Virginia Nesi, un mese tra ospedale e Covid hotel: «La scrittura per guarire»
«La scrittura addolcisce i momenti di solitudine, cristallizza il presente e dà un senso persino a un tempo sospeso» dice Virginia Nesi.
La giovane giornalista pratese, ha trovato nella sua penna l’arma per alleviare trentadue giorni di isolamento, tra ospedale e Covid hotel, a cui è stata obbligata a seguito del contagio da Coronavirus, avvenuto dopo un intervento di routine nella capitale e successivamente, a distanza di una settimana dalla guarigione, a casa a Prato.
«Appena me l’hanno comunicato, pervasa dalla paura di aver contagiato la mia anziana compagna di stanza, sono scappata a chiudermi in bagno, l’unico luogo in cui paradossalmente in quel momento mi sentivo più protetta e meno pericolosa. Poi, al secondo contagio, mi sono posta tante domande rimaste incognite» racconta Virginia che, abituata a una routine frenetica tra rassegne stampa e inchieste, improvvisamente si è ritrovata a vivere giornate scandite da tac, iniezioni di eparina ed emogas.
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Polmonite interstiziale bilaterale da Covid: caratteristiche, sintomi, rischiIl ticchettio dei tasti del suo computer è stato sostituito dal suono altalenante del saturimetro ma, seppur travolta da sintomi lievi e sensazioni da tenere a bada, guidata dalla sua curiosità indomita si è soffermata su termini e figure dell’ambiente sanitario.
«La mia quotidianità è stata rivoluzionata ma, al tempo stesso, ho deciso di trascinare il mio lavoro anche in quella situazione» prosegue ricordando quel primo episodio, preludio dell’ebook “Mezzo sospiro di sollievo”, uscito proprio oggi martedì 12 gennaio con Piemme.
«Uno dei primi giorni di ricovero al presidio Columbus a Roma, mentre mi chiedevo quale fosse il sacchetto giusto in cui gettare i rifiuti – spiega – ho incrociato uno sguardo fiero e mai stanco su un volto coperto da dispositivi di protezione. Era quello di Federica, addetta alle pulizie che, giorno dopo giorno, mentre sanificava ogni centimetro della mia stanza si è aperta confidandomi la gratitudine per quel lavoro, nonostante la sveglia ancor prima dell’alba, 30 km di viaggio ogni mattina e una paga esigua rispetto al sacrificio e alla paura del contagio».
Davanti a questa confidenza, la venticinquenne ha sentito la necessità di soffermarsi sulle identità di chi si prendeva cura di lei e di tanti altri pazienti e dare voce a coloro che, per lei, rappresentano modelli di vita. Lo ha fatto, inizialmente, pubblicando post sui social, poi annotando pensieri e storie su un diario personale e poi trasformandolo appunto in un ebook.
«Le storie delle persone che ho incontrato hanno anestetizzato il mio dolore, imbevendo la mia coscienza nella maturità. Tutte insieme compongono il puzzle di emozioni che mi ha aiutata a guarire» afferma Virginia mentre le riaffiorano alla mente le riflessioni sull’incertezza del domani scambiate con Alessandro, anche lui giornalista positivo, affacciati alla finestra del Covid hotel; i viaggi emozionali intrapresi con Laura, compagna di stanza in ospedale nonché insegnante di inglese con cui condivide l’anima cosmopolita; l’empatia trasformatasi subito in amicizia con Eleonora, infermiera coetanea che le ha fatto scoprire un esercito di giovani operatori sanitari impegnati in prima linea nella battaglia contro il Covid.
A segnare l’esperienza della giovane giornalista è stato anche l’incontro con Giovanna, arzilla 90enne, che le ha scaldato una notte gelida e insonne in ospedale con i suoi racconti di guerra, sussurrati dietro un casco che le permetteva di respirare. E quando si parla di persone anziane, inevitabilmente, il pensiero di Virginia va alla preoccupazione provata per i suoi nonni, risultati positivi insieme a sua madre e sua sorella pochi giorni dopo il suo secondo contagio.
«A distanza ho vissuto una realtà distorta, ho temuto il peggio e quando mi arrivavano notizie rincuoranti tiravo mezzo sospiro di sollievo. Mezzo, non pieno, perché non potevo permettermi di stare tranquilla, le condizioni potevano precipitare da un momento all’altro» spiega soffermandosi su un rumore soffocante che, tuttora, riecheggia nella sua testa: il suono più prolungato del saturimetro della paziente della stanza accanto, la cui morte ha appreso qualche ora dopo.
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Ammalarsi di Covid-19: cosa significa secondo la prima analisi italiana«Il mio pensiero era rivolto sempre a chi stava peggio di me, ero la più giovane e autonoma, i medici mi hanno prontamente curata e le infermiere mi hanno concesso qualche chiacchiera in più per farmi sentire meno sola, ma non vedevo l’ora di lasciare il letto a chi ne aveva più bisogno» continua rivelando che, da quel momento, i morti non sono stati più un numero sul bollettino ma un vuoto, lasciato da una persona venuta a mancare, che innesca una spirale di dolore.
Il Covid, secondo Virginia, è una malattia fuori dal tempo e da ogni distinzione sociale, affrontata diversamente in base alla forza che si riesce a tirare fuori. Durante la sua degenza più volte si è chiesta “se la vita va così veloce quanto tempo ho perso?” ma si è resa conto che l’isolamento genera riflessioni che, distratti dalla quotidianità, tarderebbero a sorgere.
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Coronavirus, 5 condizioni di salute che possono rendere più difficile la lotta al virus«Dal 16 novembre sono a casa, mi sono negativizzata soltanto l’1 dicembre, ma mi sento profondamente cambiata, soprattutto grata per aver ricevuto la più grande lezione di consapevolezza, altruismo, umanità» conclude non nascondendo l’emozione per la pubblicazione del suo ebook, con cui spera di sensibilizzare soprattutto i suoi coetanei su quanto sia importante proteggersi e rispettare gli altri, prima di se stessi. «E per mostrare la mia vicinanza al personale sanitario ho deciso di devolvere parte del ricavato al Policlinico “Gemelli” di Roma» aggiunge, in attesa di poter rincontrare medici, infermieri e pazienti per chiudere il cerchio e rafforzare la rete solida creatasi con le anime timorose ma combattenti che l’hanno salvata.