anni Roberto – nonostante il parere contrario della mamma – si trasferisce da solo a Bologna. Debutta in Serie A giovanissimo, nel settembre del 1981, a sedici anni. Quell’anno segna 9 gol. E’ un talento che brilla di luce propria. L’anno successivo il presidente della Sampdoria Paolo Mantovani lo acquista per 4 miliardi di vecchie lire. E’ l’incontro del destino. Il Mancio resterà alla Samp quindici anni, fino al 1997. Bandiera e figlioccio preferito di Mantovani, Roberto alla Samp fa un po’ quello che gli pare: consiglia i giocatori da prendere, sceglie le maglie, dal tessuto al disegno, discute di premi, chiede e ottiene il pullman personale per la squadra.
Sono stagioni irresistibili, segnate dall’amicizia fortissima con Luca Vialli – che oggi lo affianca da team manager della nazionale – e di un gruppo di amici che si autobattezzano «Biancaneve e i sette nani» (Mancini è Cucciolo). In blucerchiato il Mancio vince, oltre allo scudetto nel 1991, quattro Coppa Italia, una Supercoppa di Lega e la Coppa delle Coppe. Vincerà uno scudetto anche con la Lazio (nel 2000), più un’altra manciata di coppe in Italia e in Europa. Smette col calcio a 36 anni – nel 2000 – ultima tappa Leicester, in Inghilterra, dove rimane poche settimane prima di intraprendere la carriera di allenatore.
Fiorentina, Lazio, Inter, Manchester City, Galatasaray, ancora Inter, Zenit San Pietroburgo. Ovunque è andato, il Mancio ha sempre raccolto ganci soddisfazioni. Tre scudetti (con l’Inter), quattro Coppa Italia, una Premier League, una coppa di Turchia. Soprattutto è sempre stato l’alfiere del «bel gioco», inteso come capacità di divertire, dare spettacolo, provare a fare del calcio un momento di condivisione collettiva. A maggio Mancini è diventato il ct della nazionale italiana.
Ha inaugurato una nuova epoca, dopo il fallimento della nazionale di Ventura con la mancata qualificazione al Mondiale di Russia 2018. Il Mancio ha già centrato il primo obiettivo, il pass per Euro 2020, con un filotto di undici vittorie consecutive che ha contribuito a riannodare il filo della passione con i tifosi italiani. Schivo ma sicuro di sé, elegante nel porgersi, con una cifra etica molto forte; il Mancini privato è un uomo che riserva molte sorprese.
E’ stato sposato per venticinque anni con Federica Morelli, madre dei suoi tre figli: Filippo, 29 anni, Andrea, 27 e Camilla, 25. I due maschi hanno provato a giocare a calcio, ma sempre a livelli semi-dilettantistici. Il divorzio della coppia nel 2015 – anticipato da Mancini che ha parlato di «un trauma che nel 2009 ci ha allontanati definitivamente» – è stato pieno di veleno e di strascichi, anche giudiziari. Da qualche anno il ct azzurro è legato sentimentalmente a Silvia Fortini, la sua ex assistente legale, sposata nel 2018. Il Mancio coltiva due grandi passioni extra-calcio.
La prima è il paddle, che pratica ogni settimana al «Tennis ClubAeroporto» di Bologna – la città che gli è rimasta nel cuore – con una cerchia ristretta di amici. La seconda è il mare aperto, da solcare con lo yacht che possiede, un trenta metri che ha chiamato «Firefly» e che è a tutti gli effetti la sua isola privata, il suo rifugio, il suo posto delle fragole in mezzo al mare.