«Omicidio a Easttown» e le altre serie tv da vedere a giugno
Una premessa è necessaria: Omicidio a Easttown è una serie complessa, lontana dal poter rispondere ai criteri di un solo genere. È cupa, fosca. Ha in sé gli elementi narrativi necessari ad un giallo. Eppure, nello scorrere i sette episodi di cui si compone, si ha la sensazione – a tratti, incalzante – di avere a che fare con la cronaca di una tragedia umana, dove il giallo non è il fine ma il mezzo attraverso il quale permettere allo spettatore di avervi accesso. Omicidio a Easttown, su Sky dalla prima serata di mercoledì 9 giugno, è l’antitesi perfetta di tutto quel cui la televisione statunitense ci ha abituati. E, nel dischiudere le proprie miserie, declinate, tutte, così che non portino con sé la formulazione di alcun giudizio, è capace di mostrare un’America diversa, triste. L’America di Mare, madre di un figlio morto e detective abile di una cittadina sperduta, nella quale ancora imperano droga e povertà.
Mare, interpretata da una straordinaria Kate Winslet, è il fulcro di un racconto costruito su più livelli e letture. C’è il lavoro, e, dunque, il giallo: una ragazzina scomparsa, un’altra ammazzata. C’è la cronaca di un disastro familiare: un figlio con disturbi della personalità, morto suicida nella soffitta di casa. La figlia minore, Siobhan, lo ha trovato impiccato ad una trave. Frank, il marito di Mare, non ha retto il dolore, il peso di una vita che avrebbe dovuto continuare a fluire. E, fatte le valigie, ha lasciato la moglie. C’è, allora, l’acredine fra coniugi, il lento ripiegarsi di Mare su se stessa, la sua vicina di casa, con il marito fedifrago, un prete accusato di molestie. E c’è la madre di Mare, unica nota colorata in una Pennsylvania altrimenti grigia.
Omicidio a Easttown, la più originale fra le serie di giugno, racchiuse tutte nella gallery in alto, è la vita di Mare e, insieme, di una cittadina squallida. Non finisce, perciò, nella risoluzione di quel suo giallo tremendo, dove la morte di una madre diciassettenne si mescola alla prostituzione minorile, al bisogno e alla pochezza del mondo adulto. Prosegue e, nel suo proseguire, restituisce (finalmente) l’immagine di un’America alternativa, senza sogni, senza la patina lussuosa di cui Hollywood l’ha ammantata. Per questo vale la pena guardarla: perché capace di rompere il gioco televisivo con un giallo aberrante e la ricostruzione di una maternità neutra, che fugge il binomio buono-cattivo. Kate Winslet, poi, è la ciliegina sulla torta: credibile, credibilissima nel suo essere insieme fragile e risoluta.