Dove sono le poete? 5 poesie per il 2021
Nel 1845, Elizabeth Barrett Browning si chiedeva: «Dove sono le poete? Cerco ovunque le nostre antenate e non ne vedo nessuna». Le cose sono cambiate. La poesia fatta da donne – fatta, sia perché poesia viene dal greco poieo, che significa «fare», sia perché il produrre, il creare, è da sempre un mestiere per donne – è una vibrazione che si sta propagando per contagio. Arriva da molto lontano, da un tempo in cui la prima donna era chiamata Saffo. Ha percorso carsicamente i millenni, riemergendo là dove trovava degli spacchi nel terreno e, come il sangue di una santa, coagulandosi o sciogliendosi a beneficio dei suoi adepti. Negli ultimi duecento anni, da sottile è diventata un coro. Quella della «voce» è più di una metafora: le poete oggi vanno alla ricerca proprio di una voce, la propria, che possa farsi prima testimonianza, poi resistenza e, infine, rivoluzione.
Iniziamo il 2021 con le poesie di cinque poete. Tre sono italiane (Chandra Livia Candiani, Viola Lo Moro e Alessandra Racca), due straniere (Ida Vitale è la più grande poeta vivente uruguaiana, mentre Aracelis Girmay viene dalla California).
Elegia
di Aracelis Girmay
Che fare con la consapevolezza
che il nostro vivere non è garantito?
Forse un giorno toccherai il giovane ramo
di qualcosa di splendido. & crescerà & crescerà
nonostante i tuoi compleanni & il certificato di morte,
& un giorno darà ombra alle teste di qualcosa di splendido
o renderà se stesso utile al nido. Esci
da casa tua, dunque, credendoci.
Niente altro importa.
Ovunque sopra di noi è il toccarsi
di estranei & parrocchetti,
alcuni tra loro umani,
alcuni tra loro non umani.
Dammi retta. Ti dico
una cosa vera. Questo è l’unico regno.
Il regno del toccare;
i tocchi del disapparire, delle cose che scompaiono.
Nuova poesia americana 2 (BlackCoffee): è uscito da poco il secondo volume della nuova poesia americana diretta da John Freeman e Damiano Abeni per la casa editrice toscana BlackCoffee. Qui sono antologizzati Kim Addonizio, Garrett Hongo, Lawrence Joseph, Kay Ryan, Kevin Young e la quarantatreenne Aracelis Girmay, californiana autrice di tre raccolte piuttosto importanti (l’ultima, del 2016, si intitola The Black Maria). La sua poesia indossa le stigmate della violenza contro le persone di colore, le ferite che dalla carne approdano ancora aperte nelle parole. Il corpo è, anche qui, centrale, come nella bellissima lirica che dà il titolo a un suo libro, Kingdom Animalia, dedicata al fratello e che si conclude così: «Oh, corpo, sii stretto ora da chi ami. / Anni interi verranno trascorsi sotto queste impossibili stelle / quando il fango sarà l’unico animale che dorme con te / & ti tocca / con la bocca».
Sopravita
Dammi notte
le accordate speranze,
non già la tua pace,
dammi prodigio,
dammi alfine un pezzetto,
spicchio di paradiso,
il tuo chiuso giardino,
le tue ali senza canto.
Dammi, appena chiudo
gli occhi del mio volto,
le tue mani di sogno
che guidano e che gelano,
ciò che dovrò trovare,
dammi, come una spada,
quel cammino che passa
sul filo del timore,
una luna senz’ombra,
una musica appena udita
e già imparata,
dammi, notte, verità
per me sola,
e tempo per me sola,
sopravita.
Pellegrino in ascolto di Ida Vitale (Bompiani): classe 1923, Ida Vitale è una delle poete viventi più importanti del suo Paese, l’Uruguay, che a un certo punto, negli anni Settanta dovette abbandonare a causa del regime dittatoriale. Lo lasciò per il Messico, dove entrò in contatto con il poeta Octavio Paz, che la fece entrare nello staff della rivista Vuelta e, di conseguenza, in quel gruppo di intellettuali che diede forma, nella seconda metà del secolo scorso, alla letteratura latinoamericana. Vitale, tornata in patria, curò le pagine culturali per importanti testate per poi stabilirsi in Texas. Ora è tornata a Montevideo, e nonostante la sua sia una voce importante e lucente solo adesso arriva in Italia in questa antologia che raccoglie il lavoro di 70 anni di poesia.
Lettera a me stessa
Io ti porterò dove schiudersi
è delicato, come un’ala di farfalla
non un bisturi ma voli accennati,
esitanti. Ci saranno lampioni serali
appena illuminati e un’aria fresca
di neve in estate.
Molti amici avranno le finestre accese,
amici silenziosi e musicali, amici.
Qualcuno verrà a prenderti alla stazione,
ti porterà la valigia e acqua fresca.
Sarai suono e anche passo di danza,
i piedi bendati saranno alati
sull’asfalto tiepido e ci sarà respiro
di tigli. Una mezzanotte
ti aspetterà in compagnia,
l’allegro di Mozart sul giradischi,
le finestre aperte e le lenzuola stirate,
bianche. Sembra la morte, vero?
Ti dico che certe volte la vita è così.
Amore che battezza la deriva.
La domanda della sete di Chandra Livia Candiani (Einaudi): di recente, la poeta milanese del 1952, tra le più importanti del nostro Paese (assieme a Gualtieri, Cavalli, Anedda, Bre, Valduga, Calandrone, Lamarque, Frabotta: questo elenco, chiaramente incompleto, è messo qui a sottolineare la quantità della poesia femminile di qualità che abbiamo in Italia, e la scarsa visibilità che, invece, le viene riservata), ha deciso di lasciare la sua città e di trasferirsi in un paesino della compagna piemontese. Da lì, ha tenuto per la testata Doppiozero un Quaderno, il racconto della sua scelta, la sua vita, l’isolamento, la natura, l’amicizia con il bosco e con il personaggio Pippo Magique, che è una delle cose più belle che potete leggere in questo periodo. La domanda della sete, uscito nella seconda metà del 2020, raccoglie le poesie scritte dal 2016 suddivise in 6 parti a partire dal «corpo battello» fino agli «abitanti della meraviglia» pullulanti di vita che Candiani descrive così: «L’anima degli animali / pezzata a strisce a squame / a piume a macchie / vive e risuona». E a lei c’è da inchinarsi, perché «non si sa mai qual è / la preghiera giusta».
Cuore allegro
“Tieni il cuore allegro”
mi hai detto
la voce seppur filo
assertiva.
Il cuore allegro non so
come si irrora.
Immagino un cervo
un fiume
lo scomporsi del sole
sull’acqua
il fuoco a sfida del buio:
il cuore allegro.
Immagino
l’odore delle mattine d’inverno
bruciato nell’alba.
Penso: come lo tengo il cuore lì?
Un filo da pesca in trazione
stirato più di un capello bagnato
sarebbe più facile dirti di sì
che sì, lo tengo
sarebbe semplice mentire a un morente
ma non prima di udire il contraccolpo
del filo spezzato.
Tengo il cuore allegro.
Cuore allegro di Viola Lo Moro (Giulio Perrone): Lo Moro, classe 1985, ha appena esordito come questo libro giallo foderato di cuore. Composto di quattro parti (come il suddetto organo), porta in esergo della prima i versi di Anedda, e questo è garanzia. Sono liriche per nulla tenere (del resto, il componimento che apre la raccolta principia così: «Tenera è la notte pensavo / ma non è vero»), bensì appuntite e uncinate, dove le interiora si mescolano agli umori per impastare l’umano, ché «siamo compost», come ha detto Donna Haraway. Così si entra in camere da letto, di amanti e di malati, ad attendere il sonno noncurante e a pregare al ritmo delle flebo. Con Cuore allegro, Lo Moro ha fatto un piccolo miracolo di meraviglia e lo ha nascosto in forzieri che, in fondo, chiedono soltanto di essere denudati.
Ho quarant’anni
di Alessandra Racca
Si misurano quarant’anni di madre:
troppi
bene così
sarai stanca
ognuno ha i suoi tempi il corpo non
avresti dovuto.
Che hai fatto in tutto questo tempo?
Ho raccolto i minuti
ho amato le ore
ho esplorato i secondi
ho riempito il baule
ho scelto le parole
ho atteso l’ora giusta, la nostra
quando è venuto il tempo di dirti:
vieni, figlio, iniziamo a giocare.
La reggia di Venere (Edizioni Sartoria Utopia): scrivono nella prefazione le autrici di questa raccolta (sono tante, ma è giusto nominarle tutte: Alessandra Racca, Federica Maria D’Amato, Francesca Genti, Francesca Gironi, Francesca Tini Brunozzi, Giulia Anania, Maria Antonietta, Maria Moresco, Paola Soriga, Roberta Durante, Silvia Salvagnini, Valentina Diana, Viola Barbara) edita dalla preziosa casa editrice artigianale milanese: «Questa antologia parla del desiderio ed è scritta da poete che usano la poesia per conoscere il mondo partendo da sé stesse». E poi proseguono, manifesto poetico: «Le parole si dispongono in orizzontale, in verticale, scardinano la sintassi, evadono dalla gabbia metrica, eludono l’ortografia, se ne fregano della punteggiatura. Corrono e stanno ferme, si esibiscono e si nascondono. Fanno un po’ come gli pare». È questo che normalmente fanno le poete, partono dal proprio corpo per non sbagliarsi, per mantenere la prospettiva, e sebbene questo sguardo minimo sia stato per millenni esiliato dalla «grande» poesia, che era quella maschile, oggi si rivela in tutta la sua potenza generatrice ed universale. A partire dalla serie poetica di Alessandra Racca, che racconta in versi le tappe di una gravidanza in modo così vivido che sembra di toccarlo questo figlio piumato che nasce, testimonianza di una «forma, mammifera, di amore».