Colorò Cavana con le note: ecco chi era Fabio Zoratti, il re dei musicisti di strada di Trieste
TRIESTE La sua musica allietava passi, pedalate, pensieri. Il suo repertorio spaziava da una vecchia polca triestina a un’aria della Tosca, fino ad arrivare a qualche classico dei Beatles e a Libertango di Piazzolla. Avvicinandosi a piazza Cavana, da lontano, si avvertivano già le note della sua fisarmonica. Poi scorgevi lui: cappelli arruffati, baffetti, sigaretta in bocca, garbato e gentile nello sguardo e anche nell’accarezzare i tasti del suo strumento musicale. Strumento di lavoro e di vita. Fabio Zoratti ha smesso di suonare. A 73 anni se ne è andato lasciando nelle strade di Trieste un malinconico silenzio.
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Una scelta non facile
Lui - qui - era il vero re dei musicisti di strada. Aveva studiato musica, suonato con diversi gruppi, ma alla fine aveva deciso che la strada - il contatto così diretto con la gente - era l’ambiente dove si sentiva più a suo agio. Una scelta «non facile», raccontava, fra «rinuncia al successo e senso di grande liberazione». Lui, in effetti, la strada l’ha vissuta, prima ad Amsterdam, poi in Toscana, infine in questa città.
Nella mansarda dove ha abitato, erano raccolte tutte le sue passioni: i dischi, i libri e le piante succulente, le piante grasse. Ne era appassionato, ne coltivava diverse, alcune particolarmente rare. «È come avere dell’esotismo in casa», spiegava ammirandole.
Animali e volontariato
Era abitudine vederlo esporle anche in contesti pubblici come gli Horti Tergestini. Come ogni anima gentile amava gli animali: cani (l’ultimo a rubargli il cuore è stato un bassotto di nome Prince), gatti, uccellini, ogni creatura. Oltre a suonare in piazza Cavana, Fabio aveva collaborato con l’iniziativa comunale Spazi urbani in gioco suonando negli asili, poi in alcune case di riposo, tra le persone fragili. Credeva molto «nel potere taumaturgico della musica». Qualche coppia lo ingaggiava per riempire di musica il giorno del matrimonio.
Lo scontro con il Comune
Con il Comune di Trieste erano state gioie e dolori. Nel 2010 si era fatto portavoce della raccolta firme e della rivolta contro l’ordinanza comunale, l’«editto», come la definiva lui, che vietava nel centro storico l’esibizione degli artisti di strada.
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Poi una sentenza della Corte costituzionale aveva spazzato via quel provvedimento, e Fabio aveva ripreso a suonare. Con il cappello sistemato a terra, senza pretendere nulla: lui non allungava la mano, non passava tra la gente a raccogliere l’obolo, ma la sua bravura e la sua gentilezza stimolavano i passanti ad appoggiare nel cappello qualche euro.
Il ricordo di Rumiz
A lui bastavano. «Avevo l’abitudine, quando lo trovavo che suonava in Cavana, si svuotarmi le tasche di tutta la moneta che avevo», ricorda lo scrittore Paolo Rumiz, legato a Zoratti da un rapporto speciale: «Mi conosceva, sapeva che sono balcanico nel profondo, e quando mi vedeva arrivare cambiava subito musica, dedicandomi proprio qualche pezzo balcanico. Spesso lo sgridavo perché si lasciava andare a pezzi di una malinconia tremenda, che stonava in quel luogo di grande passaggio di compere e acquisti».
Tornando indietro negli anni, Rumiz ricorda come «nel ’96, quando feci la campagna elettorale per il Parlamento, facemmo insieme una cosa fuori di testa: io andavo in giro con il vespino per i miei piccoli comizi, lui mi seguiva e richiamava la gente suonando la fisarmonica». Per Rumiz «la sua figura si accompagna con quella di Pino Roveredo, pure lui una persona che non fu tanto amata dalla istituzioni, vedevano in lui uno fuori dalla regola, fuori dal conformismo. Con loro due ho fatto grandi “ridade” sul mondo, sulle sue banalità»